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Questo volume contiene cencinquantotto racconti tradizionali ' nel dialetti e nelle pariate di quarantun comune dell' isola, oltre a venticinque varianti , parte per esteso in dialetto, parte riassunte in italiano. Tutte le province siciliane vi sono ben rappresentate, ma la più largamente quella di Palermo , la quale io , palermi- tano, ho potuto meglio ricercare e conoscere. Essa sola offre qui centotrè racconti, lasciandosi molto addietro le province di Siracusa con ventisei , di Girgenti con sedici , di Messina con quindici , di Galtanìssetta con otto, di Catania con sei , di Trapani con cinque. Se non che, la indicazione topografica non indica già che il racconto esista solo in quel dato luogo (essendo , com'è noto, diffuso in tutta la Sicilia), ma bensì che in quel dato luogo venne raccolto. Dialetti non mai tìn qui scritti compariscono ora per la prima volta. Qualcuno tra essi avrà dello strano e ' Come 8i vedrà, il n. XLVIO, per errore di stampa, è duplicato. vili AWERTENS^ del poco intelligìbile a prima giunta; ma nella appa- rente stranezza e difficoltà d' intelligenza darà argo- mento a indagini molto giovevoli alla storia sicula. Sotto il quale aspetto la presente raccolta, al pari del- l'altra precedente, vuol riuscire di qualche utilità agli studiosi delle lingue e dei dialetti romanzi non meno che ai cultori delle cose siciliane; mentre, d'altro lato, riuscirà forse non superflua ai raccoglitori di novelle popolari ed ai ricercatori delle fonti e della parentela di esse nei diversi popoli e nelle differenti letterature. Chi legge poi per semplice diletto troverà in questo libro una di quelle letture che richiamano alle incante- voli fiabe della infanzia ed alle facezie dell'età adulti. Il titolo di Fiabe e Leggende è legato ai due generi prevalenti nel volume : quello, cioè, delle novelline fan- tastiche a base di maraviglioso e di soprannaturale, le quali con un nome ora comunemente inteso tutti chiamiamo Fiabe in Italia {Mdrchen in Germania, Contes in Francia, ecc.), e l'altro dei racconti leggendari rela- tivi a personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento (veri evangeli apocrifi del popolino siciliano), a santi, a devoti, a simulacri di Madonne, ad origini e vicende della Sicilia e di Palermo, e poi di grotte, montagne, chiese. Sono fiabe i racconti della I* serie ed anche della V», tutta di vere favole e paramiti; sono leg- gende quelli della II* e della IV*, se pur non vogliano comprendervisi anche quelli spiritosi e piacevoli della III*, che si aggirano sopra tipi leggendari in ogni let- teratura tradizionale , e parte degli altri della VI* ed ultima, dove proverbi e modi proverbiali si fanno ori- ginare dalle tale o tal' altra storiella. AVVERTENZA IX Fedele al metodo da me tenuto nelle varie raccolte della Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, ho ri- stretto le note comparative {Varianti e Siscontrì) di ciascuna novella alle tradizioni edite d'Italia; ma sono ben lontano dal crederle, specialmente per le pie tra- dizioni iconografiche e per alcune profane della III' serie, complete. Non v'è sacra immagine , infatti, che non riconosca una provenienza simile o analoga a quella del gruppo LXII-LXIV , per il quale io stesso ho po- tuto qui mettere insieme non meno di sedici riscontri della sola Sicilia. Nella spiegazione del testo mi son |jmitato alle note meramente necessarie a fame intendere il senso let- terale, traducendo con fedeltà tutt' altro che elegante frasi e parole siciliane , ed aggiungendo tra parentisi frasi e parole italiane in che quello siano da tradurre, e parole sottintese nel testo, sempre elhttico, sempre figurato. Di nove racconti di Ragusa, Pietraperzia, No- vara, Nicosia, S. Fratello, Palermo ho dato intere ver- sioni ad literam, che potranno agevolare la intelligenza di altri racconti noi medesimi dialetti o in dialetti del medesimo gruppo. E qui mi sia lecito di tornare un' ultima volta sulla etema questione della grafia. Raccoglitori egregi di tradizioni, con l'intendimento dì riferire nella genuina parlata novelle e canti popo- lari, propendono per una grafia che ritragga la narra- zione quale esce dalla bocca di chi racconta; e però a- feresi, protesi, agglutinamenti d'ogni maniera. Questa fedeltà fonografica può sino a certo punto interessare X AVVERTENZA i glottologi di buona volontà e di grandissima pazienza, ma non risponderà mai allo scopo del folklorista che vuol recare dei documenti alla mitologia ed alla novelli- stica popolare. Una distinzione tra il parlare plebeo ed il parlare comune d'un paese c'è, come c'è tra il par- lare familiare e domestico ed il raccontare; né mi è ac- caduto mai di sentire da una donna che novella tutti gli smozzicamenti ed i guasti che essa medesima fa parlando in famiglia, come non mi è accaduto mai di sentire una canzone che in bocca del popolano tenga le medeshne accidentalità fonetiche della novella. E poiché non v'è raccontatore o novellala che non s'ac- conci naturalmeifte a codeste maniere, così ogni buon raccoglitore di testi dialettali ad uso de' folkloristi do- vrebbe alla volta sua acconciarvisi. A me pare, ed è sempre parso, opera rispondente al fine il ritrarre fedel- mente non pur le voci speciali ma anche le forme ca- ratteristiche d' un dialetto o d' una parlata, lasciando scorgere in che esse dalle comuni d'un dialetto si dif- feriscano : voci e forme, le quali, perchè ristrette in una data cerchia, o estendentisi per una data zona, costi- tuiscono fatti etnici della più grande importanza. Nel mio non breve Saggio di una Crrammatica del dialetto e delle parlate siciliane {Fiabe, Nov, e Race, v. I, pp. GXLIX-CGXXX) furono segnate le prime linee morfo- logiche dei nostri dialetti e sotto-dialetti ; altre ne se- gnarono per la provincia di Siracusa 1' Avolio * ed il Guastella ^ dotti e benemeriti entrambi; e tutte messe 1 Canti popolari di Noto, pp. 3-31. Noto, 1875. * Canti popolari del Circondario di Modica, pp. VIII-XXIV. M' dica, 1876. AWEHTEKZA XI ftii&io, con molta intelligenza ma con poco rispetto 'alti'ui proprietà, dal D.' Fr. Wentrup ', che già pri- i, ne! 185y, avea pubblicato in Braunschweig un lon esempio di * Contributi alla conoscenza del dia- lio siciliano " ,, Orbene: la grafia da me seguita non si scosta da ìlle linee; lo ricalca anzi con vera scrupolosità, so- lo ne' testi di Ragusa Inforiore, i quali, fornitimi amici intelligenti, a me non è lecito di discutere o idiiìcare altro che per ijuaiito concerne la unìfor- ità del metodo da me tenuto nella trascrizione di pa- frasi comuni. Ho creduto di non dover rinunziare d originale nelle voci; di, dare, tiomuni, dolcfi, donna .simili, che suol passare in bocca a quasi tutti i Sici- in una mezza r (ri, rari, rumavi, ruci, ronna); tuendola soltanto in quei casi in cui la r si raf- 'za potontenienle come nel v. vìrriri, vedere. Pari- lenti ho conservato, secondo i casi, la ff alle voci Beitrdge sur Kenniniss des sicUianiscìien Dialectes, nel Pro- gramm der Kloste-schen Kostleben, einer Stiftung der Fami- Ùe von Wiuieben. Halle, 1880. * Beitrdge zur Kenntniss der sicUianisclwii Hundart, iicU'Ar- cMv. fùr das Studium des neueren Hprachen und Litcraluren, V. XXV, fase. 1^, pp. 1S3-16(5 XII AVVERTENZA vela essa stessa la instabilità dì pronunzia de' vari rac- contatori e la incertezza nella (juale noi poveri racco- glitori ci a^^iriamo trascrivendo il nostro parlare na- tivo. Se avesse considerato queste circostanze,non avreb- be il prof. E. Bohnier commesso la debolezza di ma- ravigliarsi delle differenti maniere onde un medesimo suono giungeva al suo orecchio di tedesco non adusato alla nostra pronunzia, secondo che uscisse dalle labbra d'un uomo o d*un altro \ nei pochissimi giorni ch'egli stette in Palermo ^ Non tenendo conto della differenza che passa tra la pronunzia delle persone di lettere e la pronunzia delle persone del volgo, tra uomini e donne, tra uno nato nel rione della Kalsa ed un altro cre- sciuto nel rione dell' Albergheria , il bravo romanista cadde in un deplorevole equivoco. E tornando a' racconti noterò che cento e più di essi sono stati raccolti personalmente da me; e questi si pos- sono vedere alla nessuna indicazione di nome dopo quello del novellatore o della novellatrice, che io ho sempre fatto conoscere. I quìndici dì Ragusa Interiore li devo al mio affettuoso e dotto amico prof. Carlo Simiani, il quale, coadiuvato dal D.'' Raffaele Solarino, si proponeva di pubblicare un libro di novelle popolari di quel comune. Egli, sapendomi occupato in una nuova raccolta, rinun- ziò al suo' disegno e liberalmente e generosamente mi * Ziir sizilischen AusspracJie , 165-167 dei liomanische Studien, fase. X, I del voi. III. Strassburg, X;378. * "^eW Hotel de France, dove non bazzicano altro che forestieri, e dove il chiaro romanista volle accertarsi di alcuni suoni dalla bocca di persone di studio, tra le quaU lo scrittore di queste i)agine. AVVERTENZA Zni fece dono delle tradizioni che avea messe insieme: altre Inedite per la Sicilia, — e son quelle che vedono qui la luce, — altre varianti, che io metterò quandochcssia a profitto. Le otto di Ghiaramonte e di Modica mi son venate dalla gentilezza del Barone Seralino A. 6ua- stella, sempre sollecito nel favorire le mio ricerche di cose popolali; le sette di Frizzi dagli egregi giovani si- gnori Salvatore Tortorici e Tommaso Mercadante-Car- rara; le tre di Milazzo dall'avv. Pasquale Prestambur- go; quelle dì Boi^etto dal Salomone-Marino, quelle dì Nossoria e Nicosia dal sig. Mariano La Via-BonoUi. I nomi di questi gentili cooperatori si leggono alta fine di ciascun racconto. Farmi superfluo l'avvertire che i miei narratori e nar- ratrici sono " vei^ini d'istruzione ,,per servirmi d'una frase del Montaigne; e non v'è luogo a dubitare né della jmjremenza, né della forma schiettamente popolare delle loro novelle. Alcune novellatricì, come la Fran- cesca Amato e la Messia, l'una e l'altra morte di re- cente, e la Rosa Brusca cieca, non riusciranno ignote ai lettori della precedente raccolta. Mi astengo da qualunque accenno sul valore delle norellìne in generale, perchè nessuno oramai lo disco- nosce. Io stesso, dopo quello che ne scrissi nel 1875 , e ne occupava testé nel mio volume di Novelle po- ; polari toscane, dove le ultime teorie dei più illustri mi- ; ioixygie delle principali scuole sono modestamente espo- Palermo, 19 Mano 1888. Giuseppe Pitrè, FIABE E LEGGENDE SPIEGAZIONE DI ALCUNE VOCI DI DIFFERENTE SIGNIFICATO NEL PRESENTE T3LUMS A, a; *a la; d, alla. DdUy quello; ddu\ due. Ca , che (pron. e congiuri.) ; ca, perchè, poiché. Cd, gli, ne, le, lo, li, loro, a lui, vi, noi, ce. Cu, ccu, con; cu" chi, a chi. Fora, fuori; fóra,fórra, sarebbe, fosse. Ha, ha, è; ha\ hai, sei. He, ho; e, ai, agli, alle. 'J, i, li, le; i' io. Jè (Pietraperzia), è; (Roccapalum- ba) io. Jfa, ma; ma\ mai; ma', madre. Me, mio, mia; ìne\ miei, mie. *N, in, un, uno; (Ragusa e S. Lu- cia), non; 'n' una. *Na, *nna, una; nna^ in, da. iVnt, da, in ; ed è anche riempi- tivo. 6 al; in Ragusa: d^ó, del; o, o, ossia. Pò, può; pò* p!)i, puoi; |M)* poi. Siddu, se; s'iddu, se egli. Si, se; 5Ì, si; 5i' sei (verbo); sei, sei (numero). So, suo, sua; 5o\ suoi, sue. Sta, questa; 5^0, sta (verbo); sta* stai; *stà, estate. Su\ io sono, essi sono; su^ se. Tò, tuo, tua; to\ tuoi, tue. C7n, un, uno; *un, non. Fa, va (verbo), via, su via; va* vai, va. Vó' vuoi; i?ò*, vuole; voi, bue. Foto , volta (nome) ; vJta , volta (verbo). SERIE P^RTMj^ [. La Rigginedda chi s'avia a maritari. ' 'Na vota cc'era 'na %gliia di Re : sta figgliia di Re, essennu a l'età di nuiritàrisi, so patri cci vulia dari un iìgghiu di re, ma idda \m si valìa iiiarìtari si prima 'uu cci java imu c/un 'nnimiim dificiirtusu, e idda 'un l'ad- diminava: e allura .si maritava, o si pigghiava a chiddu chi cci avia purtatu stu 'uniiniim, e si hi pigghiava di quahmqui cetu fnssi *. Lu patri siiitennu la viilìiiità di so flgghia misi Tav- visu: *• Ckii porta toi 'unì mìni' (JlficKrf/fsu a me fifjfjhia, li idda 'un lu sapi tiddunliufrl, Iddu surra .so inaritu '^ „, A st' avvisu cinisidirati (jiianlii j^onti cimcturreru a purtàricci iinimhii! ma la JilL'iriuiaMa " qiiaìitu coi nni ' Inteiuli che In i)riiu"ijK:ss.i v«*al..' ììvi'vMh.; sposato colui
  • «tro. La RICQINEDDA CHI S A7U A HARITARI 5 Di Sèttimu nni pigghiavi la ccbiù minuri.. Spara a cu' vitti, E 'nzerta a cu' nun vRlt. Mancìavi carni eotta cu palorì. Passavi un cium! né nudu né vistutu. Vitti lu mortu, chi purtava lu vivu ,. La Rig^nedda a stu 'nniminu stonau , e 'un sappi «hi rispunniri, Quannu vitti ca propria propria 'un nni sburdia nudda ', cci dumannò ottu jorna di tempu dàn- nucci a lu viddanu alloggiu e manàari franm. Lu vid- danu cci l'accurdò; idda p' 'un si scurdarì li palori di lu 'nniminu, pigghiò carta, pinna e calamaru e si li scriviu. Ma cu tuttu lu so studiari, all' ottu jorna 'un nni potti capiri 'na mmaliditta, e s'appi a dari pi vinta. Lu Re cci dissi altura : — " Fibbia mia, giacchi 'un hai pututu addiminari lu 'nniminu, 'un pò jiri la me pa- lora e la tua nn'arreri. Pigghiati a ss'omu pi maritu, , La fì^hia vulia fari sturtUli ', ma 'un appi chi fari, ed appi a catari la testa. Accusai pigghiaru li pòlisì a bannu *, e 'n terapu ottu jorna si marìtaru; lu viddanu addivintò jènnaru di Re e Tutti fOru fUici e contenti, E nuàtrì semu ccà senza nenti. Palermo *, < Quannu uitti ecc. Quando vide ohe proprio proprio noD riiuciva. a trovare il aotao degli indovina. ■ Volea BOflaticare, cavillare, trovar pretetti e ragioni BtraDe. ' Palisi a bannu, polizze di bando, sono ì prodanii che ii (ìinno al inuDÌcipio poi matrimonio civile. V. i miei U»i, v. Il, p. 51. ' Raccontata da Giovanni Krrone, calzolaio del rione del Borgo in Palermo. 6 FIABE E LEGGENDE VARIANTI E RISCOxNTRl La Caooiaturi. Un caeciaturi parlfu di la casa pri jiri a caccia cu Pitta, eh'era 'na pupa di pani, 'ntra la sacchetta, e cu Masa, ch'era la cani Lu pani era 'nvihnatu : si lu manciau la cani e nni muriu. La cani morta si la manciaru cincu corva, e mòrsiru tutti. Setti latri chi caminavanu 'n campagna, e murevanu di la fami, vittiru ddi corva, Tarrusteru e si li manciaru. Siccomu eranu 'nvilinati, sti latri mòrsiru puru. Lu caeciaturi sparau ad una gurpi e 'nzirtau un oceddu chi si truvau a passari. E siccomu era mortu di fami, prìcchì la cani cci manciau la pupa, trasfu 'ntra 'na chiesa 'n campagna e pri la siti si vippì Tacqua di 'ntra la lampa *. Poi capita un missali, lu strazza, e cu li vampi di dda carta arrustfu Toceddu e si lu manciau. Niscennu di la chiesa s'addunau chi 'na guttera chi stizziava davanti la porta avia pirciatu 'na petra *. E, caminannu cami- nannu , vitti ca 'napocu di furmìculi si carriavanu un arvulu a pizzuddu a pizzuddu. Allura lu caeciaturi nni furmò stu 'nni- minu: Mi partivu ' di la casa, Ed avia a Pitta e Masa. ^ Notisi Taso di molte chiese di riempire le lampade in parte d aoqua e di aggiungervi da ultimo queir olio che basti per un dato numero di ore. * Usoendo dalla chiesa (il cacciatore) s'accorse che mia goccio (guttera, guttena, guttara, guttana, latinamente ffutta\ che stilk «ul davanti della porta, avea cavato (jpirciatu, dal francese per una pietra. » Mi partivu, mi partii. LA RIGGINEDDA CHI S'AVU A HARITARl Pitta ammazza a Masa. Cincu ammazza a aetU. Tiravu a cu" vitti, E! picavu a cui nun vitti. Ifandavu ' carni cotta cu paroli. Vippi acqoa né lU 'a oelu uè di 'n twra. Vitti lu moddu pirdari lu diiru. Vitti lu nicu purtarl lu gramii. fpritiij In un'altra variaate non si tratterebbe di pane (Pinta), ma dì altra cosa da mangiare; i ladri sarebbero stati venti e non sette; lo schioppo si chiama mirma. Una lepre uccisa sarebbe- Btata gravida, ed il cacciatore ne avrebbe arrostito e mangiato i feti; la carogna sarebbe stata di cavallo, beccata da uccelli^ però l'indovinello sarebbe questo : Nésciu cu Pinta e Maaa. I^Dta ammazza & Masa. Pinta ammazza a vìaU. Sparu a cu' v^u E 'nzertu a cu' nun viju. Afanciu carni nata ctk' 'un è nata. Viju lu raortu chi tira lu vivu. Viju lu moddu chi pèrda lu duru. flSonrealeJ Una variante della Basilicata ne ha il CoHPARErri nelle No^ véUine popolari itatiane, n. XXVl, col titolo: Fortuna; una to- scana il De Gubebnatis, Novelline di S. Stefano, num. XXIV; L'indovinello e gli animali riconoscenti; un'altra di Montale il NERUca, Sessanta Novelle montalesi , n. XEX: /{ figliuolo del Mercante di Milano; un'altra di Pratovecchio (Toscana) io nelle mie Novelle pop. tose. n. XVI : Soldatino; una eorsa I'Ortou, Contea populaires de l'Ue de Corse, parte I, n. XVTll : La bète à sept tètes; una abruzzese Ìl De Nino, Novelle pop. abruzz., n, XXXIII; ArvUcheme lu latine; una bolognese la Cobohedi- ' Tiravu, tirai; picavu, colpii; manciavu, mangiai. 8 FIABE E LEGGENDE Berti. Xor. pop. holor/npi^i 2* odiz., n. XV: La fola d' i hidomi. Il Bernoni, Indovinelli pop. veneziani, n. 62, racconta : * Un cazziator che, tirando a dei oselet, al gà invece copà 'na pie- gora che la giera gravia, el diseva ste parole qua, magnando l'a- gnelin che la piegora portava, cusinà a forza de carta scrita: Trago a chi vedo, E colpisse chi non credo; Magno carne creata e non nata, E a forza de parole cucinata ». Nel libretto: // Laberinto intrigato, ossia lo spassa pensiero de' malinconici^ dove si udiranno diversi indovinelli ed enigmi onesti e curiosi dati alla luce da me Giuseppe Sambo detto Ar- lecchino, dedicato a chi spende in comprarli (Bassano) p. 8, si legge: ** Un cacciatore avendo tirato ad un cervo, colpì una scrofa selvatica, gravida, e sventratala, mangiò il porcello che portava, e per mancanza di fuoco la finì di cuocere con carta scritta : Tirai a chi vidi, Colsi chi non vidi. Mangiai carne creata Che ancor non ora nata; E finita di cuocer con parole ». L'indovinello montalese è questo: Pizzio ammazzò Bello E Bello salvò me; Molle passò Duro E morto porta me. Il toscano di Pratovecchio : Stiaccia ammazzò Paola. Il morvido consuma il sodo Tirai a chi viddi. Chiappai chi non viddi. Mangiai carne creata e non nata, Cotta a fumo di parole. IL Ln latra. Cc'era 'na vota un Re e 'na Riggina ; stu Re e sta Riggina avianu tri fìgghì fìmmini : una ai chiamaTa Rosa, una Mariannina e 'n'àutra Pìppina. Un jornu lu Re chiama a Pìppina e cci dici: — " Pìp- pina, cercami la testa. , La Pippina s' assetta a l' uc- chìddu dì lu suH e cci metti a circari la testa a so pa- tri ', Gircannu circannu, eccu ca cci attrova (parrannu cu rispettu) un pidocchiu. Lu pi^hia e si metti p'am- mazzallu; ma so patri 'un vosi, e si lu fìci pusarì su- pra la chianta di la manu ", e lu misi a cuntimplari. Cci parsi curiusu , e chi pensa di fari? lusarva 'nta 'na gran bumia ' dì grassu pi fallu 'ngrassarì e vidìri quantu addìvintava. Stu pidocchiu 'nta sta bumia mahciava e 'ngrussava, manciaTa e 'ngmssava, e nuddu nni sapia nenti, pirchi lu Re 'un l'avia dlttu a nuddu , e si 1' aria scurdatu. Passatu 'napocu d'anni, lu Re, trasennu 'nta 'na càm- mara di lu palazzu, s'adduna di sta burnìa. " Oh ! dici, comu mi lu scurdai!... Quantu viju chi si nni fici , *. ' La Peppina ai eiede all'occliietlo del sole (in luogo dove era un bel raggio di sole) e si mette a ftugare pel capo del padre (per ve- dere se avesse qualche insetto). ' Sulla palma della mano. ' Bumia, bocciono, vaso a cor^io. ■ Oli! dice, coma me ne dimenticaU Voglio un po' vedere dia «a ne fece (che ne avvenne del pidocchio). 10 FIABE E LEGGENDE Ha scummigghiatu la bumia e vidi un pidocchiu grossu, grossu , ma accussi grossa ca 'un si nn' hannu vistu mai. Maravigghiatu, fa pigghiari stu pidocchiu, e lu fa scurciari, e la peddi la fa appizzari davanti lu purtuni di lu palazzu; jetta un bannu : ** Cu' addimina chi peddi è chista, 8Ì pigghia pi mugghieri a la Rigginedda, „ Li genti jàvanu a litania ^ a vidiri sta peddi , ma nuddu appi Tabbilità d'addiminarì chi peddi era chista. (Si lu putevanu figurari mai un pidocchiu di sta sorti di manera!). Va chistu , va chiddu , guardanu , osservanu, fannu passari la 'mmasciata a lu Re, ma comu lu Re vidia ea sgarravanu, cci facia tagghiari la testa, senza pietà. Puvireddi, cci avianu appizzatu la vita 'napocu di giù- vini '. Un jomu si prisenta a palazzu un giuvini , vistutu galanti, ca pareva un cavaleri. Stu giuvini purtava di supra 'na testa di magàra, ca cci faceva addiminai'i tutti cosi : e iddu era un latruni di passu '. Gei fa pas- sari la 'mmasciata a lu Re e trasi. Comu fu a la pri- senza di lu Re, senza tanti chiacchiari cci spiega ca chidda era peddi di pidocchiu. Lu Re *un appi chi cci rispunniri: cci detti pi mugghieri la figghia granni, Rosa \ Cuntintuna, la Rigginedda si licenzia di so ^ Li genti, le genti (il popolo, le persone tutte) andavano in frotta. • Poveretti, molti C^fpocii) giovani ci aveano perduto la vita (per voler indovinare che pelle fosse quella). ' Un IcUruni di passu, un gran ladrone, stradaiuolo. * Oli diede per moglie la figliuola maggiore, Rosa. Si noti che il complemento oggetto di persona dei verbi transitivi è preceduto dal segno del dativo, come fVi avvertito a p. CCXXVI, § 3 de) voi. I delle mie Fiabe siciliane. lU LATRU 11 patri, di li so' sora e parti cu so maritu. Camina, ca- mina, arrivanu 'nta 'na campagna sulitarìa, unni cc'era un palazzuni spavintusu \ 'Nta stu palazzu 'un si vidìa a nuddu, 'un si sintia mancu 'na musca; ma fratantu si tnivava la tavula cunzata, li piatta chi jàvanu e vì- nianu suli. Lu cavaleri nesci la testa, la 3Ìtùa 'nta la so càramara, e cci dici a la mugghìeri : — " Rosa, io 'un sugnu un cavaleri; io sugnu un ìatru, e ora he pàrtirì pi li fatti mei. Bada a sapìriti rigulari ,. Parti, e lassa sula a sta povira picciotta. Sula , eh' avia di fari t sì 'nchiuj 'nta la so càmmara e si metti a chìanciri la so mala sorti. Passati tri joma, veni so maritu; dritta tiratu va nni la testa di ma^àra, e idda cci cunta pani pani , vinu vinu, zoccu avia dittu so mu^hieri *. Lu latru tira 'na sciabbula e cci ta^hia la testa, e la jetta 'nt'òn cammarinu, unni ce' eranu cintìnara di testi dì tant' àutri lìiiimini chi s' avia pigghiatù pi mugghìeri; e finiu. Ddoppu 'napocu di jorna parti e va nni lu Re so so^iru : — " Maistà, Rosa è pigghìata di malancunìa, cà si vidi sula; vurrissì a una di li so' som *. , Lu Re ha chiamatu a Mariannina e cci l'ha datu. Camina, camina, arrivanu 'nta dda campagna suli- taria , e tràsinu 'nta lu palazzu. Lu latru , comu trà- sinu, cci dici : — " Mariannina, io 'un sugnu un cavaleri; io sugnu un latru; e tò soru ha mortu pirchì 'un si sappi < Dov'era un palazzo grandissimo (spaointusu). * Ed essa (la testa) gli racconta per filo e per segno cpiel che aven detto (nell'assenTa di lui) la moglie. ' Vorrebbe una delle sue sorelle. 12 FIABE E LEGGENDE rìgulari. Io ora partu ; tu resti 'nta sta càmmara , e bada a fatti toL „ Povira picciotta, figuràmunni lu spaventu! Si metti a 'n'agnuni e si metti a chianeiri a chiantu ruttu, pin* zannu a la so mala sorti; e pi tri joma e tri notti 'un liei àutru chi chianeiri e lamintàrisi. A li tri joma, ppùF- fiti lu latru \ Senza mancu salutalla, va nni la testa di magàra e cei spija zoccu aria fattu la picciotta; e la testa cci cunta una di tuttu. Senza pipitari, pigghia la «ciabbula e cci fa satarì la testa a Marìannina, e Par- ròzzula 'nta lu cammarinu. Ddoppu 'na picchidda di joma *, torna nni lu Re. — * Maistà, li picciotti su' cuntenti , ma vurrìssim cu iddi a so som la nica • ». Lu Re fa chiamari a Pippina, e cci la duna: e Pippina partiu pi jiri a tmvari a li soru. Gamina, camina, arrivanu a lu palazzu di stu latm. Comu arrivanu, lu latru cci la lu solitu discursu: — *" Pippina, io 'un sugnu un cavaleri; io sugnu un latm; e li to' soru su' morti tuttidui , piccU hannu parratu mali di mia, e 'un s'hannu suputu rigulari. Io ora partu; tu bada a fatti toi ». Pippina, a sentiri stu discursu, fici la morti chi s'havi a fari *■ ; ma 'un pipitò. Lu latm parti , e Pippina cci * Ai tre giorni toma iinprowisaiueate il ladro. * Dopo un pò* di giorni. * Li piccioli ^ le ragazze (le figliuole di V. M.) son contente, ma vorrebbero la loro sorella minore. *.Fiei la morti ecc. Intendi che la Peppina, a sentire quella di- chiarazione, fU per provare la morte che tutti dobbiamo avere. LU latri; 13 misi a fari tanti mtllàfìi ' a la testa di maicàra; quaiiiiu cci par^I ad idda, va a 'dduma 'na eareàra di focu, af- Terra la testa, la j'elta 'iita ddn focii o l'abbracia. Orimi sì cmisumù la tfsta, miii-iti, niiui .-i triivava, in lafru. -Siibbitu gl'api Ih cainniai'iuii, pì;.f^fliia un viLsittiiiii l'iiii niigucntu chi ce' era ddà dintra, unta li tfsti fli li "-i' som, poi li ter-ti di tutti 1 aiitri, n cniau li java iintanini, jàvaiiu arrivisd-'iiini. Sì pì^Iji.-|[iii li jrran dinari ciii c'''- ranu ammassati 'nta 'na càmniara di in palazzi] <• tur- ìianu niii so patri. l,n patri asi';ntiri li (filai tli'aviaiiri passata li fìj,'iili! si mr-^i a cliiariTÌri ': -ii ral^braxKiVii e rasava aamìi puliiisi saiiziari liiai. I/Mi ari; sUni lì!i<'i ;:iiiili.-i;lr. j li 'l'-tlli. VAIil.WII K ({l-jf:0.\TIfI Cfr. pi.'t^.iii. !:!,■ <-.,\ iì -;-;■ .-r.r:i. .m,Yk. ■'.-.■ ■' ■-■■ - i\>\ tnill. :! E lo mandi da me per qu|lche sorta di medicamento (per una medicina. « Sai ! io sono guarita: adesso conviene (è giusto) che si vada dal jnugnaio e gli facciamo ringraziamento. U TRI CANI 21 sciai tutta. Vacci unni tu mulinarli, si havi guacchi mi- dicatuentu; forsi pozzu stari bona., — ' Ora cci vaju. , Si nni va Peppì, va nna lu mulinarli: — " Pò essiri aviti quacchi midicamentu... Me som è usciata tutta; cci pu- temu dari quacchi riparu?,.., — " Sì, 1' haju;ma cu pattu mi ha' a dari li cani, (cà iddu prima cci dicia di vui, e poi coi dicia di tu, picchi avianu trasutu 'n cuntidenza), — " Cani, nenti ! , cci dissi Peppi.— " E tò soni pò mò- riri quannu voli, cà io non cci dugnu nenti. , — " 'Nca allura, cci dissi Peppi, ti nni dugnu unitta , \ — " Mai *, mi r ha' a dari lutti tri. , — " Mai ! non pò dessiri. , — ' Àllura ti nni di^^u duittl '. , — ' Mai ! tutti tri mi i' ha' a dari; chi * mi li duni tutti tri, mi ti dugnu lu mi- dicamentu. , Peppi, tuttu custrittu, dici: — "Ha a mò- riri me som ■* ? ti li dugnu tutti tri li cani , : e cci li desi. Lu mulinaru pìgghiòi, e cci desi lu midicamentu. La som, mentri lu frati era nni lu mulinaru, si lavòi, e stesi bona *. Apuoi 'rriva lu frati e cci poria lu midi- camentu; idda fìnta chi si lu p^ghia, e finta mi sta bona, — " Ora, dici idda, nni cummeni mi cci facemu lu rin- grazia ó mulinaru, mi stesi bona '. ,— ' Sì, jèmucci ,, lu frati cci rispunnL Cci jeru e cci fìciru lu ringrazio. > UniUa, uà solo (dti cani). * Mai, ia mdliano è aw. di negazione, e vale no. ' Duitti, due. * Chi, por «, se. Vedi la nota 1. di C|uerts novella a p. 1. ' Ha s (Devo io laadar) morire mia sorella (per il terzo cane)f * Si lacòi, ai lavò e guari. ' Adeaao, dice tei, è giusto che si l'ingrazii il mugnaio d'asiermi i» guarita (d'avermi egli guarita). 22 FIABE K LK<;o (da) mangiare, sigari, sedie per sedersi, ma esse sempre mute. Stettero, stettero un pèzzo; aU^ultimo |fli dissero. » TJn po' p^*^ ima (di Ioto). * Surgi, alza questa lastra! I.I TRI ^'A-Vf 27 vi la sùri^iu ^. Lii puiitani \ iiui itldu non vosi suiyirì ^a balata. Iddi pig era so maritu. SU dui frati eranu cu tutti li riuzzi , li cavaleri e li • principi chi Peppi avia fattu arrivìsciri; e s' assittam ' a tavula pi divirtirisi un pizzuddu ddoppu li guai chi aviauu passatu. Discursu porta discursu; vinnim a pa^. rari di Peppi, ca 1' avia libbiratu a tutti cu dda ' 'nguentu. La Ri^nedda sintia senza parrari; ma capiu chi chiddu eh' avia partutu la secunna vota pi lu jar- . dinu era so cugnatu e no so maritu. Sì singaliau a Peppi 0 poi si pirsuasi cu' era so maritu. Allura si susi e si . 1' abbrazza e flci la gran festa. Lu 'nnumani so cu- gnatu Peppi partiu pi jiri a truvari a so patri e a so PiTKB. — Fia}/e e Legrjfinde. 4 50 PIABE E LEGGENDE matri, e tutti li rìuzzi parteru punì pi li so' regnL Vin- niru so patri e so matri: lu marinaru e so mugghieri, e Ninu li vosi a palazzu cu iddu; e campani tutti sinu . a vecchi. Iddi arristaru fìlici e cuntenti, E nuatrì ccà nni stricamu li denti. Bagheria K VARIANTI E RISCONTRI Due versioni di questa novella diede la Gonzenbagh , Sieil. Màrchen, nn. 39 e 40: Von den ZwiUingsbrudern e Vòn den zwei BrUdern ; una albanese di Sicilia diedi io stesso nelle mie Fiabe, v. IV, p. 296; una delle province meridionali d'I- talia R. La Guàrdia, nel Libro delle Fate (Roma, Penna, 1887), p. II, p. 60, n. XI: Il pestello d'oro; una toscana il De GuBERif ATis , Le Novelline di 8. Stefano, n. XVIII: // pescatore; un'altra toscana di Pisa il Comparetti, Novelline popol. iUd.^ n. XXXn : La Nuvolaccia; una veneziana Wtoter e Wolf : Volkstnarchen aus Venetien , n. 8 : Der Drachentddter; una tirolese lo Schneller , Sagen und Màrchen , n. 28: Die drei Fischersohne. Per altri riscontri fuori d'Italia, vedi le note del Kóhler nel Jahrbuch f, rom, u. engl. Literatur, VII, 2, pp. 132-34, e nei Sicil Màrchen, v. II, pp. 229-30. Ci vuol poco a riconoscere qui alcuni tratti del mito di An- dromeda. * Raccontata da Angela Puleo, contadina a 66 anni. ^ Donna Peppa e Donna Tura. Cc'èranu 'na vota 'nta 'na casa dui suora, reeci tut- tidiiì e bruttuna ', ca mancu si putìèvunu guardarì: una si damava * Donna Peppa e una Dtinna Tura *. 'N jorau una di sti veccijittau 'n cianu 'na vaglia d'acqua d' 'a finèscia ' ; e siccomu sta finèscia era iàuta d' 'a vanedda, a lu scupparì l'acqua 'n terra, fici li cuncu- nedda cu la scuma *. 'Nta stu mentri passava di ddà lu cammarieri d' 'ò Re; chistu comu vitti ca l'acqua fici la scuma, dissi tra d'iddu: " Certu 'nta sta casa ed hanu a stari genti puliti ; cu' sa su nun ce' è corelii bedda picciotta... , '. ' Vecchie tutte e due e bruttane (molto brutte). * In questa parlata la voci vecchiu, chiamari, chiana, ucehialiari, iissunnaochiatu , echiù, oeohiu , chianciri , perdono la A, e « pn>- nunziano: veccia, veccbio; eiamifi, chiamare; cianu, piano; uocia- liafi, adocc'iiare; aisunn^Kciaiu, aonneccbiante; ceiù, più; òcoiu, o«- i;1iio; ciànairi, piangere. Cosi parimenti le voci: voff^hiu, mìgghiu, fyyhiu , ecc. diventaDO vòggiu j voglio ; meggiu , meglio ; /^lu « (^lio. ^ Donna Giuseppi e Danna Salvatora. Il titolo di Donna in Sicilia, ù dato a qualunque donna che non aia plebea affatto. < Un giorno una di queste vecchie gettò in piano (sulla strada) un bacile d'acqua dalla fineatra. ' E siccome questa finestra era alta dal vicolo, al cadere dell'acqua in terra, Tece le bolle con la schiuma. * Certu, certamente in questa casa hanno a stare (abitano) per- sone pulite; chi ta «e {su) non c'è qualche bella ragazza! 5:2 * FIABE E LEGGENDE Lassamu a stu criatu pi 'n pizzuddu , e piggiamu ò Re K Duviti sapiri ca lu Re ogni tantu damava 'nti 'na càmmira ad unu ad unu lì so' cammarieri, e cci spi- java si sapìssunu corchi picciotta bedda pi piggiarisilla pi cammarera. Vinni 'n jornu ca ciainau punì versu quattr' uri di notti a stu cammarieri e cci dissi: — " Don Giuvanni, chi mi cuntati di buonu ? „ — " lu, Signuri Re^ nun haju nenti chi diri : sulamenti haju uccialiatu * oggi 'na casa, ca cci ha ad essiri 'na picciuotta bedda; si lu Signuri Re la vo' vìrriri... » — " Sì, Don Giuvanni: la vuòggiu vìrriri. Dumani t'aspettu cu diddà a sett'uri di notti. „ — " 'Nga vidìmu *, Signuri Re. „ — '^ Chi vidi- muL Cu mia chi cc'è vidìmu!! Dumani sta picciotta * ha d'essiri ccà !.. „ Don Giuvanni si nni iju senza mancu parrari. 0 'nnumani assira, versu quattr'uri *, stu Don Giu- vanni va darrièri la porta di li du' suoru e tuppulia: ^ Tuppitù! „ — " Cu' è dduocu? „ rispusi Peppa tutta as- sunnacciata. LU criatu 'ntisi dda vuci tanta brutta di véccia, e attintau ^; ma puoi pinsau : '^ Sarà certu la criata „ e rispusi: — " lu sugnu, lu cammarieri d'ò Si- gnuri Re. „ — " Ma niàutri cu lu Re nun àmu avutu ^* mai amicizia; e puoi a st'ura quannu mai !.. „ * Lasciamo questo servitore un pochino, e pigliamo il Re. Pirfgiariy della parlata, per 'pigghiari, * Haju uccialiatu^ nel dialetto comune ucchiatu^ ho adocchiato. * Dunque vediamo (vedremo). *Nga^v 'nca, 'unca^ dunca^ dunque, ** n domani, verso quattr'ore di sera (cioè dopo rAvcmaria). * B stette in orecchi. dmu, non abbiamo (dtuK^ coutr. da avc/nu) avuto. DONNA PEPPA E DONNA TURA 53 La suora 'ntìsi ca era cosa d' 6 Re e 'nta du' botti si 'nfilau la gunnedda e cci va a grapiu '. Acciana ddà supra, e lu criatu eci spijau: — ' Chi siti sula? L'àutri unni sunu ? , — " 'Nga chi g:iti circannu ? Ccà cci sugnu iu; e ddà intra cc'è ma suora Peppa. , — ' Ciamàtila, cà ad idda haju a parrari. „ Si parti Tura e la va a eia- mari. Veni Peppa, e lu criatu si vidi davanti du' vecci bruttuna, ca nun ce' èrunu li pariggì : l'occi abbusic- ciati ' ; vistuti malauriusi. Povini criatu , si misi 'nta peni; ma dissi : — " *N cc'è rimedia : o cci la puortu ò buonUjO cci la puortu 6 riu; osonnò cu' sa comu la piggia lu Re! „ E si vùtau cu la cciù maggiurra % ca era Donna Tura. — " Viditi ca vi vo' lu Re ora ora; perciò visti- tivi ca v' accumpagnu iu. , — " Ma lu Signuri Re chi ■■ ha a vuliri di mia? , — " Nu lusàcciu; allistitivi, ccU- tostu , *, Chidda, menza 'nta peni, trasi ddà intra 'nta l'àutra càmmira, si piettina li capiddi, 'n para di pin- nenti d'oru fàusu si misi, pirchi èrunu puvirteddi, 'na gunnedda nova di musulinu, 'na sciannàca di cristallu, 'na fìttuccia antica s'attaccau 'nt'ò cuoddu, 'n pani di scarpi li mièggiu ch'avìa, la mantìllina. e toraa nn' 0 < E in un attimo (Aoftii=colpi) s'infilò la gonnella e va ad aprii^. • Gli occhi aaaecchiti {rientranti nelle occhiaie). AbbusiaiiaH per ^Abisicchiaci. ' 'N cc'è rin^diu, non c'è rimedio : o gliela porto (conduco) con le buone, o gliela porto con le brutte; aitrimenti, chi sa come la \>t- glìa il Re. E ^ voltò con la maggiore (delle duo eorelle). Osannò, nta' sinnò, vasinnò, sinitì, se no, altrimenti; cciù ìifijgiui\i, lotteralnt, più maggiore. * Noi so; allestitevi (abrigatevi), piuttosto. 54 FIABE E LEGGENDE criatu ^ Ghistu, coma la vitti, si calau l'occi e suspi* rau. — " Amuninni ,, cci dissi. Nièsciunu 'n cianu • e «f mèttunu 'n carrozza (sta carrozza V avia purtatu lu criatu) ; comu si 'ncarruzzarru, partiemi •. Dduoppu ca pòttunu passari du' cantunieri *, si vota la véccia cu lu cammarieri e cci dici: — ** V'haju a diri *na parola: Ta- citi tèniri 'n pizzuddu * , cà haju a scinniri 'n mu- mentu. „ Chiddu dama ò gnuri *, fa tèniri , e la flm- mina scinni dispiaciuta , 'n sapennu chi cci nni viifia d' ò Re. Comu scinniu , era *ncuzzata di ciantu ; 'nta mentri passa 'n fataciuni '^^ la vitti accussì, e cci spijau — ** Figgia mia, chi hai ca arora cianci ? ® » — * 'Nga ch*hé 'viri ®, ca mi mannau a ciamari lu Re; e iu nun sugnu cosa di cumpàriri: brutta, véccia, comu *na spil- lacciuna ^^ „ — " Nenti, flggia mia, vidi ca nun cci si*" * *N pam ecc. un paio di pendenti d' oro falso si mise , perchè (queste due donne) erano poverelle, una gonnella nuova di mussoline, una collana di cristallo , una fettuccia antica (vecchia) s' attaccò (si legò) al collo, un paio di scarpe le migliori che avea, la mantellina' e toma dal servitore. * Amuninni, andiamocene, le disse. Escono sulla via. ' Partierru, per parteru^ partirono. * Dopo che poterono passare due canti (quand'ebbero passate un paio di case). * Fate tenere (fermare) un poco. « Chiddu, colui (Don Giovanni) chiama il cocchiere. ^ 'N fataciuni, una fata maschio. * Figlia mia, che hai che piangi ? Arora^ secondo TAvolio (Canti pop. di Noto , p. 34). significa « quasi , pressoché , da un momento .all'altro.» • » Dunque, che ho ad avere ! "Nga, qui riempitivo popolare. *® Spillacciuna per spillacchiuna^ povera, miserabile. DONNA PBPPl. E DONHA TURA 6& làita '; si' tanta bedda !... „ e chistu sì noi iju. Da veni^ 'nta 'n mmnentu la fici addivintari 'na picciuttedda bidduna , vìstuta 'n pampina d' arandu , dna dì cosi d' oru e diamanti ', anedda , spiUuna , cviUani e tanti cosi priziusi. Idda, comu si vitti accussì pulita , si 0.0: tutta allèira, e acciana. 'nt' à carrozza *. Lu cammarieri' comu la vitti, un la canusciu cciù, e cci apijau:— " C3a' siti vui ? „ — * 'Nga chidda d' antura- , — "Ma vui mi pariti diversa; ebbeni: amuninnL, F^urativi chi siflci cuntenti lu cammarieri ! e partiemi. Arrivati nn'ò Re, èrinu li sei uri abbullati *; lu cam- marieri la fid tràsiri, e conju lu Re vitti dda picciotta tanta bidduna , arristau cuntintuni , si vùtau cu Don Giuvanni e cci fici 1' appròsit *. Donna Tura arristau nn'ó Re. '■ '. Jamu a l'àutra suoni. Donna Peppa la 'nnuraani , comu nun la vitti tur- nari, pi vìrriri chi cci attuppau *, si vestì e va nn'6 pa- lazzu d' ò Re, spijau di Donna Tura e cci la ciamarro. Donna Tura trasi tisa tisa e si cci anmiusciau ', ma < Làila per làida, laida, brutta. ■ 'Nna picciuttedda, una ragazza bella da vero, vestita in (dì co- lor dì) fbgllo d'arancio, piena (cina) di cose d'oro e dì diamanti. ' Tutta allèira, tutta allegra (lieta), e sale nella carrozza. * flrano le 6 ore predse (dopo l'AvemarU). ' Appròsit, latinismo popolare, prosit. ' Per vedere ohe intoppo le fosse accadilo. Attuppari, della par lata, per 'niuppari, v. ioti'., accadere, clie in alcune parlate vale ior vece turare. ' E si cci, e le si mostrò. Ammusdari^ della parlata, per canmu- strari, come flnéscia, per finestra, ecc. 56 FIABE E LEGGENDE comu vitti a so suoni Peppa s'aflfruntau, cà era misi- riusa; cci fici la limuosina e nni la fici giri *. Peppa di sta fùrtuna di so suora nn'appi 'mmiria magna. 'N àtru juornu Peppa cci iju, e Donna Tura arrieri cci fici la limuosina, e la stapia ^ lassannu. La Donna Peppa la clama e cci spija acìddu acìddu •: — ** Comu facisti pi fàriti accussì bedda ? dimmìlu. „ Donna Tura, ca già nun raustava'vimri *, pirchi 'na vota ca lu Re la vitti cci raccumannau a Tura di nun falla vièniri cciui, cci dici:—'* Figgia mia, mi fici scurciari; paiai a 'nu varvieri, e chiddu mi scurciau °; pacènzia, tantìccia di duluri, ma Cu' bedda vo' pariri, Duluriiiyo' sintiri. Anzi su la vuoi fari tu, clama 'nu varvieri; fatti scur- ciari; ccà cci sunu li dinari pi lu varvieri; „ e cci desi 'na junta di pezzi di dudici \ La Donna Peppa si li piggiau e si nni iju. Comu si nni iju, grittu grittu trasi 'nta *nu varvieri e cci dici: — ** Scurciatimi! » Lu varvieri attintau, e cci ^ Giri, della parlata, per jiri, gire, andare. Nel dialetto sicil. «o- mune giri è plur. di gira, s. f., barbabietola. ' Stapia, della parlata, per stava, ^ La dama, la chiama e le domanda adagino adagino (sottovoce). Acìddu, contr. di adaciddu, dim. di adàciu, adagio. * Ca già, letteralmenle: Che già non le gustava di vedere. Intendi che a lei non piaceva più di riveder le sorella dal momento che il Re le avea raccomandato di non farla più venire. * Paiai, pagai mi barbiere, e lui mi scorticò (spellò). * ^ S le diede ima junta, di pezzi da 12 tari. JwUa, misura che è cape nel concavo d'ambe le mani unite. DONKA PEPPA E DONNA TCRA 57 dissi: — " Ma vu' chi siti pazza ! coinu sfintri stu du- luri ? ! ' , — " 'N àti pauTii *; ccà cci sunu li dinari , e vi paiati quanta vulìti. „ Lu varvieri, comu vitti li di- nari, s'alluciu l'occi *, e dici 'nta d'iddu: " 'Nga quaré lu me^iu ? scurcialla ; e ora la scòrciu. , Si vota cu la véccia: — " 'Nga : vui àti a fari Iq forti *; asslttàtivi ccà „, e la fici méntri "'nta 'na eeggia. Pi^ia 'nura- suolu e accumenza a taggiàricci 'n pizzuddu di peddi 'nta la franti. Comu desi lu prima cuorpu d' ò rasuolu, la Donna Peppa jittau 'na vuci: — " Ahi ahi ! , Rispasi lu varvieri: — " 'Nga lassamu stari ? ,— * Gnanò *, mon- sù ', scardatimi, cà he pàriri bedda comu a ma suora, Arrìeri taggiava cciù vàsciu lu varvieri *, e chidda: — " Ahi ahi! ,— * Vi lassa perdìri? ,■ * dici lu varvieri.^ " GnanòjScm-ciatiiCà he pàriri bedda coma a ma suora.» Chidda sicutava, ma comu arrivau 'nta la gala e cci taggiau 11 cannarozza ^'j la Donna Peppa murtu. Lu varvieri coma la vitti morta, cìamau da' mastri • ca èruna 'n faccia, e s'avèvunu austatu tutta la vista, e li vosi pi tistimonii, ca iddu 'n cci curpava ". Vinniru ' Come sentire questo dolore ? ! * Non abbiate paura. ' Rimase abbarbagliato. * E dunque ; il torte l'avete a far voi (siete voi che dovete resistere). ' Méntì-i, contr. da nièntiri, corau méllri da tnèttiri, séntri da * Gnarv} per gnirn'), gmirrù, (^^^ignor no), no. ' Monsù, titolo do' barbieri e do' cuochi; dal frane. 7>v>nsieur. * VA nuovo (arrieri) tagliava più in basso il barbiere. * Lassari perdiri, in queatJ] senso, lasciare andare, non foroe altro . " Cannaroiia, s. m. pi., canaio della gola. *> E s'avèouitu, e (questi due maestri) s'erano goduta tutta la vi- fi 58 FIABE E LEGGENDE li bicchini, si la piggiarru e si la purtarnu La Donna Tura come 'ntisi ca sa suoni a via mortu^ s'arricriau e dissi:—* Mi la livai armena di 'n cuoddu *. Chidda murfu E lu cimtu finfu. Bagusa^ Inferi are *. VARIANTI E RISCONTRI. Una variante siciliana della provincia di Messina è nei SicU^ Màrchen della Gonzenbach, n. 73 : Von dem Konig, der eine schone Frau taoUte; una napoletana nel (Junto de li cunti, 1, 10: Scortecata; una abruzzese nelle Fiabe del De Nmo, n. LXIV: Eaddppola d'uva; una veneziana nelle Fiabe del Bernoni, n. XVI : Le tre vede \ una tirolese, con notevoli differenze, nei Màrchen und Sagen dello Schneller , n. 29 : Der Frosch (La rana). L'argomento della Scortecata è questo: " Lo Rè de Rocca- forte se 'nnamora de la voce de na vecchia: e gabbato da no dito rezocato, la fa dormire cod'isso: ma addonatose de le re-* chieppe, la fa iettare pe na fenestra, e restanno appesa a n'ar- volo, e fatata da sette Fate, è deventata na bellissema giovana; lo Rè se la piglia pè mogliere; ma Pantra sore 'mediosa de la fortuna soia pè farese bella, se fa scortecare e more. „ sta (la scena della donna che s'era voluta fare scorticare), e (il bar- biere) li volle come testimoni che egli non ci avea colpa (della morte di essa). ^ Almeno me la levai d'addosso. ' Raccolta dal prof. Carlo -Simiani. •Kiia*>>au.W _^ La bodda pìccìotta. Cc'era 'na vota un parrinu e aveva un niputi Riuzzu (veni a diri ca stu niputi era fì^aiu di so soni, ca era mugghieri di lu Re). Stu parrmu «ria 'nta la so casa 'na càmmara cliina di quatri 'n pittura, e 'nta sti quatri cci un'era nnu cu 'na bedda picciotta. Lu niputi un jomu, prima di nèsciri, trasi nna la càm- mara e guardanuu guardannu sì firmò a ussirvari stu quatru cu sta picciotta. Lu ziu lu chiamava, e iddu facia finta d' 'un sentiri. Allura cci 'ncv^a e cci dici: — ' Tu, ehi vurrissi jiri ddocu, nni ssa picciotta? ,~" Sicuru ca cci vurrissi jiri; ma comuV , — " Bmì: cci pensa io. Io haju un porca: stasira ti cci metti a cavaddu, chiuj l'occhi e iddu ti cci porta. , Ziu e niputi arristam ac- cussì. Gomu difatti, la sira !u Riuzza si misi a cavaddu a lu porcu e 'nta un vìdiri e svìdiri fu purtatu a la casa di la picciotta di lu quatru. Arrivata, la salutò e si mi- sim a manciari. ■ Passatu du' uri chi era cu idda, cci adduraannò li- cenzia, e snpra lu stissu porcu si nni turno a la casa -dì so ziu. Gei cunsigna lu porcu e cci dici : — " Dumani sira mi lu voli fari lu favuri di 'mpristarimiUu arreri pi quantu vaju nni sta picciotta? , Lu ziu , di prima cci dissi no, ma poi, ddoppu un pezzu dì cat ùniu \ ce ' Questione, quei'ela, disputai. 60 FIABE E LEGGENDE dissi di si. E lu 'nnumani sira lu Kiuzzu iju arreri nni la picciotta. P'abbriviari, cci vulia jiri arreri la terza sira, ma lu porcu si siddiò, e quannu vitti lu patruni cci dissi chiaru e tunnu ca a lu Riuzzu 'un si lu vulia purtari cchiù a cavaddu, e perciò circassi un menzu pi fariccillu li- vari di 'n testa.Lu parrinu cci rispusi: — ** Mentri è chissu, senti eh' ha' a fari: dumani sira tu cci lu porti arreri. Vidi ca idda, la picciotta, pi cena cci fa attruvari pisci; mentr'iddi si lu stannu pi manciari, tu ti finci gattu, cci Tarrobbi e ti nni fuj; ma però guardati, pirchì idda ti tira lu murtaru ; è certu ca cu stu murtaru nun ti 'nzerta, ma va a pigghia ^ U cristalli di la finestra; comu poi nisciti pi jirivinni, me niputi s'azzicca ddi pizzudda cristallu 'ntra li carni ; e accussi mori e nni lu livamu di supra. „ La sira lu Riuzzu iju nni la picciotta, truvò li pisci, e comu si misi pi manciari, èccuti la gatta ca s'afferra li pisci; la picciotta tira cu lu murtaru, e, allocu di 'nzir- tari lu gattu, 'nzerta li cristalli di la finestra, e si fi- €iru milli pizzudda. Lu Riuzzu, quannu fu ura di jiri- sinni^ nesci di la finestra, e si 'nfila tuttu lu vitru 'nta li carni; junci a palazzu un pezzu di sangu *. Lu Re comu lu vitti si misi li manu a li capiddi: — " Figghiu miu ! e comu fu stu focu granni !... „ Jetta un bannu: ** Cu' fa stari bonu ' a hi Riuzzu, havi un grossu cum^ primentu. „ * Ma va a colpire. ' Junci, giunge a palazzo tutto insanguinato. » Chi risana, chi guarisce. LA BEDIU PICCIOTTA 61 - Lf^samu a lu Riuzzu malatu, e pi^hiamu a la pie- ciotta, ca quannu fu ura di manciari e ed purtani lu pisci, coma Io iju pi ta^hiari vitti ca cci niscia sangu. Cunfusa, chiama li caramareri (ca erana fati) ', e cci spija chi vinia a diri stu sangu. Li cammareri cci cun- tani lu fattu, e idda chianeennu si vesti di medicu, si coci 'na certa erba, e si nni va a passiari sutta lì fini- struna di lu palazzo riali. Li sirvitura 'n vìdennu stu medica, acehìananu nni lu Re e cci passanu la 'mma- sciata di stu medicu. — ' Fadtilu acchianari subbiti)! , dici lu Re. Trasi e trasi sta piceiotta finta medicu , e comu osserva lu Riuzzu, cci cumincia a untari ddu mi- dicamentu , e comu cci lu java untannu , j'avanu ni- scenuu li pizzudda di vitru. Ddoppu menz' ura lu Riuzzu era bonu *. Figuràmunni la cuntintizza di lu Re! Chiama stu medicu e cci dici : — " Dumannati zoccu vullti, ca vi lu dugnu. „ — " Io nun vogghiu nenti, Mai- stà. Io vogghiu sulu st' aneddu di brillanti ca vostru figghiu havi a lu j'Idltu, e sii pizzudda di crislallu ehi iddu avia azzlccati 'nta li carni. , — "Ti sia cuneessu!, e la piceiotta si pigghla l'aneddu di brillanti e U cri- stalli, e si nni torna a la casa. Lassamu a idda e plgghlamu a lu Riuzzu. Appena lu Riuzzu nmciu , va nni so ziu, e cci dici — " Ziu mio, dicissl zoccu voli : ma io pi staeìra vog- ghiu 'mpristalu lu porcu , cà he jiri nni dda 'nfami fimmina, e l'hé jlii a 'niraazzari, mentri ea Idda stava facennu mòriri a mia. , — " Fa zoccu vói „, cel dici lu ziu. ' Chiama le caincrit^re (die erano delle fate;. ' Era lionti, era già guarito. ^i FIABE E LEGGENDE Eceu ca la sìra va nni la picciotta, e comu trasi ce dici : — ** Tu nun si' chidda ehi mi stavi facennu mò- riri ? Perciò ora io fazzu mò^ri a tia ». — " Ma prima d' amraazzàrimi — ed arrispusi la ^uvina — t' he par- rari. Dimmi : Cu' ti detti la vita ? „ Risposta di lu Riuzzu : — ** Un medica furasteri. „ — ** E qoann' è chissu, ti lu fazzu canusciri io stu nledicu furasteri Canusci sti pezzi di cristallu ? Canusci st'aneddu ? » Lu Riuzzu, vidtnnu sti cosi, risto comu un loccu; e rica- nusciu cu' era chi Pavia fattu stari bonu. Ddoppu di chistu stabileru di maritàxisi; e di fatti si ficiru li gran priparativi, ficiru vèniri Dami e 'Ngranni di Curti, e si maritaru. Iddi arristaru filici e cuntenti, E nuàtri ccà senza nenti. Palermo ^ VARIANTI E RISCONTRI Il fondo di questa novella sì riscontra con la Rosamdrina e con le Palli mctgichi, nn. XXXVII e XXXVIII delle mie Fiabe siciliane; con Lo Serpe, del Cunto de li cunti, U, 5: ed in parte anche con Verde Prato II, 2; col Conto del re dei sette véli di Piano di Sorrento, pubblicato dall' Amalfi nella Nuova Pro- vincia di Molise, an. IV, n. 10 (Campobasso, 5 marzo 1884); con le tre novelle romaue della Busk, Folk-lore of Rome: The Pot of Marjoram, The Pot of rue, e King Otho ; con la se- conda metà della Coscia di monaca, n. IV delle mie Novelle ' Raccontata da Domenico Ingrassia di anni 83, fabbricante di tu- raccioli di sughero. Li BEDDA PICCIOTTI toscane ed anche in parte co» la Mela, n, V; con // figliuolo d»l prìitiàpa atregate del Moiiferraft- , a. VJU, e con Zr Mtfe paia di acarpe di ferro, n. LI delle NoteUine pop. Ualiane del Gohpauctti ; con La penna d' oro piemontese di MonteCi da Po , n. VII delle mie Novelle pop. piemontesi e toscane ; con Ber goldhaarige Prinz (H principe dei capelli d' oro) , n. 21 de' ì&rehtn und Sagen dello Sghneller. . vili. La Riggina superba. 'Na vota, s' arriccunta ca ce' era un Re e 'na Rig- jriiia. Sta Riggina era superba e mala prucidiusa *; s so maritu cci dicia 'na parola, idda si cci vutava ma- lamenti. La matina cci javanu li Dami a purtàricci lu cafè, e idda stu cafò, tutta stuffusa, cci lu jiccava *. Ora li Dami pinsaru di jiri nna lu Re e cci dicinu : — " Mai- stà, nuàtri 'un cci putemu arrèggiri cchiù cu la Rig- gina; zoccu cci purtamu, nni lu jecca di supra; 'un si cci pò diri 'na parola, ca si siddia; e chi manera è chi- sta ? !... „ Lu Re, pinsirusu, 'na jurnata tinni cunsigghiu. hi savii cci cunsigghiaru di mannari a chiamari ón Màu. Comu arrivò stu Màu,lu Re cci cuntò una di tuttu, comu qualimmenti avia sta mugghieri ca 'un cci putia rìsistiri, e tuttu. Lu Màu cci dissi : • - " Maistà , io la vurria canusciri a sta Riggina „.— " E òhistu è nenti, cci dici lu Re; io vi fazzu stracanciari di Ginirali; ac- cussì viniti cu 'na fragata, fincennu ca siti un Ginirali furasteri, e muntati a Palazzu. „ Accussì fìci lu Màu; si 'mmarca, arriva, comu dicis- simu, a Napuli. Sarviata , festa... " Lu Ginirali vinni Una fragata 'nglisi vinni!.... „ un ciarrauliu di casa di diavulu. Scinni stu Ginirali, e lu Re cci iju a lu 'ncontru a jirisillu a riciviri. » Mala prucidivsa o prucidnsa, di cattivo procedere, sgarbata. 2 E idda, e lei, tutta sprezzante, codesto calìe lo buttava loro, lo j pppingeva. Jiccario jittari, gettare. o sala eei d, 'nglia nodi oraw sita / tatù, la Ri aBft ritra* stul ghiei mi:- TÓtal sugai faszu e foCT ghiitoiT Mtf' w Prarto (la (, venctitore Napoli) e di qaadumi o quaruini (caldume), cioè di interiora d'animali macello, delle quali il popolino è molto ghiotto, e beve, quando d può altro, il brodo. ' Pi Jiri, per andare ad accendere il fuoco rta lucij. PiTRfc. — Fiabe e Leggende. 5 (M) FIABE E LEGGENDE wevu, cuminciò a pinzar! ca forsi chistu era un castga di In Signuri pi la superbia ch'avia avutu. So mantu però vidennu ca idda 'un si vosi sìisiri, si susiu iddu e hi luci lu iju a 'ddumari iddu, pi fmiri lu catùniu. Ddoppa poi nisciu pi ghiri a ehiamarì a so soggira. So soggira n nni la figgUia (pirsuasa ca chidda era so figghia) e ed dici : — ** Figghia mia, dunni ti vinni sta fuddia ca ri* Riggina ? Chi Riggina e Riggina ! Tu si 'na povira qua- rumara „.— * Io sugnu 'na Riggina ! „ — " Chi Riggina! 'un vidi ca ti stannu niscennu li sènzii ? , Fu ura di manciari, e la soggira cci detti nantìcchia di zinenu *. — " Chi su' sti cosi ? dici la Riggina. Io chi manciù sti purcarii? Io sugnu 'na Riggina „. A menzijornu la stissa cosa ": e arristò dijuna. 'Nsumma fici sta vita pi 'napocu di jorna , tantu ca si pirsuasi ca Riggina 'un ce' era cchiù, quasanti ■ la so superbia; e si misi davanti a la quadara a vìnniri lu vrodu e la quarumi. Lassamu a idda , chi vinni'a quarumi , e pigghiamu a la mogghi di lu quarumaru, ca già si truvava a pa- lazzu riaU. Agghiurnannu lu 'nnumani, vannu li Dami di Curii a purtàricci lu cafè, e la vidinu sporca e tutta 'ngra- sciata; 'nsa chi cci parsi a iddi. Si vòtanu e cci dicinu: — *Maistà, si pigghiassi lu cafè „. La quarumaua, 'uu sapennu chi rispunniri, taliava a tutti comu 'na 'nta- mata ^; si pigghia lu cafè e li ringrazia. Li Dami la * Cci detti, le diede un po' di (intestino cotto della parte del) duodeno. * jCa stissa cosa, cioè lo stesso tuppertù e lo stesso rifiuto del po' di -duodeno. ' Quasanti, causante, a causa di. * Taliava, guardava tutte come sbalordita. LA RIGGINA SUPERBA' 67 inettinu 'ut' ón bagnu e la fannu bedda pulita ; poi vannu nni lu Re: — ' Maistà, la Riggina chi si vosi stra- t'urmari ?... S' ha pìgghiatu lu cafè senza jiccarinnillu di supra ^ ,. Si parti lu Re e va nna la Ri^na:— " Maistà, corau l'aviti passata stanotti?, Laquaramara, stunata: — "Bo- na, e vai ? , — " Bonn, , cci arrispuimi In Re, maravig- ghiatu ca la Riggina cci avìa rispunnutu 'na vota senza superbia. A li tri jorna va luMàu, e cci spija alu Re:—" Mai- stà, comu s' ha dipurtatu la Riggina ' ? , — " La Rig- gina è 'n' àutra: , (cci dici lu Re): 'un havi cctiiti su- perbia, e rispunni senza fàrisi agra. Si pò diri ca can- ciò custumi , ; e cci cUmprimenta a lu Màu 'na gran summa di dinari. Lu Màu pigghia e si noi va. Jamu a la Riggina vera, ca abbuscava vastunati notti o jomu, pirchì 'un si vuleva sùsiri matinu-e 'un vuleva manciari zoccu ce' era a la casa di lu quarumara. Iddu quannu so mugghieri (cà iddu si figurava ca la Rig- gina era so mi^ghieri) faeia la sghinfignasa, cci li su- nava di mala manera *; e idda a gridari sempri:— " 'Un è chista la me casa ! io sugnu Riggina, e la me casa R lu palazzu rial! ! , Di -li tanti vastunati, la Riggma-quammara nni cadiu malata ; si chiama a unu pi falla stari bona *; e a cui < Maestà, oh che s'è trasformata la Regina ?... Ha preso Q caffè, senza buttarcelo addosso. • Come s'è compoitata la Regiua^ ' Egli, il trip|>aio, quando sua tiinglio lacca la schifiltosa , la pic- chiava di santa ragione. * Por feria riguaiìre. h 68 FIABE E UEGOKRDff' si chiama ? a lu Màu. Lu Màu, comù la vitti , si pir- suasi ca gi^ idda era pintuta di la sòsuperbia ed avia canciatu custumi ; cci duna un midicamentu , e la fa stari subbitu bona. La nuttata appressu, pensa di falla: addivintari Riggina arreri e di tumarì la quarumara a. la so casa. A lu 'nnumani li Dami vannu pi jiricci a purtari lu cafè a la Riggina,e la vidinu arreri sporca e' ngrasciata,ca mancu si putia taliari (sicura ! si la SEliggina vinia dì fari la quarumara !..•)• Ma 'un ostanti ca era 'ngrasciata e lorda, avia boni manerii cà già la superbia cci avia passatu , e cci avevanu carmatu V agghi K La prima cosa, vosi chiamatu a lu Re, e comu lu vitti, si Tab- brazzò e ed cuntò tuttu lu passatu: ca avia statu 'nta 'na casa misiràbbuli vinnennu quarumi, senza manciari^ e abbuscannu li gran vastunatL Si vota lu Re:—* Dunca ora ti nn' ha' addunatu di la tò superbia ?»— * Sicunr ca mi nn' haju addunatu; e d'ora nn' avanti sarròggiu umili e bona cu tutti , pirchì m' he pirsuasu ca chìstr sunnu awirtimcnti di lu Signuri „. Accussì s'abbrazzaru e si vasara arreri, e lu Re cci misi un granni amuri: e di ddu jornu 'n poi nun cci in mai cchiù 'na palora 'nta d'iddi. Iddi arristaru maritu e mugghieri, E nui semu comu li Kimerì. Palermo K 1 Cd avevanu carmatu Voffghi^ letteralm. intraducibile; significa le era andato via Torgoglio, il fiure sprecante, dispettoso ecc. * Raccontata da Qrazia Cannatella, vedova a 22 anni, che rap- prese dalla nonna Angela Puleo, da Bagheria. LA RIGOUtA SUPERBA VARIANTI E RISCONTRI Nella nota storia àéH'ImpgrMore Superbo, che corre in un libretto popolare dlvu^tissimo, trovandosi l'imperatore in un b£^no fuori della r^gia, un angelo gli porta via le vesti, e va a far da imperatore lui. Quello, ignudo, si presmta a' suoi servi, a' suoi cortigiani , a questo e a quell'altro , ma tutti lo credono pazzo, fmchè a un eremita, che anche lui avealo scac- ciato come pazzo, ai confessa della sua passata superbia, riot- ^ene la grazia di Dio , e torna ad essere riconosciuto impe- ratore. Questa è appunto la novella della quale la nostra è una ver- sione , e per la quale rimando il lettore al dotto lavoro di HEUMANNWAmtMAGEN, Ein indisches MSrchen aufsaater Wan- derung durch die asiatischen urid europdiachen lAUratweit, Berlin, Weidmann 1882, e ad im art. di Libero (F. Torraca) nella Rassegna di Roma, an. I. Un riscontro beneventano è in CoRAZziNi, Componimenti minori: Novelle, n. XD; A reggina « a trippara. ix: Lu Re superbu. 'Na vota cc'era un mircanti ; stu mircanti avia tri figghi fimmini. 'Na jumata si chiama a sti figghi : — "^ Picciotti, io he pàrtiri pi li me' nigozii; chi voliti pur- tàtu ? „ Una, la cchiù granni, cci dissi : — ** Io vogghiu purtatu un abbitu culuri di rosa.» 'N'àutra: — * Io vogghiu un abbitu culuri di virdi-mari. „ — " E io, dici la nica , vogghiu ca jiti nna lu Re e cci diciti ca io chiànciu pi iddu „. Lu patri avia a jiri 'n Partugallu; si licinzia cu li so' figghi ^ e parti. Comu junci *n Partugallu , fa li so' mircanzfi , ac- catta la vesta culuri di rosa pi la granni, la vesta cu- luri virdi-mari pi la mizzana, e poi pensa dì jiri nna lu Re. Va a palazzu , e cci fa passaci la 'mmasciata. Comu fu a la prisenza di lu Re: — " Maistà, haju 'na figghia ca chianci pi vui. „ Pigghia lu Re e cci duna im fazzulettu : — * Tini', ^ dàticci chistu pi quantu si stuja li làgrimi „. Figuràmunni lu patri! Cu stu cutu- gnu • 'nta lu stomacu torna a la casa. — ** Te', chista è la vesta culuri di rosa; chista è la vesta coluri virdi- mari; e tu, stu fazzulettu ti lu manna lu Re di Partu- gallu pi stuj ariti li lagrimi „. La picciotta si misi a chianciri comu 'na picciridda. * Li so* figghi, le sue figliuole. * Tini\ prendete. * Cuttegnu^ flgur., dispiacere, amaritudine, afflizione. LU HE SUPERBU 71 Ddoppu teoipu, lu patri appi a pàftiri arreri pi }i so' iiÌKOzii<. Li fìggili grannì ^ cci dettiru lì so' cummis- sioni; la nica dici ; — " Patri mio, vt^ghiu fattu lu tk- vuri di jiri lina lu Re di Parti^aUu e cci diciti ca io m'af^cu pi iddu... „ — ' Ma, fìgghia mia, ti pari ca i» vaju arreri imi lu Re ddoppu chiddu chi mi fici ! , — * Nentì , patri mio , mi 1' aviti a fari etu favuri I , Basta : lu patri partiu, iju 'n Partu^allu; ddoppu chi £Ì spicciò l'affari soi, va a palazzu :— ' Maistà, me figr ghia s'aflfuca pi Vui ,. — " Sì ?! e purtàticci sta corda;,, e cci detti un pezzu di corda. Lu patri Sci la morti ch'avia di fari '. Comu junci a la casa, chiama la fìgghia nica : — " Nni vò' cchiù ? Lu Re mi fici la secunna dì càmmiu; • ti manna stu pezzu di corda... , La ^ghia nunpiu a. chianciri. Passati n' atra pocu di misi * lu patri appi a pàrtiri 'n'àtra vota. — ' " Papà, cci dici la fìgghia nica , mi lu faciti un piacìri ? Cci jiti nni lu Re e cci diciti ca io mi ammazzu pi iddu ? ! „ — " F^ghia mia, tu si' foddi ca io vaju cchiu ddà!, — " Ma vui stu piacili mi l'aviti a fari ,.— " No, fìgghia mia. „ E " sì, ca mì l'aviti a fari.» e ' no, ca 'un ti lu fazzu, , 'nsumma, pi hvarisilla di 'o, coddu, eci dissi di sì ". Comu di fatti, appena junciu 'n ' Le dne figlie maggiori. ' D padre rimase profandamente e doloroeamente sorpreso; si sentì. > fari la secunna di càmmiu, ^i la seconda di cambio; ma, figur.. farne una nuova , lare una seconda pailacda. * Passati molti altri mesi. * InHomma, per levar^la d'addosso, le disse bL 72 FIABE E LEGGENDE Partugallu e finìu li so' nigoaì , acchìanò a palazzu riali, e si fici dari adènzia * di lu Re. Gomu 4u Re 'ntisi ca so figghia * si vulia ammazzari, pigghia un cuteddu e cci lu duna a lu mircanti. Lu poviru patri lu stava àmmazzannu... Toma a la casa, e comu si cci appri- senta la figghia: — * Te', lu Re ti manna stu cuteddu!.. „ La povira picciotta ddoppu stu fattu 'un appi cchiù paci, e vosi pàrtiri idda. Lu patri fici lu 'mpussibbuli • d* 'un falla pàrtiri, ma quannu 'un la potti pirsuàdiri, cci fa 'nsiddari un cavaddu; cci duna 'na bella vurza di munita d'oru, e cci fa lu bon viaggiu. Camina chi ti camina, camina chi ti camina, la pic- ciotta jui^u 'n Partugallu ^. Nna stu paisi ce' era un cucinu d'idda, figghiu di la som di so patri; cerca, cerca: lu truvò. Comu lu truvò , la prima cosa , cci cuntò tuttu lu passaggiu ; e finiu ca vulia essiri vinnuta pi schiava a lu Re. Veni lu Re , a vìdiri sta bedda pic- ciotta, subbitu si l'accattau. A palazzu stu Re 'un avia àutru pinseri chi sta picciotta; un firriuneddu *^, e la java a vìdiri, e cci vulia parrari. 'Nsumma nn' era 'nnà- muratu. 'Na jurnata cci dici : — ** Rusidda (cà idda si facia chiamari Rusidda) , vidi ? io chiànciu sempri pi tia... „ Idda pigghia lu fazzulettu chi cci avia mannatu iddu : — ** Tiniti , stujàtivi. „ Lu Re sbrògghia lu faz- ^ Adènzia, odènzia, adienza^ odienza, udienza. * So figghia, la figlia del mercante. ' Fari lu 'mpussibbuli, frase popolare per dire : Fare il possibile. in. Toscana si dice per proverbio ; L'impossibile lo fanno i contadini, * Si capisce bene che il Portogallo pel mondo delle fiabe è una città Jontanissùna e maravigliosa. ^ (Faceva) una giratina. I.n SE SUPERBO 73 zulettu e lu canusci. Dici 'nta d'iddu : " E chi voressìri la figghia 4i lu mircanti , chista ?... , Ddoppu joma : — " Rusidda, si tu nun mi v6' bèniri, io m'affucu ,. — " E vu' alfucativi ! » e cci duna la corda. Iddu comu la canusctu, dici : " Ah ! ca chista la fl^hia di lu mir- canti è!.... Gei va arreri: — "Rusidda, mi vó' bèniri tu ? Sì tu 'art mi vò' bèniri, io m'ammazzu !.., „ — "E vu' juumazzatìvi !... , e cci pruìju lu cuteddu. A stu punlu lu Re si pirsuasi idda cu' era ; — ' T' haju ca- uuKciutu : 0 tu mi vò' bèniri, o io m'ammazzu ! , Vd^ tasi idda bottu 'ntra bottu : — " E vu' ammazzativi!..., Iildu finci ca s'ammazza. La picciotta scinni, e si nni va nna la so càmmara (cà avia 'na càmmara 'nta lu palazzu, e' un fintstruni chi spuntava 'nta EÉ chianu). Lu 'nnumani lu Re si fici mettirì supra un catalettu, e si fìci purtari sutta lu fìnistruni di la schiava. Idda affaccia, e comu lu vitti, (cà era tutta finzioni), jetta cu 'na sputazzata ': — " Ppuh ! pi 'na fìmmina quant'ha* patutu ! , e cci chiuiju lu finistruni 'n facci *. 'Nsumma ddoppu di fàrisi apprijari 'napocu di joma, idda dissi sì, di pigghiàrisi a lu Re. Fici vènirì a so patri e a li so' soru; e si fici lu spunsaliziu 'n gran pompa. Iddi arristaru filici e cuntenti, Nili semu ccà e nni stricamu lì denti Palermo *. ' E comu, e appwa Io vide (perchè era stata tutta ima finzione) gli buttò addosso uno sputo. * Oli chiuse il balcone sul viso. — Si capisce che questo U ragazza fMo per disprezzo del re che era venuto a tanto sutterfugio per ot- tenerne l'amore. * Raccontata da Rosa Brusca, cieca. 74 FIABB E LEGGENDE VARIANTI RISCONTRI C& con II Be di Turino dì PraloTecchio, n. IX, p. 74 delle mie Nav^ popolari piemontesi e toscane (Montpellier, 1888); con HJio dd Be di Danimarca , novellina veneziana edita dal Sabatini (Roma, 1880); con // Re dei sette veliy n. 42 delle Fiabe Mantovane del VisEN-riNi.-'Le figlie che vogliono portato dal padre un oggetto per uno, son pure nel Pappagaddu chi cmUa tri cunti , nella Btmna 'Mperatrici e nella GràUtda- heddàtttdaj nn. U, XXXIX, XLII delle mie iH^^ siciliane; nella Tèa , Tèda e Teopista del Gradi, e nella Zelinda e il mostro della Novellaja "fior. deiriMBRiANi, 2. ediz., n. XXVI, per la To- scana; nella Fòla del mereant bolognese della Coronedi-Berti; ndla Cenei%iUola piemontese riassunta dal Db Gubernatis nelle Novelline di S. l^efanOy pp. 12-13, e in molte altre novelle dltalia, che qui sarebbe lungo il richiamare. lì sutterfugio del re di farsi portare sul cataletto per darsi a vedere morto ed ottenere la mano della ragazza, che però gli sputa addosso, è nelle mie Fiabe, n. CI: La Palumìna, e nei Sicil, Màrchen, nn. 2t: Der grUne Vogel, e 60: Vbni versch- wenderischen Giovanninu. Lu FlETSlu di Re. 'Na vota ce' era 'nu %giu di Re di Partuallu; chi- stu figg^u di re di Partuallu vuliennusi fari 'nu gira, si pìggiau 'nu bastimientu, uommini, dinari e sì nn' iju. 'Siennu luntanissimu la spiaggia, vìttunu a la rota unni jèunu iddi comu 'na nuvula nìvira nivira. Unu d'iddi accianau 'nt' 'a 'ntinna d' ò bastimientu e vitti e* 'u grannucciali ca era 'na muntagna di calamita , ca si tràva tutti li ferra d' 'e bastimienta, d' 'e varchi , e li facia anniarì. Lu il^u d' ò Re nun cci vosi crìrriri e fici sicutari a camìnari. Arrivannu vicinu ddà, quanta 'ntisinu tutti 'nu gran strepitu , e vìttunu ca tutti li Il Piglio di R». (Versione IdUraU). Una volta c'era un figlio di Re di Portogallo ; questo figlio di Re di Portogallo volendo farsi un giro {■oiaggio), si p^ò un bastimento , uomini , denaro , e se ne andò. Essendo 0iiUi) lontanissimi dalla spiaggia, videro alla volta ov'essi andavano 0^*""^) come una nuvola nera nera. Uno di essi salì sull'antenna del bastimento e vide col cannocchiale che {que- sta nuvola) era una montagna di calamita, che s'attirava tutti i ferri del bastimento, delle barche, e li faceva annegare (i ba- etìmenti). U figlio del Re non ci volle credere, e (ì viaggiatori} seguitarona a camminare. Arrivando là vicino, ecco {quantu) che intesero un grande sti'epito, e videro che tutti i chiodi e i ferri del bastimento andarono a conficcarsi (a 'ppizzàrin) va quella montagna nera. Che fece il Riuzzo ? si mise a nuotare» ^ 76 FIABE E LEGGENDE ciova e li ferra d' 'u bastimientu ierru a ^ppizzàrisi 'ntak dda muntagna nìvira. Lu Riuzzu chi fici ? si misi a ^ natari sina eh* arrivau *nta dda muntagna. Arrivannu |; ddà, si curcau e s' addummisciu. Mentri ca durmiva, \ si sunnau ca cci cumparia 'n viècciu e cci dicia : — \ " Vidi ca cciù supra ce' è 'na statua a cavaddu, piggi 'n fierru, ti minti a scavari é piedi di stu cavaddu, e vidi ca truovi tri lanci ; sti tri lanci li tiri ó cavaddu e la statua s' arrumazza; cuomu s' arrumazza la statua vidi vèniri à vota nni tia 'nu 'nvièceiu cu 'na varcuzza; tu ti cci minti e iddu ti porta unni cci dici tu; ma però nun ammuntuari lu nnomu d' ó Signuri, osannò la varca spirisci e tu t* annèj ,. Comu s' arruspiggiau lu Riuzzu aceianau cciù supra, e truvau 'na statua a cavaddu; scava e trova daveru li tri ^^jJ finché arrivò in quella montagna. Là arrivato, si coricò e s' ad- dormentò. Mentre dormiva, sognò che gli comparve (compa- risse) un vecchio, e gli disse : — ** Vedi (bada) che più in su v'è una statua a cavallo , piglia un ferro , metti (ti minti) a scavare a' piedi di questo cavallo; vedi (bada) che trov[era]i tre lance; queste tre lance le tir[era]i al cavallo , e la stàtua precipiterà giù (^ arrumazza) ; come la statua precipita , tu vedi venire alla tua volta un vecchio con una barchetta ; tu vi salì sopra (ti cci minti=ìì ci metti), ed egU ti porta (ti por* ierà) dove tu gli dici (dirai); ma (bada di) non mentovare il Signore; se no, la barca sparisce, e tu anneghi ,. Come si svegliò, il Riuzzo sali più in alto e trovò una statua ^ cavallo; scavò e trovò davvero le tre lance; tirò la prima al oatiallo, e il cavallo tentennò; gliene tirò un'altra, 'e il cavallo fu per cadere (stopia=stava) ; gli thò la terza, e (il cavallo) stramazzò. Come stramazzò, vide il vecchio a mare con la bar- Lu riGGro DI HE 77 lanci; tràu la prima ò cavaddu, e lu cavaddu si tira- liau; cci nni tràu 'n 'àutra, e lu cavaddu stapia cadien- nu; cci tràu la terza e s' arramazzau. Comu s' arru- mazzau, vitti lu vèceìu 'nta mari cu la varcuzza. Scin- niu d' 'a muntagnaesi misinn' 'a varcuzza. Dduoppu eh' avièimu fattu tantìccia dì via, lu Riuzzu dissi : — "Signuri, vi rincraziu , ca mi mannastru st' ajutu! „ Diciennu accussi, la varca si misi a flirriari, e affunnau. Iddu si misi a Datari e arrivau 'nta 'n' isula. 'Na st' isula si misi a caminari e nun vidia àutru ca maeci. Mentri ca era vicinu à spiaggia, vitti 'nu bastimientu; ad iddu cci parsi bastimientu di Turchi, e accianau su- pra 'na màccia pi vìrriri eh' avièunu a fari chiddi d' 0 bastimientu ca sbarcami 'nta st' isula. Vitti a'nu 'nvèc- ciu cu 'n picciuottu bieddu, e 'na picca d' òmmini. Ghi- chetta. Scese dalla monUigoa, e si mise nella barchetta. Dopo che aveano tatto un po' di via, il Riuzzo disse : — ' S^ore {Dio), vi rmgrazio.che mi mandaste quest' aiuto t , E appena disse così, la barca si mise a girare e affondò. Egli si mise a nuotare e giunse in un'isola. In quest'isola si mise a cammi- nare, e non vedea altro che macchie. Mentre era {quando fu) vicino alla spiaggia, vide un bastimento; a lui parve bastimento di Turchi, e sali sopra una macchia per vedere che avevano a fare (farebbero) queUi dd bastimento, i quali sbarcarono in quest'isola. Vide un vecchio con un giovane beilo e un po'. di (alcuni) uomini. Costoro accanto alla macchia dov'era salito lui scavarono, trassero una hasola e scesero, poiché c'era una scala. Dopo un poco salirono, ma mancava un giovane. Come se ne andarono, il Riuzzo scese dalla macchia, e calò giii per (fuella scalfì, trovò il giovane là sotto e gli domandò: — ' Perchè ve t 78 FUBB B lilfiaSDI sti, ò cantal d' 'a màccia uim' era acdanatu chiddu, scavarru e scippami 'na vaiata e sciimerm, cà ce' era 'uà scala. Ddaoi^ 'n pizzudda accianamif ma cci man- I cava lu jHcciuottaL Gomn si noi iemi, lu Riuzzu sdn* y niu d' 'a màccia e calau 'nta dda scala ; e truvau ò picciuottu ddà suUa, e cci spgau: — * Pirchi vi uni vinìstni ccà? , Chiddu ed dissi : — * la sugna figgin d'an mircanti ricchissimu. Stai mircanti ddaoppu tanta tempa eh' era maritata non avia figgi 'Na vota si sunnau ca ed nasda 'n figgiu, eh' arrivannu eh' avia vint' anni , 'na Re 'n tiempa quaranta joma l' avia a 'mraazzari ,. (E ed muntùa lu nnomu di lu Re di Par* tualhi di' aviasdnnutu ddà, e caera cuiddu)Xu Riuzza dissi 'ntra d' iddu : * la avissi a 'mmazzarì sta pie- duottu, e pirehì? , Stèttamu ddà tuttidui e avièunu pas- ne venisle qui ? « Quello ^ disse: — ^ Io sono fi^o d*un met* cinte ricchissimo. Questo mercante dopo tanto tempo eh* era maritato (ammogUtOo), non aveva fig^ Una volta sognò die S^ nasceva {moàcetse) uo fi^o , che arrÌTato aD* età di venti anni, un re tra quaranta giorni lavea ad ammaliare (Parr^iòm McewQ). « (E 1^ nomina il re eh' era sceso là, il quale era con lui). D Rìono disse tra sé *" lo dovrei ammanare questo giov;aiK^ e perchè mai? ^Stettero là tutti e due, ed erano già passali treolanove giomL AH' ultimo sjkniio , i fisKo.dd meroanle si fece un bagno, e pd si coiieò e disse al Rimao: — ^ Fammi fl piacere di darmi una fetta di mdoBe. Vedi che sopra dove sono coricato io dsono (de^ cdIdDi: pillane uno., il Riuso oog| fece, ma mentre pii^vaQcolldlo, siccome {UcoUeOefeoLà^m aBaagò , advolò^ e piantò fl coileflo nel cuore a colui eh* eia coricato. Come vide eoa si mise a piangere, ma vedendo che Lv piesiu M u 79 satu trentanovi juorna. Airurtimu juornu la figgiu d' 'o mircanti si fici 'nu bagna e puoi si curcaa e dissi a lu Riuzzu : — ' Famnu lu piaciri di dàrimi 'na fedda di tauluni. Vidi ca ccà.supra unni sugnu curcatu iu, cci su' cutedda ; tini pi^i una. , Lu Riuzzu accussì fici , ma mentri ca pigiava lu cuLieddu, siccbmu era iàulu misu, si stinniu, sciddicau, e ciantau lu cuteddu 'nt' ò eoli a chiddu ca era curcatu. Comu vitti accussi, si misi a ciàncirì , ma Tidiennu ca nun ce' era rimediu, si nni iju. Camina, camina, arrivau 'nta 'n palazzu; accìanau e vitti a deci, tutti deci orvi di l'òcciu drittu e vistuti tutti 'i atessi. Iddìi cci spijau pirchi enmu accussì, ma chiddi cci dissinu : — ■ Ti purtamu cu niàutri, però di tutta chiddu ca vidi nu nn' ha' a diri pirchi 'u faciemu ,. non e' era rimedio, se ne andò. Si mise a camminare, e arrivò in un palazzo; sali e vide dieci, tutti dieci ciechi dell'occhio deatro e vestiti tutti a un modo. Egli domandò loro perchè erano (fossero) cosi , ma quelli gli risposero : — " Ti portiamo (noi ti condurremo) con noi , però di quello che vedi non ci devi chiedere il perchè ,. Se lo portarono là sopra e poi si Bcdettero tutti in giro, preaero una verga per uno, e si misero a darsi colpi; poi pigliarono alquante catinelle piene d'una certa cosa (materia) nera e si tinsero tutti; altre {eattMtUe) ne presero poi e si lavarono. Dopo di questo eh^marono il Riuzzo e gli dissero: — " Vuoi tu sapere perchè sianiO' cosi ? Se vuoi sap^o, noi ti cuciremo entro una pelle di castrato, ti daremo un coltello e ti metti nel giardino (?) {vignanu) ; viene tm uccellacelo e ti prende addosso e ti porta sopra una montagna ; giunto (che sarai) là, scuci la pelle; il resto poi lo vedrai là; ma però qui % A 80 FIABE E LEGGENDE Si lu purtarru ddà supra e s'assittarru tutti a tuornu, si piggiarru 'na vìria ognarunu e si mìsinu a dàrisi corpi; piggiarru 'na picca di vaggìli cini di cosa nìvira e si tincierru tutti; puoi, nni piggiami àutri e si lavarriu Dduoppu di chistu, ciamarru ó Riuzzu e cci dissinu: — " Tu vói sapiri pirchì semu accussì ? S* 'u vói sapiri, ti cusie- mu 'iita 'na peddi di crastu , ti damu 'n cutieddu e ti minti 'nt' ó vignanu ; veni 'n auciddazzu e ti càrnea e ti porta 'nta 'na muntagna; arrivannu ddà, scusi la peddi; lu riestu puoi lu vidi ddà, ma però ccà nun ti cci vuliemu , pirchì cciui di deci nun putiemu essiri ,. Lu Riuzzu si fici cùsiri 'nta la peddi, e si misi 'nt' 6 vignanu. Dduoppu 'n mumentu vinni 'n auciddazzu, s' 'u tarricau e s' 'u purtau. Arrivannu 'nta 'na munta- gna lu pusau. Comu lu pusau, lu Riuzzu 'sciu lu ca- non ti vogliamo, perchè più che in dieci qui non possiamo es- sere, y, n Riuzzo si fece cucire nella pelle e si mise nel giardino. Dopo un momento venne un uccellacelo, se lo caricò (addosso) e lo portò via. Giunto in una montagna lo posò; appena lo posò, il Riuzzo uscì il coltello, scucì la pelle, e l'uccello se ne andò. — D Riuzzo si mise a camminare, e giunto in un gran palazzo, che avea un gran portone, entrò e vide cento porte. Gli si presen- tarono cinquanta signorine una più bella dell' altra; gli fecero gran festa, gli diedero da mangiare di tutto quello ch'egli volle; e si misero a ballare, a cantare, e tutte queste cose (e via dis- correndo). Dopo passati cinquanta giorni eh' era là , quelle (signorine) gli dissero:—* Vi diamo queste cento chiavi, che son le chiavi di cento porte; noi ce ne andremo per cento giorni: ogni giorno U LU neQIU DI RE 8t tieddu, scusiu la peddi, e 1' auceddu si nn' iju.Lu Riuzza si misi a caminaii e arrìvau 'nta 'nn ngran palazzu, ea ce' era 'nu 'ngran purticatu; fraaiu e Titti coitu porti. Si cci pnsintarru cìnqiianta signurini, una cciti bedda di '□' àutra; cci ficinu tanta festa,; cci d^sion mandar! tuttu clildda ca vulfa; e si misim a ballari,ia cantari, e tutti sti cosi Dduoppu ca passaiTu cinquanta juoma ca era ddà, chiddi cci dissinu: — " Vi damu sti centu davi, ca ^unu li «àavi d' 'e centu porti ; niàutri ni nni iemu pi dento, juoma, ogni juomu 'rapiti 'na porta, però l'urtima nun. l'ati a 'rapiri ,, Avanti ca si nni jerru, cci lu accuman- narru di nun la 'rapiri e poi si unì jerru, Lu Riuzzu 6 primu juomu 'rapiu la prima porta e truvau 'nu bella jardinn cu tutti li Suri; ò secunnu juornu vitti 'na vasca cu tutti li pisci; 6 terzu, tutti aucedda; ò qaartu, 'na, picca di muniti d'oru; d quintu, 'na p^cca d| diamanti e 'nta l'àutrì tanti cosi magnifica mire. Arrivamm eh', avièunu passatu novantanovi juoma, arrìstava l'urtim» porta. Siccomu cr' era 'na porta tutta foderata d'om aprite una porta; l'ultima però non l'avete ad aprire. , Prima, d'andarsene, glielo raccomandarono (tornarono a raecoma»^ dargli) di non l'aprire, e se ne andarono. Q Riuzzo al primo j^mo apri la prima porla e.trpvò'Up bel f^ardino con tutti i fiori; al secondo giorno vide una vasca con tutti i pesci ; a terzo, tutti uccelli; al quarto, una quantità di monete d'oro; al quinto, una quantità di diamanti;n«^ altri (e nei giorni uguentiy tante cose anche (mire) esse magnificile. Quando erano passati novantanove giorni, rimase 1' ultima porta. Siccome v'era una porla tutta foderata {coperta) d' oro e di diamanti , voleva a- G. PiTRÈ. — Fiabe e Leggefide. fi I i 82 FiftM « tMCBIHMB é dimaÈÉifì 1 1& ^^^ 'i«{dn pi Tlniri ehi ce* livaiiim Éfflurtimil jtfòmti bMi la potB tènfri;e i»i enrtotu 'l«piii( te l>éHa é Vitti *n eatftddta maghiflctL Il €k;i agi;ÉaVtteò8Éti cf 96 piMm 'n tSfttìQ. Lti cara'ddu' riub' $ ' vidfe ettlxAMSi d Id^'» tM a dàHcei eorpi ; lu c«[^ vaddu di làidi à itarriàri tODA puoi coi desi ^n corpucu lacudaelu 'nnurv^u di tbc- ^ du dritta. TatP a 'ita vota si irurau datanlS In iÌa- ^ lazza non' erinu .diiddi dèci ttorvi di 1' Òccia dHtni. Chiddi non ed Ili vòsiiiti , è cùonm rinni 'nu bàdti- mienta ea jia 'tìf 6 regm cB s6 pàtri, si nni ijla. Ragusa Inferiore \ ,^ prirla per y^ilere che c*era {dfosée)) non potè tenere (hì^ii «Ut pazìertza d^aàénderé), e per essere curioso aprì la porta e vide '^ un camallo iniagnifico. Lo cavalcò e lo portò (e fudaée:o por- ^ t(M) in sdlà 'stnufat ('n danu^ssm piano). Il cavallo non Toleìrà cìoÉtiniiiiare, «ed egli si mieie a dargli Cólpi; il cavaDo prese à'gi- rare inboraioelo buttò per terra; pìlbt' ^'pràf.' Cariò Simiani. i*i-: /■ LU FIGKIIU DI RE SSt^ Una novella siciliana *um', padrone, titolo dato al capitano del ba»> utimento. ' A certo punto (del viaggio il bastimento del capitano Pisella noni potè andare) nò fi vanti né indietro (si fermò). * Facciamo al routo; chi esce (è sorteggiato) resta. * Tina secotidfi volta (daccapo). PATRI DONN'ANTUHINU PISILLA »0 :stu *■ .. Dieennu chiatti, ai nni BCinniu, e n^pii'andùa * 'ita la spiaggia; e lu bastimentu cuniinciau a camìoari . loma vota. . Nna la spiag^ lu Patri 'Ntuninu simisi a caminarì 'nfina ca travau 'aa barracchedda mi bì ripara ', ponni . omu; ddà sintia coma un iamentu^ dici t—' Chi è ;8tu lamentu ? , Si 'ntrasattava povir'oniu.— ' Ah, {dici 'na Tuci) Patri Donn'Antunihu Pisella ! Ah, Patri Dcma'An- tuninu Pisella ! ,— " Cu' è chi mi chiama ? , — ' Surgi sta balata e sarà la tò sorti , IdcUi cerca e vidi 'na ba- lata; sorgi un morsu di balata e nesci 'na manazza . nìura; si scantùa *. — " Ah, dici la manazza, aarà la tò aOTti. , Surgi 'n àutru morsu, e la manazza aecuta a nèsciri brutta brutta; iddu si 'ntrasattau * e dici: — ' Di , ccà nisdrà quarchi dimoniu, hramu la scaciuni *. . — " Ritirati la manu „ cci dissi, e chiudiu la balata. La manazza si rìtirau, cci lassati 'na virga e cci dissi: — * Chista è la tò sorti «. Lu poviru Patii 'Ntuninu Pi- sella, 'ntrasattatu com'era, 'ntra sta scaitiggiu ', 'atra ' Ia aorte vuole così, che io rimanga. — Ufi, qui per chi, c^, * E ae ne andò. Andùa, della parlata. (A Santa tuda di Mala « -altrove andòt). Molti verU della I.> conjuga^one, al pass. lim.^ 3.> pera., iing., escono in questa parlata in uà. ■ 'Nfina, flocbè non trovò una banLcotiina, ove potersi rip&rare. * Surgi un mortu, aba un pano fatorsu, trMna. morceauJ di \m- •oU , ed esce una manaccia n#a (ca|ì brutta che PiselIiO ebba ' Egli ebbe paura, * Leviamo la cagione. ' la questo dialogo animato, Seuttifn/iu per tcutiffgiu, a. m., «ontesa. -1 ,1 « i ■ 1 I I 86 rìàÈ t K UEGOENDS sti eo0i, si Émtm cUamaru—^ O E^otri 'Ntunìnn PifteUa..! OPMri'Nttiniiml%eiia!;I)tei:~*€a' ècU nii^MBittt sarannu chiddi di la barca ,. Gurria e lum. lidifk a- ! nuddtit; taniaf)a:-^';Ó<- Pàtri IVtuiuim I^usdlAl,^^ * Cbìddi di ia^barca mM . Nociate niiddii;!!!!*!»!»»^-^^ ' 0 Patri 'NtpniM* BlMBafr , . ; ^ , A Éba punta idda # pigghiau la iniga « a niu!iich컫 - naa 'sc^ra un' nmutf, battio forti la virga 'n tMra^ \ìm munti si grapfa e vitti' un beddu palazzunL Vitti. 4iL beddu pahuszn^ 'nchianaAi, hi flrriau tutta a nua ndia - a middUi 'na bedda tarala cunaata e mandari à^cgoL sorti Bensa mi vidi a nùddu. S'assittau, miai a maonu ciarì, si vidia sirvutu ma .non vidia a nuddu. Fimui|||4^ mandari, a scurùa; flrrìa, flrria , vitti un beddu lette:: . cunzatu e si curcùa:' trovau la so sorti. Mentr'eea- vaaj^ catw, si vidi iq^iBQtiarii 'na matrona tanta. Sta mabroiifei ;* si spdggMafu e si curcàa cn iddu. A la matina iqputa^ s; e 'ntra la jnmalta noni si vitti cchiù; la sira tuni«iii ^ spugghiau é si' eareùa cu lu Patri -Ntuninu, e daocueià facia ogni sira. Passa oggi e passa dumani, ddoppa novi misi àppiru un bòddiì figghiu. Stu picdriddu la matina 'un avia latti, pircbì la mà-^ trona 'un cc'era , e chiancfa semprì. Lu poviru P 'Ntuninu Pisella 'na jumata non ni putia cchiù eAvk ' scinmu na hi giardinu pii flaihi allianari ^; ddà cc'era 'nà gran serpi ; sita ìsetfi til sgugghiuliau ' e cci pigi^^- ghiau lu picciriddu di li monu (ora chidda era la mér^ 1 Per fBxio aUensro (dhmUzey distrarre). -ì;w f . PATHI DONN'ANtHNHni' PISELLA 87 trotta cunnannata a staci Uittu la jormì 'ntra dde giar» dinu); iddu si 'ntrttsattau, eà paiffi ca eci L'OiAmazuTa; pìgghiasi 'napoeu di petrì e li cumineift atioipiisri^a la seirpi 'afina ca cci Ilei latsaari lu piooiiiddti. Comu lu Patri 'Ntuninu si nn' andùa^ 'ntin un Ut» mentii:—" Ah, ah, ah! , Dici: — " Cu' è sts lamentu ? , Si giriau e non vitti a nuddu. Scurùa, e la matrona 'un cci vinni, e 'n cànciu d'idda spuntaru li So' servi; dici: — "0 Patri 'Ntunitiu, avemu ordini di la nostra patruna mi vi jittamu di stu bar- ami ' ,.— " 0 mischineddu di mia ! e comn faaatt ora 9 Fri carità, non mi jittati, flgghiuleddi cristiani, sdnnl- tjmi chianu chìanu, ca iu mi ndi vaju. , Iddi lu sdn- neru; -dici: — " E comu fazzu ora pi jirimioni ? , Li serri lu mìsiru supra un aguiluni * e cci dissiru: — " Badati, Patri 'Ntuninu, si vuliti arrivari rivu, dàtìcci carni 'niina ca uni voli. , — ' Va beni. „ Lu Patri 'Ntuninu partiu, e l'aquilani cumincìau: — " Carni ! » e iddu dava carni, , — " Carni ! , e iddu dava carni; la prìma, la secunna,. la terza , la quarta vota , 'nfìnarmenti la carni flnfu. L'aquiluni non slntia raduni e vulia ancora carnij lu Patri 'Ntuninu tàgghisi 'na ffedda di natica e cci la duna *; l'aquiluni sicutava cu la carni, e iddu.tà^hiasì l'àutra mezza natica e cei la detti. Fimamenti arrivaru a hi ftaisi di lu Patri 'Ntuninu; ' Timpirari, v. tr., tirare, scagBare. * Abbiamo ordine dal nostro padrone di gettarvi dal balcone. * Un' aguiluni, una grand' aquila. < Padrone Antonino tagUaii una fetta di natica, e giieU dà (aW raquila). 90 FUlBE e LB0€«NDE dici ca ToU pi mogghieri a chidda tali ca ccì purtaiw 'na scarpa la stissa \ Lu Re aosunsintlu, e fid jittari un ban- nu pi tutti li regni: * CV haci *na acarpa eomu a dbù?» da ca truwm ìu MiàMMm, ék tfmlmtptUu acaecia^iddu si la pigghia pi mugghierì, e idda addivenia Bigginedda. IiAssaiMi ft tal A0 di PaftaiiptUaf isiotta, caogni jormi jaTa«fiuri yÌ0Ìtà imi lagniti^ U^ riminamm l'uBHddft * e obianceniwcd tempri di sqifw. Sta vita lacburau ^napocu di tempo. Un jomu 'nta di Tàutri, a la tràdri ^nta la |prqBUa«. allocu di li soliti ussidda trova tanti cosi prizinai ^ In. testa, un vasa ànticu; Fandii, quattro bacidi 'd'ora; ilu schinn e li eusticeddi, d-oni mmiremma; allòcu di 1'»^ gnidda , fari sèarpi d' ora cu li taed di iHrlatttL '3!!rl scarpi ^)araggi *un putevaiui eseiri; drcò la cpiarta ma: 'uh fu possibbuli di truvalla« Chista ed parsi *ììa, nAla sfortuna, ma poi ^sò ca 'nta lu so statu tri scaipi di dda sotti di manera eranu 'na riechizza , e isi tìimlifir*- tau: " avo^^hia: di quattru nn'haju tri: chi nn'ké farì2bw Mi li tegnu pi rigcHrdu di la me agnidduzza; Tàutri cosi li viimu 9. Sta picdotta- avia 'n'amica, ehi si chiamava Bettaì è. ed dava un piatticeddu dirtninestra ogni jorwjL La picr. ciotta ed cuntò lai cosala Betta^ e Betta si nni cunAH lau asbai assai. * D'cnra nn'i^vanti — ed dici Betta — cbidn du ehi io faceva^ sòcutu arfarì '; ma s' 'un ti dispiad, * La 8H99€t; àiok peiMtammite egoaSiA a (|ueUa da lui trcwata nella ^protta. * Arriminannu Ftisaidda, rimesoolaiido, agitando gli ossicmi. * Lu sècutu a fari^ proseguirò a &rio. LA PIGGjOTTA POVIRA 9f mandamu 'nsèmmula ogni jomu ,. E accussi fidru: ed eranu cuntenti e filid. ,,-o.j. 'Nna Yota nisceru 'nsèmmula a caminata, e 'ntìsira abbanniari iu bannu dìinAèsdi BurtogaUuu Attentanu megghiu e sentinu. Allura accuminzam a su£^ttarì tut- tidui ca iàscarpa d'cMra^idiLi(Kii ouuieii&a^itt^d'ì^^ era thidda; pàrtiim e lominit mia Mnite dbPaefcataiiWà Go»u arrivanu, li goaflrdii -^im U :mdè«aiu'!iÌNefc tifttid a palàzzOf cà eraou acnmitotiddi^i/ti&'ffiiB^^ «9Bir pàrifi K Basta: ;ti»s«ra , e la. piletta ;a bi vldiii dda. scarpa, ed dtsai aiu Riusai: -tr »* Gcà tea im' èiimA; bi 'dinMcà^ a ai Tuliti vi màdi^gQAfc '9' àutii éuiywo» pi' li siimi A la Rituszu ata cota^od *t»iaoftue gnardahattjla picciotta si imi 'nuamarau ^ eisi Jtk pigghiau |MÌ jDtafr ghieri. La picciotta addivìiatò SJggin6dda«.e*B9ttarfPWi]^! Dama-j^ Gurti. .- ;..- :',t. i-i:-».^ '.ìì 1 ■;; .-'r ^ Iddi artifltero flièi er cMtóBtì^^ - ' " ^ Cà eranu, perdiè erano uà po' sprovviste e non pot9i=flÌ!M;4^. - * Ve a' è UQa ,(scturpA) » ulen^fl<» fe 4]uella che avete , trovata voi . nella frotta). * RftccÒnta'tà da GiuwK» t^wtó''"*^'^ h, *. mm^'.^.é tu-:->.. i .... . . . :■ .^ .■■■■■■ ''li 111 ili »— H^>»M K ■ I . ; . ■ ■ ; . • ' . • ■.■••.... i ■■ ' • ■ ■" ■• ■■' ■•■ j' ■....• -. '/* ,;. f'i ..■•■■■•.• i •■. * •92 xm. L' (MdddiUBra. 'Na Tota s' arriocunta ca ce' era un maritu e 'na 'inugghierL Sta marita e sta magghierì aviana dui pic- •cirìddi, figghi d' iddu ; e idda, la mugghierì , ed Yinia parràstra. Sti piccirìddi si vulìanu bèniri quantu Toc- «chi soi. 'Na jurnata la parràstra, stuffa di lu picciriddu^ cà V ayia supra la nasca S lu pigghia ammucciuni di so suruzza e la tagghia pezza pezza e lu cocL Vinni la maritu : — * E lu picciriddu unn' è ? , — * E io cM sàcdu, dici la mugghierì; havi 'na jurnata chi manca. La suruzza sintennu accussì si misi a chianciri. Fu ura di manciari: s' assittaru e manciaru; quanna fu ura di la carni, tutti si manciaru la sua ^ ma la pie- cirìdda 'un nni vosi, pirchì lu con cci parrava ca •chidda era carni di so fratuzzu ; ma chi fici ? tutti li ussitedda di la carni 1' arrìcugghìu e si li sarvò 'nt' da •casciuni •. 'Na jurnata va pi gràpirì lu casciuni e vidi vulari *n ocidduzzu; lu vulia affirrari, ma Tocidduzzu scappò. Passanu 'napocu di joma, e st'acidduzzu cci veni a •canta di 'na finestra: * Aviri ad unu supra la nasca, averlo di malocchio, e cercare 11 cucisti ? „ — ' Lassimi stari, cci dissi la massara , ha 'ncappatu 'na cosa ca nun ha 'ncappatu mai , ; e cci eontau tuttu lu fattu d' 'e ciciri. Dduocu so maritu: — ■ " Ah bestia ! pirchì 'n lu lassàutu unu ? cci dissi, cà 1» cosa di prima, e ne usci un altro; ma dopo un poco, (gli diede) un colpo e lo ammazzò. E cosi fece (conHnud a fare) tinche' non li ammazzò tutti; però ne restò uno nascosto, che non volle uscire. Rincasò il massaio, e come {poiché) non vide tavola sti- rata (mmsa preparala) , disse alla ^ donna : — " A te , (fo ' dico) i ceci non li cocesti ? ,— " Lasciami stare, gli disse la mas-- sua; è accaduta una cosa che non è accaduta mai „egli rac- contò tutto il fatto dei ceci. Qui suo marito : — " Ah bestia 1 perchè non lo lasciavi tu uno ? le disse, che (cosi noi) lo man- - davamo (lo avremmo potvto mandare) a guardare le vacdie. ^ Appaia disse cosi, esce quello che era restato nascosto, -e gli disse:—" Ci son io. , Questo era un ragazzino quanto un cece, « (« queUi) parve una cosa molto graziosa.—* Come ti chia- mi? , ^i disse il massaio.—' Come vi piace, an^he Cicirello. ^ e lo chiamarono Cicirello. no FIABE E LEGGENDE mannàumu a vardari li vacchi. « Coma dissi accussi ^ ncsci chidda ch'avia arristatu ammucciatu, e cci dissi: — * Cci sugnu iu ,. E chistu era *n picciriddu quanta 'n cìciri , e cci parsi 'na cosa graziusa. — * Guoma li chiami ? » cci dissi la massara. — * Guoma vi piaci, ma- càri Gicirieddu „ ; e lu chiamaru Gicirieddu. Mangiami tutti tri , e puoi Gicirieddu si nni iju a fari pàsciri li vacchi. S' arricug^u la sira, e li vacchi èrinu ca *n ni putièunu cciù, tantu avìunu mingiatu, e sparti ficinu ppi tri voti latti di Tàutri voti. Pi 'napuocu di tiempu sicutau accussi. Ora 'na vota Gicirieddu si nni iju airùmmìra sutta 'n'erva; mentri, vinni 'na vacca, tira 'na *uccata e s'am- mucca l'erva e a Gicirieddu mire. La sira *u massaru astittava a Gicirieddu cu 'e vacchi, pirchì era notti e Mangiarono lutti e tre, e poi Glcirello se ne andò a far pa- scere le vacche. Rincasò, la sera, e le vacche erano {coii piene) che non ne potevano più, tanto aveano mangiato; e oltre (di questo) fecero latt(» tre volte {pia) delle altre volte. Per un corto tompo {la com) seguitò così. Ora una volta Cicirello se ne andò all'ombra sotto un'erba; nel mentre {frattanto) venne una vacca, {la quale) tira una boc- <5ata, e imbocca l'erba e Cicirello ancora. La sera il massaio aspettava Cicirello con le vacche, perchè era notte {tardi) e avea a fare la ricotta; aspetta, aspetta, aspettava chi non ve- niva mai. All'ultimo il massaio risolve ed esce per cercare Ci- cirello. Andò dov' erano le vacche , e cominciò a chiamare e non gli rispondeva nessuno. All' ultimo il massaio risolve ed esce per cercare Cicirello. Andò dov'erano le vacche; comin- •eiò a chiamare e non gli rispondeva nessuno. Dopo che avea CICIRIEDDO IH «via a fan la ricotta; astetta, astetta, astittara a cu' nun TÌnìa mai. ÀU'urtimu lu raassani arrisoivi e nesci pi circaxi a Gictrieddu. Iju unn' èrinu li vaccbi ; accu- minzau a ciamarì, e 'n cci rìspunnia nuddu. Dduoppu ch'avia damata: — ' O Ciciriddu 1 o Ciciriedda ! , — ' Chi Tuliti ? „ rispunni Cicirieddu. — ' Ora unni si' ? „ cci du- manna lu massaru. — ' 'Nta la ventri di la vacca. , Dduocu lu massaru piggia 'na vacca e 'a scanna e nun cci trova a Cicirieddu; scanna l'àutra— l'àutra... l'au- tra... 'nsumma li scannau tutti, e nun lu potti truvari, e Cicirieddu diciennu sempri ca era nna la ventri di la vacca. Ora, mentri, si truvau a passar! 'na véccia; vitti ó massaru e cci dissi: — ' A bui, mi la vinniti 'n pizzuddu di ventri di vacca ? , Lu massaru macàri cci la desi arrìalata, e pi cumminazioni eci va a desi chidda chiamato:— * 0 Cicirellol o Gicirello I ,— " Che volete? , ri- sponde Cicireìio.— ' Ora dove sa ? , gli domanda il massaio. — * Nel ventre della vacca. , Qui il massaio piglia (pìggìa) una vacca e la scanna, e non vi trova Gicirello ; scanna l'al- tra,... r altra,... l' altra,... insomma le scannò tutte e noi potè trovare , e Gicirello dicendo sempre che era nel ventre della vacca. Ora nel mentre (frattanto) ai 'trovò a passare una vec- chia, vide il massaro, e gli disse;—' A voi (dico): me lo vendete un pezzetto di ventre di vacca ? , D massaro gliela diede anche imacàri) regalata, e per combinazione gli va a dare (gli dà) ipiella dov'era Gicirello. Tutto a una volta (a un tratto), men- tre la vecchia camminava, quanto intese : ' E questa vecchia come mi porta ? e questa vecchia come mi porta ?... (mi por- terà) ,. La povera vecchia sì voltava e si girava, e non vedeva s si disperava. Dopo un poco, di nuovo, quanto in- 112 FIABE E LEGGENDE unni ce' era Gicirieddu. Tutt' a 'na vota, mentri ca la véccia caminava, quantu 'ntisi: ,, E sta véccia comu mi porta ? e sta véccia comu mi porta ?... „ La povira véccia si vutava e si girava e 'n vidia a nuddu , e ri dispirava. Dduoppu 'nu pizzuddu, arrieri, quantu 'ntiri: * E sta véccia comu mi porta ? e sta véccia comu mi porta ?... „ Si vutava arrieri la véccia , e 'n vidia a nuddu. Mentri ca caminava, la véccia cci vinni lu pi* sciari, e s' acculucau a munì; tutt' a 'na vota quantu f 'ntisi (cu rispiettu parrannu): ** E la véccia ca piscia a muru Tric trac cci fa lu e ! « La véccia cciù morta ca viva si metti a curri, e al- Turtimu arriva à casa e si metti a lavari la ventri; quantu senti arrieri: „ E sta véccia comu mi lava ? e sta vèc- tese:—" E questa vecchia come mi porta ? e questa vecchia come mi porta ? ^ Si voltava di nuovo la vecchia, non vedea nessuno. Mentre camminava , alla vecchia venne da pisciare, o si collocò al muro ; tutto a un tratto , intese (con rispetto parlando) : ** E la vecchia che piscia al muro , tric trac le fa il e... „. La vocc.hia, piìi morta che viva, si mette a correre, e alPul- tiin» arriva alla casa, e si mette a lavare il ventre ; quanda Hvìììv (li nuovo : * E questa vecchia come mi lava ? e questa viMM^liia (!omo mi lava ? „ Dopo che lo lavò, la vecchia s'avviò yvVHtì una pentola per cuocerlo, quando sente: * E questa vec- ohiit conio mi cuoce? e questa vecchia come mi cuoce? ^ {}\\\ \\\ voc.chia s'arrabbia, piglia il ventre e lo getta sulla via. t^^ in campagna; dopo un poco passa un lupo , e mangia iì vv^^^W'» ilioirrllo cominciò a gridare , e si mise a dire : ** Ah C1CIRIEDD0 US eia comu mi lava ?... , Dduoppu ca la lavau, la véccia abbiau 'nta 'na pignata pi cucilla; quantu senti: " E sta véccia comu mi coci? e sta véccia comu micoci?!.. , Dduocu la véccia si 'hcueta, pìggia la ventri e la jetta 'n ciana. Era 'n caiapagna: dduoppu 'n pizzuddu passa 'n llupu, e si mangia la ventri. Cicirieddu accuminzau a fari vuci , e si misi a diri : ' Ah cani , ah cani , ah cani!... ,. Lu lupo comu 'ntisi accussì , si niisi a curriri ; nun s'addunau ca cc'era 'na costa, tiritùfflti ddà sutta. Ar- riva e morsi. Cicirieddu, comu vitti accussi, nisciu di la ventri d' ò lupu e si ni stapia jennu, quantu vitti du- rici brecanti a cavallu e 'n capitanu trìdici, e pi 'n si fari virriri s'ammucciau sutta la petra. Li brecanti arrivannu a 'n certu puntu si tlnninu, e lu capitanu dissi: — ' Gràpiti, Cicca ! „ e grapiu la timpa; trasierru tutti,—* 'Nciùditi, Cicca! „ e si 'nciusi la timpa. Dduoppu 'n pizzuddu quantu 'ntisi arrieri: , Gràpiti, Cicca ,; e ti brecanti niscierru tutti. " 'Nciùditi, Cicca ! , e la timpa si 'nciusi. Comu li brecanti si nnì jerru, Ci- cane, ah cane, ah cane !... , D lupo, come intese così, si mise a correre; non s'accorse che c'era una costa; paffete là sotto; e mori. Cicirello come vide cosi , use! dal ventre del lupo, e 66 ne stava andando, quando vide dodici briganti a cavallo; e un capitano (fan) tredici ; e per non farsi vedere si nascose sotto la pietra. I briganti arrivando a un certo punto si fer- marono, e il capitano disse: " Aprili, Cicca ! , e s'aprì la rupe (timpa); entrarono tutti. " Chiuditi, Cicca ! e la rupe si chiuse. Dopo un poco intese di nuovo: ' Apriti , Cicca ! , e i bri- ganti uscirono tutti. " Chiuditi , Cicca ! , e la rupe si chiuse, PiTRB. — J'ìaòe e Legende. 8 114 FIABE E LEGGENDE cirìeddu Ta a cantu ft timpa, e appena cci dissi- * Grrà- piti, Cicca ! . si grapiu , trasiu ddà dintra e vitti 'na picca di munzedda d*oru, d'argentu, dì ramu, e tanti àutrì cosi. Chi fici? nisciu, iju a ciamarì d massaro, si li purtami 'n carrettu, cu 'na picca di muli, e si nni jerru ddà, trasierni, si 'nsaccarni dinari quantu nni yò* sinu e si nni jerru. ^U massaru arricchiu. E campau filici e cuntenti E niàutri nentL 'U cuntu è cuntatu : Nni mangìamu 'a pasta c'ò stufatu. 'U cuntu è dittu: Mangiàmini *u flchitu firittu. Ragusa Inferiore K Come i briganti se ne andarono, Gicirello va accanto la rupe, e appena le disse: * Apriti , Cicca ,, (Za rupe) si aprì ; {egli) entrò là dentro e vide molti mucchi d'oro, d'argento, di rame e tante altre cose. Che fece (allora) ? usci , andò a chiamare il massaio, se li portarono in carretta con molti muli, e se ne andarono là, entrarono e insaccarono danari quanti ne vollero, e se ne andarono. n massaro arricchì, e visse felice e contento, e noi (non ab* Inamo) niente. Il conto è contato ; mangiamo la pasta con lo ttufato; il conto è detto, mangiamo il fegato fritto. VARIANTI E RISCONTRI. In una variante di Roccapalumba Cicirello porta una focaccia al padre; giungendo vicino a un* aia , e non sapendo da qual > Raccolta dal prof. Carlo Simiani. GIGOUEDDU US parte pigliare, chiede ad alta voce al padre: Oh patri, dunn' he pigghiari ? Risponde il padre: Pigghia a sau giru giru (pi- glia da codesto giro) intendendo dire in giro all'aia per poter passare e portargli la focaccia. Cicirello finge invece di capire che deve prendere in giro alla focaccia, e ne mangia dalla cir- conferenza. Indi torna a chiedere: Oh pcUri^ dunn' hi pigghia* ri ? E quello : Corpu di sangu ! pigghia di ssu menzu memu; «d egli mangia il menzu (centro) deUa focaccia. C£r. con Cicireddu, Novellina pop, siciliana di Ficarazzi p uhblicata da me nell'Archivio déUe trad. pop. v. VI, p. 270. (Pai. 1887); con Cecino di Firenze, n. XLII delle mie NovelU p opólari toscane ; con La Fuke , novellina di S. Stefano di Calcinaìa, nella Bivista di Letteratura pop. p. 82 ; con Deto, • grosso, nov. marchigiana pubblicata dal Gianandrea nel Gior- nale di Filologia romanza, n.5; con Ju vache de pepe, n. XLYII del FiNAMORE, Novelle, p. 233; e Lu OicHU, n. Vili delle Fiabe abruzzesi del De Nino; con Ditu migniuléUu, n. XIV de* Contea pop. de VUe de Corse dell'ORTOU. Per qualche circostanza vedi Lu menzu gadduzzu e Dan Firriuleddu, nn. GXXIX, e GXXX e GXG, § 11 delle mie FiaÌ0 siciliane. In Sicilia Cicireddu, come il toscano Gecino, è assai più piccolo dello stesso personaggio nelle tradizioni popolari straniere. Cecino, difatti, è il Petit-Poueet di Francia e d'altre contrade; ma il Petit-Poucet è alto un pollice, mentre Cecino è quanto un cece; quello è ladro, e passa dal corpo d'un a- nimale ad un altro nello stato di cattività; questo, secondo k presente versione, è' meno ladro. In Inghilterra è A^to Tom Thumb , ragazzo potente sì ma delle dimensioni del pollice (Pouce Thumb) di suo padre. Cicireddu è caratteristico, per- chè il cece, il cui uso è tanto comune presso il popolino ita- liano, è poco usato in Inghilterra. D'altro lato gli Inglesi si servono per ischerzo della espressione pashed pea (quasi lo stesso che cece, perchè equivale letteralmente a pisello dissec- IJG FIABE E LEGGENDE calo) , per dire persona piccola di figura , e magra o secca ^ come si dice in Sicilia, in Roma, in Toscana e altrove. Su questo mito popolare scrisse una dotta monografia G. Paris : Le PetU-Poucet et la Grande Ourse (Paris , Franck; 1875), alla quale sono da aggiungere questi riscontri italiani venuti in luce posteriormente. A Paris avea dichiarato : ** Ni. en Italie, ni en Espagne , ni dans les pays celtiques je n'ai trouvé trace du conte ou du nom „ (p. 52). Ora si può affer- mare che esso esiste presso popoli di razza latina (Francia, Ita- lia, Spagna), germanica (Grermania, Danimarca, Svezia), slava (Lituania, Schiavonia) ecc. L'aneddoto de' briganti che entrano nella rupe col motto : GràpUi Cicca ecc., è in molte altre novelle, come p. e., nel Cuntu di li dui ctimpari, p. 197, n. II, della Gonzenbagh; nella siciliana mia Mastra Jseppi, n. GVIII delle Fiabe, v. Il; nella Cicerchia o i ventidue Ladri , n. LIV delle Sessanta Novelle montalesi del Nerucci: nella Fante avveduta^ n. 7 delle Nav. mantovane del Visentini: su di che v. Kòhler, note alla Gon- lENBACH, V. n, p. ^1. ^ Piriploolliq. 'Na vota s' arriccnnta ca ce'- era ' 'na nanna. Sta nanna stava 'nt' 6n billisgimu palaszu. 'Na jumata si misi a filari a lu flnistnini; mdntri chi filava senti 'na TUci : — • Cummari! , — " Gumpari! „ ed arrispunni idda. — • Trasu ! , — • Traiti ,. Trasi e trasi Piripicchiu, ca era unu nicu nicu ca mancu si vidia , e làdiu, làdiu. — ' M' assettu ? , dici iddu. — " Assittativi ,. Piripic- chiu nesci 'na eiggitedda d' 'a sacchetta, e s' assetta, e si mettinu a diseurriri. Mentri discurrìanu, si vota Piri- picchiu:— " Cummari, dumani assira vulemu fari quat- tra sflnci ' ? , — • Gnursì , cumpari „. — ' 'Unea , dici Piripicchiu, vu' 'un pinzati pi nenti, cà tutti cosi portu o: lu levitu, la farina, 1' <^ghiu ,. Stetti 'n àntru piz- zuddu e Piripicchiu si nni yu. — ' Addiu, cummari ! , — " Addiu, cumpari ! , ' A lu 'nnumani sìra la nanna si misi a filari fora lu finistruni; senti e senti 'na vucì. -r- " Cummari ! , e veni Piripìcciiiu. — " Cumpari ! „ cci dici idda. — ' Trasu ? „ ~- " Trasiti ? — ' M' assettu ? , — ' Assittativi ,.— "La purtastivu la farina pi fari li sfinii ? , — " Gnursì, cum- mari, ccà ce' è tutti cosi: la farina, l'ogghiu, lu levitu ,. La nanna lassò di filari e misi a fari li sfinei; quannu 1 Sfinci, B. f. plur., vivanda di pasta moULccia Mta dk farina, lie- vito ed acqua, gonfiata nel friggerla: in toec frittella, galletti, cùo coli. Vedi Usi e CoHutiU, v, IV. 118 FIABE E LEGOlENDE foni lesti , metti la padedda supra lu focu , e metti a frìjri. Mentri chi friija, si vota Piripìcchiu: — '^M'assettii sapra lu fucularu io .. Acchiana supra la siggitedda e s'assetta. La namia quamià finfu di frìjri li sfinci, 'un nni potti cchiù di Piripìcchiu^ ca era misu ddà senza liyàrisi r occhi di supra d' idda; e chi fa ? lu piggbìa pi lu pizzu di lu .culiddu \ e lu jetta 'nta la padedda» Piripìcchiu si misi a gridari: — ' Ahi! ahi ! « La nanna sintennu sti vuci di Piripìcchiu curri e si va a 'nfila sutta lu lettu. A li vuci currinu tanti Piripicchieddi nichi ni- chi pi jiri a 'jutari a Piripìcchiu ; tràsinu e lu vidinu ab- bruciatu 'nta la padedda. — ' E chi ajutu cci putemu dari ! « dicinu; e si nni vannu. Nesci la nanna di sutta lu lettu e va 'nta la cucina , e chi vidi ? Piripìcchiu e la padedda un pezzu d' oru, tutti li cosi di la cucina di petri priziusi, pirchì Piripìcchiu era 'nfatatu. Cu ddu ^gran tisoru la vecchia arrìcchiu. Idda arristò filici e contenti, E nuàtri sema ccà senza nenti. Palermo *. VARUOTl E RISCONTRI. Off. col Cuntu de lu Seazzamurreddu, delle Fiabe e Can-- toni pop. dd contado di Maglie di P. Peluzzari, p. 69. 1 Lo prende pel fondo de* calzoni. * Da una certa Giovannina, contadina di Mcmreale, vissuta lunga- mente in Palermo. Come si vede è una novellina infìuitUe, nella quale , come in no» Telline simili, ogni parola ò immutabile. Smnn, Olndixiii e CMno. Si conta e à riccimta ca 'na Tota ce* era un marita • *na mugghierì. (Lu maritu era piscaturi). Figghi 'un n'a- Tìanu, e facìanu prumìssioni a lu Signurì p'aTÌrì un Ùg- gia» o 'na figghia. Lu Signurì cci cunewsì la grazia: ta mugg^rì nìsciu gravita. AnivaoDu a li cincu misi, la mugghieri dici a lu maritu: — * Harituzzu mio, tu lu sai caìosugnu 'ntali cincu misi,eco»dipanza'un nliaju fattn nuJdda ? ' PircU 'un pmsi di {jirì a piscari ? ac- cusai facemu quarchi cosa. , Lu maritu si pirsuasi , e ffl nni iju a piscari. Jetta lu rizzàgghìu *, e tira; tira ea ti tira, tira ca ti tira, veni un pisci grossu, groasu. ca raancu lu poteva jisarl Comu lu pisci nisciu mènza fora e menzu dìntra di l'acqua, cci dici: — ' Pirchi mi tiri? , — " Pirchi me mu^hieri è gravita e 'un haju eomu fcri pi li cosi di la panza. ,—' E bonu !.. Pi sta vota las- sami ; quannu tò mi^hieri havi li dulura *, mi veni a chiami. , — ' E tu comu ti dfiami? , — " Io mi chiamu Sennu ,, dici lu pisci Lu piscaturi lu lassò jirì, e jicc6 arreri In rizzàggUo. Tira ca ti tira, tira ca ti tira, tira un f Tu Iv lai eoe. Tu b^ cha io tono &1 quinto mwe (di gt&viidanai), é del c La povera Eva era io una, grotta , coricata sopra un lascio di erba, che treniava dal fì%ddo. I lf6 FIABE B LEGGENDE maUa * ,. Eva chi ni vosi àutru ? Priau ó pignori, e d' f 'e filazzi d' 'a casscittina nissciu 'n picciunieddu \ Tutta contenti cci tira 'u cuoddu ', e si fa 'na bella tazza di bruodu ; e tannu sulu si 'ntisi tumarì, di morti 'n vita. Ora 'gni vota ca ce' era malatii n' 'a famiggia, Eva jj s'addunucciavai ^ vota ppi vota nisscia 'n pìcciuni *. i 'Na 'ota parò ca Gainu ed Àbbeli jiucàunu ce' 'a ca- sscittina, ^rapisi dda casscittina, e chi vidìstuu ? i midi* p Cini vularu com' un sbardu di linnineddi ^ Adamu ed // Eva.cùrsuru p' affirralli, ma ce' àun' a' ffirrari? * ' Dduocu si 'ota Adamu, e cci dici ad Eva: — * 'N dàn- Ciri, eh' 'a curpa nun è tua e mancu mia; e fiiorsi chistu è signali ca ppi tutt' 'i malatii 'a vera midicina è 'u bruodu d' ó pieciuni », Modica '• * E vidi^ e vedrai che il nmedio uscirà da so (sulu), senza disser- rarla (la cassettina). * E dalle commessure della cassettina uscì un piccioncello. [ * Tutta contenta gli tira il collo. ^ * Ora ogni volta che e* erano malattie nella famiglia, Eva s*ingi- nocchiava, e volta per volta mettea fuori un piccione. ' Apresi quella cassettina , e che vedeste ? le medicine volarono eome uno stormo di rondinelle. * Adamo ed Eva corsero per afferrarle , ma che avevano ad af* ferrare? ^ Raccontata da Emanuela Santaera contadina. Re Salamiml • Sapianu. 'Na vota s' arriccuata ca a tempu di Re Salamuni ed fu un picciottu ca si vulia maritarì e 'uà sapia quaii picciotta p^^arisì. Va e ya noi Re Salamuni p' avìri un cunsigg^hìu. Salamuni lu mannò nni 'na som sua, chiamata Sapienza. Sapienza, senza diri nec- chi tllU>i'necchi tabbi, * nisdu e si nni yu 'nta 'na cam- pagna: e lu picciottu pi d'appressu. 'Sennu 'nta sta campagna, s' accustò a 'na fossa e cci Sci scìnnirì 'na jimenta cu 'na jimintedda, fiE^hia sua, p ddoppu scinniu Sapienza. Comu fu jusu , Sa- pienza pigghia un nerbu e cumìncia a nirbiarì a la poTira jimenta: tirìtinghi e tiritai^hi ! nirbati ca jicca- Tanu focu '. La jimenta avogghìa di salari, dì curriri attorau a lu fossu, di jiccari càuci ; era tuttu 'nùtuli, pirchi Sapienza sunava a la scapiddata '. A certu puntu la jimenta, 'un nni putennu cchiìi, jecca c'un sàutu, e ^ridda fora di ddu fossu. La jimintedda ilei lu stissu, e 'n tempu chi si dici, matrì e flg^hìa s' attruvaru font di lu fossu. * Senza dira né ai né biu. Il Traina, Nuovo Voeab. Ho. ital. «Ila voce Cibfd scrive : < Nà tìbbi né catUibi : né a. te, né A me , a : né ponto né poco >; msi, come ai vede, frase e mgoiflcaito fidano. ■ Tiritinghi ecc. DUIi e dalli ! nerbate elle gettavano flioco (cU levare U pelo). * Anogghia ecc. Invano la giumenta saltava, correa attorno al tomo, apanva cald ; gli era tutto inaUle , perchè Sapienza sonarli ■MfHgliatamente (piccMara alla disperata). 128 FIABE E LEGGENDE Lu picciottu taliava tutta sta scena, e 'un ni capia nenti; cci paria ca Sapienza avia persu lu ciriveddu. Comu vitti ca Sapienza 'un cci dissi nenti, vota p' unni Salamuni, e cci cuntò lu tuttu. Salamuni capiu e cci dissi : — * Parabbula significa. Si ti vó' maritari, e vó' truvari 'na bona picciotta, guarda prima la matri ; si idda è bona , bona è la flgghia , pirchì li figghi pig- ghianu V esempiu di li matri „. E cunchiudiu cu diri: Pigghìa para, para pigghia, ^r Lu sàutu chi fa la matri fa la flgghia. ■ f Palermo \ - r VARIANTI E RISCONTRI > I Una versione italiana di questa tradizione è nei Proverbi sic. n, 219. * Raccontata da Agatuzza Messia. \ '«■#- SalajDuuì e Marcorfu. Cc'eranu 'na vota dui frati e 'na som: Re Salamuni o Marcorfu so frati, e Stella, so som '. Ddiu cci marinò dui picciuna a Salamunì, pi fàriccì pìgghiari lu vrodu. Stella coci li picciuna, si pigghia idda la prima tazza; dici: ' Oh, ch'è bella ! , E cci vinni la scienza. Votasi Marcorfu: — ' 'Amminni un pocu a mia „. Pi^hia Stella e cà nni duna \m pocu a iddu, e a Marcorfu cci vinni puro la scienza. A Salamuni chi cci arristò ? lu vrodu acquatu, pirchi Stella cci junciu acqua p' allungallu. Stu Salamuni era un omu sapienti e riccu, e avia la fagurtà ca ogni cosa uhi tuccava addivintava oru, 'Na vota avianu a varari 'na varca, e sta varca 'un putia jiri. Salanroni vidennu aecussi, dici; — " Jiti nni me soru Stella , e tutti cuntenti cci diciU : Varau la varca! Varau la varca! e sintiti zoccu vi dici,. Stella comu senti ca varau la varca, dici: — " ForzK di sivtt fu ' ,, Comu Salamuni iu 'ntisi, fici mettiri sivu sutta la varca, e la varca varò altura. Dunca Salamuni avia pi mugghieri 'na donna, e vonnu diri ch'era flgghia di lu Re di Triesti (sic) , ca quannu iddu si vosi maritali, e tutti li re e principi cci apprisintaru li so' figghi, fa fBiiica chi cci ij^^ ^eniu. ' Sb.soru, loio aorellu. ' Foi'su di si'PM jpi, (no questa ^>al■ca potò esser varata, ciò) fu per (nr/A di sego. PiTEÈ. — Fiabe e Leggende. 9 130 FIABE E LEGGENDE Ma Salamuni 'un si cuntintava d'idda, cà avia un sir- ragghìu cu settìcentu picciotti \ Sta donna si 'mpu- sissò tantu di Salamuni, ca macàri lu facia metteri a quattru pedi, e idda cci accavarcava di supra. Lu Mar- corfu, ca a Salamuni lu vulia bèniri, mali sufifria ca so frati avia a essiri accussì supraniatu di 'na donna. Sta donna si nn' addunau e cci dissi a Salamuni : — * O tu levi di 'mmenzu a Marcorfu, o io nun ti cun- tentu cchiù li to' disiderii „. Salamuni, senza tanti chiac- chiari, duna ordini d'arristari a Marcorfu nn'appi 'na ciariata ^, e si nni fuìju, e si uni iju ntia 'na massaria. Ddà cci ficiru 'na bona accugghienza, cà sapìanu ch'era frati di Salamuni. A la massaria travagghiavanu, e lu Marcorfu spiri- minto di fari li ricotti, e li mannava a vìnniri a la cita. Jamu a Salamuni, ca comu so frati spiriu, 'un potti appurari mai unn'era; dici: ** E chi menzu cc'è di sa- pillu? Ora pensu io... Fazzu un carru significativu , e cu' lu spija, havi un premiu. Siccomu 'un lu pò spi- jari nuddu, sulu chi Marcorfu, accussì pò essiri ca l'ap- puru „. Eccu ca lu carru fu fattu. L'omu chi java a vìnniri li ricotti, 'ntisi diri ca cc'era un carru, e supra cc'era Salamuni cu la so cuncupina. 'Nta stu carru cc'era un bannu di Salamuni: ca cu* spijava chi cunsistia sta carru ^, cc'era un gran premiu. * Picciotti, s. f. plur., ragazze, donne ecc. » Nn*appi 'na ciariata^ n'ebbe odore, sentore. » *Nta stu carru^ ecc. Su questo carro era un bando (un'iscrizione) di Salomone, (che dicea) che chi spiegava (sapesse spiegare) il signi- flcato di questo carro, aveva (avrebbe) un premio. .> SALAHUNI E HABCOItni 131 Comi! Marcorfu 'ntisi sta cosa, ed dissi all'omu; — " Sa' chi cci ha' a diri a Salamuni ? — Quantu va un'acqua di marzu e d'aprili Nun cei va nn carru cu chissi dui vili ; ma avverti a purtàriti 'na bedda jimenta, pi essiri pronta a scappari, pirchì si t'appuranu, vennu a capi- tami a mia ^ „, St'omu scinni a la citati, e coma vidi stu bannu, cci dici a li ministri di Re Salamiini : — " Quantu va un'acqua di marzu e d'aprili Nun cei va un carru cu chissi dui vili. , La truppa era pronta; coma 'ntisi sta pruposta, cci va pi dappressu, e l'agghiunci a la massaria. Ddà cc'era Marcorfa; ordini d'arresta cc'era; l'arristara. Davanti a Salamimi !... Salamoili cci spija: — " Di chi morti vó' mò- riri. ,— " Vò^hiu essiri svinata e misu 'nta 'na tina di latti ,. Qaannu Marcorfu stava di mòriri , Salamani si nnì pintiu; dici: — " Gc'è rimèddiu pi tia , pì stagnari sti fi- riti V „—" No „, cci dici Marcorfu. — " Ma vera nun cc'ò rimèddiu ? , Risposta di Marcorfu : — "Un rimèddiu cc'è.... „— " E chi? , —' Cc'è la rosamarina all'ortu, Ca fa risuscitari all'omu mortu „. — "E coma? , — " 'Un ti In vogghiu diri; chistu salu ti dicui ca io nun campu: ma si io caiapava, di hi seni nni facia nasciri ogghiu * ,. Palermo '. ' Venrm, verranno a trovare u catlurar me. * Io ntincampu, ecc., io non vivrò; ma se io dovessi vivei'e, avrei tanta abilità ila tar nasccic olio dal siero. * Rai^ntata da Domenico lngras3!a. 13:2 FIABE E LEGGENDE VARIANTI E RISCONTRI. D.^lla esistenza di Marcolfo nella tradizione siciliana non ^ era trovata traccia fin qui. Questo è il primo racconto nel quale siffatta esistenza viene accertata; di che ebbi a far cennc io stesso in una comunicazione alla U* Classe della Società Si- ciliana per la Storia patria, il 9 Genn. 1880. Vedi Archivio sto- rico siciliano, an. V.*, fase. MI, p. 5. Palermo, 1881. Ho anche trovato una frase che ricorda Marcolfo, e nella quale il preteso fratello di Salomone appare come un uomo un pò* grossolano^ un po' goffo: Arristari comu Marcorfu. Pel proverbio: Qtuintu va un'acqua, vedi i miei Proo. sic, v. Ili, p. 60. Ma si noti che siccome il plurale vili può significare tanto vele quanto vUi (.sing. vile), qui Marcolfo, con un calembour, dà del vUe a Sa- lomone ed alla sua favorita, per la quale commeltea tante de- bulezze. Nel prov. siciliano comune : Quantu va un'acqua eoe. la V. vili significa vele. •" -..1 La Matri Sant'Anna chi vu)ia jiri a lu tempiu. A tempi di la Mat'ri Sant'Anna ce' era un sulu tem- piu , e stu tempiu s' avia frabbicatu pirehi li prufeti javanu prìdicannu ca avia di nàscili lu veru Misia ; e cci putevanu tràsiri sulu li donni eh' avianu a prisin- tari li picciriddi a lu Signuri. La Matri Sant'Anna figghi 'un n' avia fattu mai, e 'nta stu tempiu 'un cci putia tràsiri ; e nn' era disid- dìrusa. Quannu fici cinquanl' anni, e 'un appi spiranza cchiù di nèsciri gravita, cci diisi a S. Jachinu: — 'Pur- tatìmicci 'na vota a stu tempiu, e macàri sutta lu flr- riolu ammucciata! „ '. S. Jachinu si pirsuasi, e cci la purtò. La trasiu , e idda di sutta lu flrriolu java ta- liannu tutti li mura e tutti li pitturi. Li prufeti eh' e- ranu 'nta lu tempiu vidianu ca sutta lu firriolu di S. Jachinu ce' era sta fimmina, ma 'un dicianu nenti, Quannu lu S. Jachinu stava pi nèsciri di lu tempiu, cci dissiru : — Eh! Jachinu, Jaehìnu! ammùccia, am- miiccia, ca tuttu ti pari " !.,. „ S. Jachinu a sta palora, ' Parlalimicci, ecc. Conducetemi una volta a! tempio, anche na- scosta sotto il (vostro) fcrraiuolo. Si noli che la narratrice è una donoa di età, e secondo 1' anticii oso, marito o moglie) non si danno mai dei tzi niodcmo, mft del voi. La donna poi sta sempre soggetta al marito. ' AaimUccia ecc. nascondi, nascondi, che tutto ti si vede. — Pro- 134 FIABE E LEGGENDE s'arrabbiau, cà cci parsi un rimproviru; e pi li viola ^ si misi a 'lliticari cu la Ma?ri S. Anna : — * Pi causa tua appi aViri stu rimproviru !... Ora ti lassù , e mi nni vaju ! „ Vicinu lu tempiu ce' era un arvulu. Arrivaru 'nta st' arvulu e iddi ancora si javanu alliticannu. Gei ri- spunni un Ancilu di supra Tarvulu:—-" Sì, Jachinu, las- sala, e vatinni, e nun cci turnari cchiù». S. Jachinu, arrabbiatu ca era, a sti palori la lassa 'n tridici ^ e si nni va pi li so' mannari, cà iddu era robba di mas- saria \ La Matri Sant' Anna si nn' appi a jiri sula à casa. A li deci anni, mentri la Matri Sant'Anna durmeva, cci va TAncilu e cci dici : — " Anna, Anna, si' gravità di 'na rusella eh' havi a essiri la Matri di Nostru Si- gnuri ! „ Gei arrispunni idda 'nta lu sonnu : — " Ah ! Zocca la vecchia vulia, 'N sonnu cci vinia *. (Accittò zoccu cci dissi l' Ancilu). Votasi l'Ancilu : --. * Sùsiti, Anna, e vai a cerchi a tò maritu ddà nni lu arvulu unni lu lassasti „. Sant'Anna si susiu, si vistiu, e cu la cammarera si parti pi jiri nna V arvulu. L'Ancilu si nni iju dunni ^ E pi li viola^ e (nel ritornare a casa sua) per la via (che avea j tatto o dovea fare). i » Lassavi *n tridici^ lasciare in asso. ' Cà iddu ecc. giacché egli (S. Gioacchino) era persona di mas- seria. * Proverbio volgare, che si suol dh'e quando si ripete sempre una cosa che si desidera. LA «ATRI SANT'ANNA CHI VUUA JIRI ECC. , 135 idda, e iju nni S. Jachinu : — " Jachinu, Jachinu, sù- sili, e vaidrova ad Anna ddà nni l'arvulu unni la las- sasti; ca èni gravita di 'na rusella, ca havi a essiri la Matri di Nostm S^nuri ,. S. Jachinu tultu sbauttutu si susi e parti; e maritu e mugghieri si vannu a 'ncun- trari sutta l'arvufo. Comu si 'ncuntraru , deci anni ca 'un si videvanu, s' abbrazzaru e si vasaru. La cammarera pensu ca nun la canuscia a S. Jachinu, e cei dissi : — " E tallati sti du' vecchi ca s' abbrazzanu e si vàsanu punì ! , A stu malu pinseri lu Spiritu Santu la scumunicò, pirchi. lu Spiritu Santu nun voli ca nni pigghiamu lu pinseri à' àutru. Àccussì ficiru paci Sant'Anna cu S. Jachinu, e nni vinni la Bedda Matri Maria. Bagheria K ' Raccontata da Angela Pulso. 136 xxin. Pirchl Sant'Anna 'un havi la so festa \ Quando Maria andava cercando suo figlio Gesù, che era stato preso dai Giudei, era in compagnia di San- t'Anna, sua madre. Stanca ed affannata, lungo il cammino, vide un'erba, la prese e se la mise in bocca per calmare la fame. Sant' Anna, veduto quest' atto, la rimproverò così : — ** Oh, che bell'amore porti a tuo Figlio ! Invece di cer- carlo, pensi a mangiare! » Rispose Maria: — "Ou' nun cridi là me dulfa, La so festa cumannata nun sia ! , * E perciò Sant'Anna non ha la sua festa. S. Angelo lo Muxaro. * Mancandomene il testo dialettale, ne pubblico la versione lette- rale italiana favoritami dal sig. Emanuele Gramitto-Xerri. ' Chi non crede al mio dolore, che non abbia (per sé) festa coman- data (dalla Chiesa)! S. Giuseppi e lu pilu di mìnua '. San Giusippuzzu jia a dumannari, e passau di 'nta 'na fimmina cliì si facia 'i capiddi. Gei dissi San Giu- seppi:— " M' 'a facili 'a limosina? „ Ha rispundulu la donna,e cci ha diltu: — "S Nin vi pozzu fari limosina, chi mi staju facendu li capiddi ,, A sta donna cci ciancia lu picciriddu, e si l'iia misn 'nta la minna ', S. Giusip- puzzu s'ha scippatu 'n pilu di la barba e cci l'ha misu 'nta la minna, e allura a dda tìmmina cci vinni 'u pilu d' 'a minna. Poi tumau S. Giuseppi p' 'a limosina arrierì. Idda nun cci nni vossi fari, e cci dissi: — " No, bon vecchiu: facitimi stari 'a minna bona °, e vi fazzu 'a limosina ,- S. Giuseppi allura dissi : — " Pilu di minna, vattini di ccìi, E li ni veni 'nta la barba mia, Fi^hiola a durniiri, Mamella a ripusarì l , E cci fici stari arrieri 'a minna bona. VARIANTI E RISCONTRI. Vedi il u. XXXVI del presente volume. 1 Pilli di .lUnn-Xt iiifLiiniUnzione piU'iialc de* condotti galoltofori * Lo jiìangca il bambino od olla lie lo attaccò alla maminulla. " Fatemi riguaiire della iiiamiiiella. * Raccontata da Rosalia Coc:iiiiaiino, e raccolta .-.* ^ ' . . jfc. ■• « iifc«^itìp»r*''-«*k^^'- *••••*« Lu mestru scarpau e Oentu Fetra ', Sìgnui inmò', si raccunta ehi 'ni vòin c'ia un mestru scarpau. Gliistu, 'to so paisi, mencu avia travagliu. Ci parsi di giustu mi si pigliava 'i so' firramìntiti , e mi jia cammieiinu p' 'u munnu. lllu si purtai dapressu un pen e ottuen di dion. Quennu fo on certu puntu, ci cumpaìju un vecchiu e un giuviri, chi jon, jùn Senlu Petru e l'atra 'u Signu- uzzu, chi illu mencu 'i conuscia. Sentu Petru quennu Il maastro aoarparo • S. Pietro (Versione Utteràit). Sienori miei, si racconta che una volta e' era un maestro Ecarparo. Questo , ne! suo paese , nemmanco avea travagUo {lavoro); gli parve di giusto di pigliare i suoi ferramentucd {arnesi), e di andare (« mi jia) camminando pel mondo. Egli si portò addosso (dapressu) un pane e otto grani di danaro. Quando fu a un certo punto , gli comparve un vecchio e un gio^Mi^i che erano (jon), uno (jàn) S. Pietro e 1' altro il Signoruzzo [G. C), ed egli nemmanco li conosceva. S. Pietro quando vide questo scarparo disse, al Signoruzzo:—" Signore, ' Questa traJiiione Ò incompleta, poro'iò tale me la fiivor'i l'egre- gio Di Pietro-Puglisi, ctie intendeva darmi lui saggio di voci nova- resi di Sicilia più che un racconto tradìùonale. Tuttavia la pubblico per la grande importanza del dialetto in cui è dettata ; e la fo se- guire da una versione letterale. 154 FIABE E LEGGENDE visti a stu scarpau ci dissi ò Sigiiuuzzu:— " Signui, vaju unni chillu scarpau e ci dumennu cachi cuosa, pri vidi' s'illu evi buntadusu „. 'U Signuuzzu ci rispunniu : — * Che lasso sta' a chillu puviellu! Camadòa cu' ssa di unni ven chillu puviellu , stencu e mortu di femi ! , Sentu Petru ci dissi: — " Ùa deu vogliu jii, pri vidi' chillu chi mi rispunni „. E iju unni chillu scarpau , e ci du- inannau si ci vuìja de' cachi cuosa. 'U scarpau ci dissi: — " Deu haju un pen; ti ni dugnu menzu a tia, e l'àtru menzu resta pri mia ». Sentu Pe- tru ci rispunniu; — " 'U Signuuzzu mi vi paga 'a caità „... Novara \ vo da (unni) quello scarparo e gli domando qualche cosa, per vedere se egli è generoso (buntadusu) „. n Signoruzzo gli rispose:—'* Lascia stare quel poverello ! In questo momento (camadòa=^com'è d'ora) chi sa donde viene quel poverello, stanco e morto di fame I „ S. Pietro gli disse — * Ora io (àa deu) voglio andare, per vedere quello che mi risponde „. E andò da quello scarpai'o, e gli domandò se gli vo- lea dare qualche cosa. Lo scarparo gli disse:—" Io ho un pane; ne dò mezzo (metà) a te, e Taltro mezzo resta per me „. S. Pietro gli rispose: — ** Il Signoruzzo vi paghi la carità l ^ * Raccolta dal sac. prof. Salvatore Di Pietro-Puglisi. * i^r. * Lu Tiddanu grinlrusu e lu Maistm. Quannu ìu Signuri eamiuava cu l' Apostuli, 'na sira si riduciu 'n campagna vicinu 'na casa d' un viddanu. Lu Sicuri sì prisintau a lu patrani e cci spijau si li vulia dda sira fari alluggiari ddà, Lu viddanu cci dissi di si ; perciò lu Signuri e li dudici Apostuli traseni dintra, Gomu traseni, eranu stanchi e s' assittaru pri manciàrisi un vuccuni. Avianu pani schittu evinu. Lu viddanu avia tri agnidduzzi, e di tantu 'n lantu facìanu mmèe. S. Petra, ca era mmurritusu, ' cci dissi a lu vid- danu pri trizziari ': — " Ss' agmddi^zu voi' essiri man- giatu. Vui chi nni diciti ? , Lu viddìuiu allura si mu- Htrau gininisu, e rispusi: — " È vem e» nn' haju picca, ma giacchi vossia lu voli e anchi sti patruna mei, nni lu mangiamu. Chiddu chi voli Ddiu !... Tutti li spichi 'un vannu ali' aria * ,. — ' Beni , dissi S. Petru , pri ora avemmu mangiatu, dumani matinu nni lu mangiamu, si voli lu Maislni ,. Lu Maistru accunsìntiu e dissi a lu viddanu ; — 'E veru ca nn' aviti tri, ma, cu' sa, lu Signuri quarchi vota vi putissi cuntintari...,. L'Àpostuli, •ddoppu chi ficiru orazioni , si curcaru supra 'napocu •di r«nu e s' addummisceru pri li fatti soi. ■ Mmurritusu e murritusu, add., capriccioso, biziarro, burlo- no, ecc. eoe. ' Triisìari, burlare. ' Tullilispichi, non tutte le spiahe vanno alroia (Prov.). Cioè: Koii tutto va bena |>ei' noi. 15G FIABE E LEGGENDE Lu 'nnumani, all'arba, si sdri vigliar a e si pripararu pri pàrtiri. Lu viddanu arrustiu l'agnedduc iìciru 'iisòm- mula culazioni tutti. Ma mentri facìanu cuhazioni, S. Petru s' addunau ca vinu 'ntra lu ciascu nu nn* avia cchiù ; si vota cu lu viddanu e cci dici : — ** Amicu, aviti tantìcchia di vinu, cà mi fmiu V „— *" Nonsignuri: la vutti è sicca „ , rispusi lu viddanu. — ** Va piglià- tinni tantìcchia, sicutau S. Petru; nun cci criju ca nu nn' aviti nenti „. Lu viddanu allura si vutau cu lu Mai- stru : — " Signuri, st' amicu nostru nun voli cridiri ca vinu nu nn* haju. L'agneddu vi lu detti, e lu vinu, si Pavissi, 'un vi lu darria ? » — " Hai raggiuni „, rispusi lu Signuri; e vutànnusi cu S. Petru cci dissi: — " Petru, stu nostru amicu ti dici la virità e nun pò essiri crittu; ora ripara lu dannu chi hai fattu „. S. Petru allura si susiu, awjcinau a la vutti , e poi dissi : — * Maistru, pozzu spinucciari? ^ „'. — ** Spinocela pri sta vota; lu no- stru amicu lu merita „. S. Petru allura spinucciau la vutti sicca, ed aflfacciau un vinu russu comu lu sangu e chi facia un ciàuru di paradisu. S. Petru jinchiu lu ciascu so e chiddi di l' Apostuli, e fici tastari lu vinu ^ntra la cannata a lu viddanu. Lu viddanu ristau stur- dutu di lu fattu. — " Lu Signuri duna a cu' voli, dissi S. Petru a lu viddanu, e a cui lu merita pri li boni azioni. La vutti era vacanti, e lu Signuri vidennu la vostra amurusanza vi la jinchiu di vinu e vi la binidiciu pri li boni tratti chi nn' aviti fattu. „ * spinucciari^ spillare. *i7sSGwr« - ^^ - LC TIDDANtl GINIRU5U E LU HAISTHU 157 Lu viddanu si jittau facci pri terra dicennu : — * Sia binidittu ddu Ddiu chi mi fici sta grazia ! e sia fatta la sua santa vuluntati ! , L'Apostoli e lu Signuri lìneru di fari culazioni e si priparani pri pàrtiri. Lu viddanu altura dissi a lu Mai- stru : — " Signuri, nun mi lassati nuddu rigordu ? „ Lu Maistru rispusi; — " Si: cogli ss' ossa di 1' agneddu , e mettili fora, allatu lu muru di la casa ,. Lu viddanu cugliu l'ossa e li jittau allatu lu muru. Mancu tucearu terra, e addivìntaru pecuri, crapi, agneddi senza fini, chi facianu: mmèe, mmèe. — " Eccu lu rigordu , dissi 1» Signuri. Zoccu fa', t'è fattu. Diu duna e Diu leva ,. Allura si salutaru, e lu Signuri cu l' Apostuli partia. Frizzi '. VARIANTI E RISCONTRI Gfr. con una leggenda della Bdsk, FoVe-Lore,of Rome, p. 170, a. 4, e con una parte del Gesti e S. Pietro, n. XXVII delle mie Novelle toscane. ■ Raccolta dal sig. Salvatore Tortorìci. 158 XXXV. Lu Maistru e li spichi. Quannu lu Signuri java pri lu munnu, pridicannu la fidi, passò p' un siminatu , ca era 'na pena a vidillu: tuttu sìccu, pirchì *un ehiuvia. Dici San Petru a lu pa- truni ^ — " Ghistu è lu Maistru. Prigàtilu chi vi manna l'acqua * ». Lu viddanu lu prigò;e lu Signuri cci là cun- eensi. E cuminciò a chiòviri e a dilluviari. Ddoppu cci vulia lu Suli; e lu viddanu— cu lu dittu di San Petru— cci r addumannò, pi grazia, a lu Signuri ; e lu Signuri cci accurdò lu Suli. Lu siminatu si fici 'na gioia , ca era un t>iaciri a vìdiri*li spichi quant'eranu grossi. Quannu fu ura di metiri, lu patruni va pi vidu^i e trova li spichi vacanti di dintra '. ** Ah ! mischinu mia, ca su- gnu cunsumatu ! « E si misi a chianciri e a pilàrisi. Passa e passa lu Maistru ; e a vìdiri sta scena 'un si liei né russu né giarnu *. Pig^^hia un mazza di spichi, e comu l'osserva ca eranu vacanti, ddà ce* era un furnu chi camiava * » jetta ddu mazzu supra la cappa di lu fumu. Bici lu viddanu : — ** Siccu ce' era ; ora s' ab- brucia !.... , • ^ Al padrone del seminato. * Pr^atelo che vi mandi la pioggia. ' E trova le spighe vuote. * Più commiemente si dice: ' Un si /tei né vlrdi né giarnu^ non t^ fece né verde né giallo: non si scompose. * Là era un forno che si scaldava (veniva scaldato). * Secco era (il frumento); ora (poi) si brucia (addirittura). L0 KAISTHU I U SPICHI 159 Ddoppu tempu, chi sàcciu... ddoppu 'napocu di misi, Ju Signuri si truvò a passari pì la stissa banna; comu lu viddanu l'abbistau, cci iju a lu 'ncontru e lu purtò a la so casa '. Dda era lu furnu; dici lu Signuri:—" Pig- ghiàti ddi bpichi „. Pigghiaiiu ddi spichi, e vidinu— cosn ma' vista ! — spichi grossi, grossi, e cànichi ca cci vu- lianu occhi pi talialli. Tutti arristani alluccuti; e lu Maistru cu la so 'simurtura " dissi : — "Cu acqua e Suli no, e cu lu focu sì, Quannu voli lu Signuri Macàri 'nta lu focu crisci lu lavuri. , ' Dopo (un certo) tempo, clie so io..., (topo molti mesi, il Signore BÌ trovò a passare per la stessa parie ; appena il villano lo vide, gli andò incontro, e io condusse a casa sua. * Coa la sua disinvoltura, disinvoltamente . u ' Baccontata da Domenico Ingrassia. Questa legenda è ricordata nei miei l'ai e Costumi, al capitolo Agricoltura. IGO XXXM. Lu Maistru e li lapi. Quannu lu Maistru viaggiava pi lu munnu cu li so* Niscìpuli, 'na vota *sennu vicinu òn palazzu, manna a San Petru, pri jiri a dumannari un socchi d' ajutu a lu patruni. Davanzi lu purtunì cc'era un criatu, e 'un lu vulia fari tràsiri; ma San Petru tantu dissi e tantu fici ca chiddu lu fici tràsiri, dicennu: — " Taciti cuntu ca 'un m'aviti vistu ». Trasi 'ntra lu bàgghiu; coma lu patruni lu vitti, si 'nforma zoccu vulia, e nni lu fici jiri cchiù tortu ca gritta. San Petru torna nni lu Maistru: e lu Maistru cci spija: — " Chi ti dissi ? » — ** Chi mi dissi? pi miraculu *un mi manciò 'ntali robbi. » — * Tòrnacc arreri, e pregalu chi nni dassi un socchi d'ajutji pi sta- notti „. E San Petru cci turno. Lu criatu, comu lu vitti arreri, prigatu e straprigatu, lu fici tràsiri: — " Faciti cuntu eh* 'un m'aviti vistu „. Comu trasi 'ntra lu bàgghiu e lu patruni Tabbistò, tira lu spatinu, ca si San Petru 'un era prontu a scappari, lu 'nfilava di 'na parti a 'n'àutra. ^ Lu Signuri comu lu vitti: — " Petru, chi ti dissi ? „ — * Chi mi dissi ? Lu sapi Ddiu comu arristai vivu , ca mi vulia 'nfilari, c'un spatinu, comu 'na sasizzedda. , — * Sia fatta la vuluntà di l'Eternu Patri !... Torna 'n' àu- ^ Sfodera lo spadino, (e gli si scaglia addosso cosi furiosamente) che se S. Pietro non era sollecito a scappare, lo passava (lo avrebbe pas- sato) da parte a parte. Ì.V HAI5TRU E LI LAFI 161 tra vota e pr^alu. , — " Maistru, vui chi diciti veru ? Chissu ora ini squa^^hia. , — ' No, Petru; vacci arreri, e fa' l'obbidienza ,. San Petru trimannu comu 'na fog- ghìa fici l'obbidienza. Lu criatu 'un lu vulia fari trà- siri; poi dici:—' L'aviti a vìdìrì vui; faciU cuntu eh' 'un m'avìti vistu „. San Petru trasi; ma chi !... comu lu pa- truni nni senti lu rastu, sciogghi li cani e cci 1' abbia- Li cani si scatinanu supra lu puvireddu, ca s' 'un era prontu a cansiàrisi, si lu sbramavanu tuttu, Nun o- stanti chissu , li cani cci fóru vicini . e nun lu muni- staru. San Petru turno cehiìi morta ca vìvu. Lu Mai- stru comu 'ntisi stu bellu trattamentu dici; — ' Sìa fatta la vuluntà di l'Etemu Patri ! , E siculo lu so caminu- Avevanu fattu un menzu migghiu, quantu sèntinu un fraca ssu spavintusu ; si vótanu e vidinu tuttu lu palazzo spiriri, cà la terra s'avia sbalancatu e sì l'avia ^ghiut- tutu. — ' Gesù ! dici S, Petru. E pirchì fa cast^ari a lu patrunì àppiru a mòriri tutti li so' sirvitara ? , — * Ah! Petru! giusti giudizii di Diu!... , Camiiiannu camìnannu, vidinu 'na lapèra. ' Dici lu Maistru: — " Petru, pigghia ssa lapèra; cu' sa, nni pu- temu livarì quarchi pocu dì meli ! , San Petru si pigghia sta lapèra e si la metti 'mmrozzai e si l'appoja a lu pettu. Caminannu caminannu, sì senti muzzicari dì 'na lapa: — ' Ah! uff! , e si misi a strinar la lapèra a lu pettu ; strìncì, strinci, ammazza tutti li lapi. Juncennu a certu puntu , lu Maistru si ferma e s'assetta. — " Petra, posa sta lapèra, videmu chi meli cc'è. , Comu San Petra scinni la lapèra, tutti li lapi ca- ' raperà, ulveare. a. PiTRÈ. — Piabe e Leggende. 11 162 FIABE E LEGGENDE dinu morti.—* Petru, chi facisti ? ,— " Maistru, mi sintia muzzicari, e 'un putennu arreggiri cchiù, strincivi e ac- cussi mòrsiru tutti li lapi. Chi cci pozzu fari... ! « — * Ah! dici lu Maistru, lu vidi ca ti vinniru *nta la facci li to' stissi paroli ? Accussi fu lu palazzu. Chi cci trasianu lì servi? ma pi unu àppiru a pàtiri tutti, ph-chì chissi su' li misteri di TEtemu Patri ! » Palermo VARIANTI E RISCONTRI. Cfi*. Salomone-Marino, Aneddoti, n. V: Chianci lu giustu pi lu piceaturi, e De Nino, Saere Leggende, p. 70: La rieom- pensa neU'aUro mondo* Una variante romagnola diiRimini diede il Bagu, Saggio di Fiabe e NoveUe^jj^ 17, n. V : J buoni ed i malvagi; una bel- lunese è in Naivi0-Cibele, Per un zènto porta dàno, p. 6 della Zoologia palare veneta, alla v. Ave. La punizione di chi si rifiutò ad ospitare G. C. è in Busk, Fólk'Lore of Rome, p. 173, n. % * Racccmtata da Domenico Ingrassia. # • . i ^% xxxvn. Lu Vónnarl. 'Na vota, a tempi ca Gesù Cristu java pi lu munnu, successi ca cci vlnni di tràsiri 'nt' òn paisi, ed era mortu di siti. Era jomu di Vènnari. Lu Signurì vitti 'na fim- ntina chi si pittinava, e ed dici: — " Mi lu vulìti darì un Tuccuni d'acqua , cà air^giu di siti ? , — " Haju ehi fari, 'un è ura d'acqua 1 , Votasi boltu 'ntra bottu Gesù Cristu : — ' Mmalidìtta chidda trizza Chi di Vènnari si 'ntrizza ! , E sncutò a caulinari. Gaminannu caminannu vitti 'na fimmina chi 'mpastava la farina pi farii^ pani— 'Bona donna, mi lu vuliU dari im vuccuni 4|acquaP , — * Patnmi ! , e cci iju a pi^hiari l'acqua e cci la detti Gesù Cristu si vota e dici ; — ' BinitUtta chidda pasta Chi di Vènnari si "mpasta ! , E di ddocu vinni ca cedi fimmini 'un si solinu pitti- narì dì jomu di Vènnari. Poternw \ VARIANTI E RISCONTRI. CEr. De Nmo , Sacre Leggende : lì bambino fra la massa del pane, p. 33, e /t batnbino fra le treccie e fra U unghie, p. 3S. > RoocontaU d» Agatuzza Hwaia. 164 xxxvni. L'angrunia di l'avara e S. Petru. Si cunta e si raccunta. 'Nà vota, quannu S. Petru caminava cu lu Signuri, 'na juraata, mentri passavanu vicinu ón paisi, S. Petru 'ntisi sunari un'angunia \. Siccomu S. Petru era curiusi- teru *, dumannau a }u Signuri, si ehidd". chi cci su- navanu rangunladuviajiri 'nparaddisu o a lu *nfernu. Lu Signuri cci rispusi : — " Petru, prima d' iu dàriti la risposta, fammi un piaciri: va' 'ntra ssu paisi, e comu arrivi dumanna a cu* 'ncontri chi si dici, e mi lu veni a rifiriri. Quannu torni, ti dugnu la risposta ». S. Petru, pri la curiusitatiii<5urriu subbitu 'ntra ddu paisi. Comu arrivau, cumindifc a dumannari a tutti chiddi ehi 'ncun- trava chi si diefa. Tutti cci rispunnianu chi avia murutu un avaru ed usurariu tintu quantu lu nferannu.Gu' cun- tava l'avarizia chi iddu avia, cu' cuntava li tirannii ch'a- via fattu a li puvireddi chi si 'mpristavanu d' iddu li di- nari, cu' cuntava l'usuri chi facia, cu' cuntava ca quan- nu vidla li puvireddi e li disgraziati nni gudia; 'nsum- ma tutti lini dicianu mali. S. Petru toma nni lu Signuri , e lu truvau chi ar- ridia vidennu ca pri la curiusitati s' avia cuntintatu fari ddu viaggiu , e pura pricchi sapia chiddu chi S. « Anguma per agunidj agonia. * CuràmterUf abitualmente curioso di sapere e vedere checchessìa. i- <■ l'aNGUNU di L'aTAHU e &. PETHU 165 Petra avìa 'ntisu diri. Ddoppu chi lu fici arripusari, la Signuri ed dissi : — " Petra, chi si dici 'ntra lu paisi ? , S, Petra rispusi : — " Signuri , murìu un avara ed usurarìu, e tutti li genti nni dicinu mali. Cuntanu cosi chi fannu arrizzari li carni ^ ,. Lu Signuri allura ri- spusi : — ' Vidi, Petra , comu su' li cosi ? , — " Prie- chi ? , dissi S. Petra. — ' St' avara ed tisurariu è a lu 'nfemu, rispusi lu Signuri, e, pri tu sapillu, lu munnu lu cunnanna, e l'hai 'ntisu cu li to' aricchi. Fa beni e scordatUlK , fa mali e phisacci. Diu havi lu pedi di chiummu e sapì chiddu chi havi a fari. , Frizzi '. « (di questo nsoraio) da &ire accapponar la carne. * Raccolta dalSig. Salvatore Tortorìci. 166 XXXIX. L' occhia di la Signari e S. Petra. Quannu lu Sìgnuri java pi lu munnu/na vota, ddoppa d' aviri caininatu 'na menza jumata , vitti un casa- linu. Dici lu Maistru : — * Petra, vidi si hannu quarchi cosa di manciari ^. 'Na pirsuna chi ce' era nna lu ca- salina cci detti pani quanta putia manciari iddu sulu. Iddi, TApostuii, eranu quarchi setti o ottu (cà ancora tutti 'un s'avianu arricugghiutu). 'Nca S. Petra 'un cci purtò nenti a lu Maistru, cu diri ca 'un cci avianu datu nenti. Lu Signuri fici finta ca cci critti K Gaminannu, iddu java avanti; S. Petra, darreri; vota lu primu vuccuni. * — ** Petra ! » chiama lu Signuri; S. Petra jetta 'n terra lu vuccuni: — " Maistra! ccà sugnu; , e sicutò a caminari. Ddoppu 'n àtri du' passi, azzicca 'n atra vuccuni: e lu Maistra: — * Petra !... » — ** Mai- stra !... ri e jetta lu vuccuni. 'N àtri du' passi, lu stissu; 'nsumma ddu pizzuddu di pani cci iju a truppeddu •, e mancu nni tastò un vuccuni. Quannu cci parsi ad iddu lu Signuri s* arripusò; e li Niscipuli ficiru lu stissu. Chiama a S. Petra:—* Petra „. — ** Maistru „.— ** Cer- cami la testa, cà mi mancia „. S. Petra cci cerca la ^ Fece vista di credergli. ' Volta il primo boccone (dà il primo morso al pane). ' Insomma quel pezzetto di pane gli andò a traverso, (male, perchè il Maestro lo chiamava , ad ogni boccone di pane che San Pietro fiiceva). L'OGCanj DI LU SIONURI E S 167 testa, e ehi cci trova ? cci trova un occhiu darreri lu cozzo. — "Ah ! Maistru, e ehi cosa è chistal un occhiu darreri h cozza ? , — " Sì, Petru; e pi chissu io ti vitti quannr tu ti Umvì darreri di mia, pi manciàriti lu' pani... E chi U cridivi tu, ca pirchì lu pani era picca, 'un putia bastari , cu li grazii di 1' Etemu Patri , pi tutu?, Palermo \ ' Raccontata da Oiovanni VArrico, murifìibbra. 168 XL. S. Petra e l]i vacili d'argenta. Quannu lu Signori java caminaiinu s' attruvò a jìrì nna un niguzianti di furmentu. Danni passava lu Si- gnuri, li genti aflfacciavanu, cà caininava cu TApostulì, e li genti cci javanu pi dappressu. Stu niguzianti cci fici tanta accugghienza, e lu vosi a tavula cu li tridici Apostuli. A la finuta di manciari cci fici avvìdiri tutti li so' beni: magaseni, pecuri, vacchi, tuttu. 'Nta un ma- gasenu cci aveva un vacili d' oru ; lu Signuri si vota cu San Petru e cci dici: — * Piggliia ssu vacili e am- mùccialu „. Pigghia San Petru lu vacili e si Tammùc- eia sutta lu firriolu. Gei addumannaru licenza a lu ni- guzianti e si nni jeru. Caminu facennu si truvaru a passari di 'li àutru ni- guzianti: pigghiò lu Signuri e cci 'ncugnò iddu stissu senza fàrìsi chiamari, e trasiu 'nta lu magasenu, ch'era chinu di furmentu. Comu trasiu, lu Signuri sì misi a taliari; poi si vota cu San Petru : — " Posa ssu vacili ddocu „. San Petru nesci lu vacili e lu posa supra lu furmentu. Stu niguzianti nun cci fici cera ò Signuri. Lu Signuri nisciu e si nni iju cu tutti 1* Apostuli. San Petru era curiusu; a lu nèsciri cci dici a lu Signuri: — ** Comu, Maistru! ddà,lca nni fici tanta cera, cci livà- stivu lu vacili; e oca, ca mancu nni taliò 'nta la facci , cci lu lassàstivu ? » — " Ah, Petru, tu vó' sapiri assai. Si io cci lassava lu vacili nni chiddu, iddu 'un putia jiri S. PETRU E LU VAGILI D'ARGENTU 169 'n paraddisu , {cu' sa qual' era lu fini di Ddiu !...)■ — " 'Xcannì cliiddu pirchi cei iu lassastivu ? , — ' Pirchì «hiddu pi jìri ò 'afemu cci mancava ssu vacili ,. Bagheria '. VARIANTI E RiSCONTRL Con qualche dilTerenza di particolari ne diede una variante romana la Bdsk, Fólk-Lore of Bome, p, 177, n. 5. La coDclusione richiama a quella di Qesk e San Pietro, a. XXVU deUe mie NoveUe toscane. < Raccontata da Aagela Puleo. 170 XLI. S. Petru e lu nuciuni \ 'Na vota San Petnj caminava p' 'i campagni. Tuttu 'nsèmula si firmau e si misi a guardari 'nd' òn ortu *napocu di macchi di muluna, cucuzzi e tanti àutri pedi di ssi macchi vasci. * Vidia ddi bediii muluna , cucuzzi e àutri frutti grossi ca facevunu vèniri lu pitittu. Ma 'n- tantu S. Petru nun si putia pirsuadiri comu V albiri jàuti jàuti avianu a' viri frutti nielli, e l'albiri vasci Pa- vianu a* viri grossi grossi. Un jornu vitti ó Signuri, e eci dissi: — ** Maistru, ajeri 'un mi putia pirsuadiri di 'na cosa; a mia mi pari ca Vui n' ò munnu tutti cosi àta fattu giusti, ma chista 'un mi pari giusta. Pirchì V al- biri vasci Vasci han' a'viri lu fruttu grossu e chiddi jàuti jàuti rhan* a' viri nichi? ... A tinuri di l'albiri jàuti cci hanu a jiri chiddi grossi, e na chiddi vasci cci hanu a jiri 1 frutti nichi. „ Lu Maistru rispusi: — * A mia mi pari ca avissi fattu tutti cosi giusti; ' ma tu vói accussì e iu fàzzu accussì „. Di fatti lu Signuri cumannau, e si tru- varu tutti cosi comu avia dittu S. Petru. 'Na jurnata S. Petru caminannu a ssi campagni cam- pagni, nun avia truvatu un albiru pi ripusarisi all'ùm- mira, pirchì era stancu di lu caminu; quantu vitti di 1 San Pietro e la grossa noce. « E si misi a guardari^ e si mise a guardare in un orto molte macchie di poponi, di zucche ed altre piante di codeste macchie basse. '^ A me pare di aver fatto giuste tutte le cose. S. PETRO E LD NrCIUMl 171 luntanu 'napocu d' albiri di nuei e si diriggiu pi ddà. Jantu ca fu, vitti l'albiri belli cu 'i nuci grossi; si curcau ddassutta all'ùmmìra, e sì misi a dunniri. Dda jumata ce' era tanticcliiedda di ventu, e S. Petru s'arricriava a durmiri cu ddu friscu. Tuttu 'nsèmula, mentri ca stava durmsnnu , cu 'na botta di ventu cadì un nuciunì di chiddi supra la testa dì S. Petru, e eci scoppp supra la firuntl S. Petru a sta botta s' arrisbigghiau e sì 'ntisì cunsumari la testa. " E chi fu! ,. Si misi a pinsarì e dissi:—" 'Nca raggiuni avia lu Maistru !,„ L'albiri jàutì certu nun ponu tènirì sti sortì di frutti grossi , perciò cu 'na butticedda di ventu càdunu , e cunsuraunu un povuru cristianu; si 'nveci ce' erunu li frutti ca fici iu Maistru , prima di tuttu ca nun cadia , e lu stìssu ca cadfa nun mi facfa nenti „. Basta: S. Petra si 'nfasciau la testa e si ni iju. Comu 'neuntrau ò Maistra , S. Petra cci cuntau lu fattu ca cci 'ncappau. Lu Signuri si misi a ridiri, e poi cci dissi: — ■ Cara Petra , iu n'3 munnu fici tutti cosi giusti e prapurziunati; tu vulisti accussi e accussì fici; vidi chi ti ni vinia !... , S. Petra si pirsuadtu , e comu lì cani vastuniati si ni iju dicennu:— " Ora 'un cci dieu cchiU nenti ò Maistru, pirchì annunca * mi pò succediri qual- chi mali comu chistu ,. fVanccfotUe '. < Altrimenti. ■ Raocootata da Enrico Uìneo. 17:^ FIABE E LEGGENDE VARIANTI E RISCONTRI. Lu pignu e lu znulu.-iJ. 'Na vota S. Petra cci damaiinò a lu Signuri: — *" Pirchì 1d pi nu accussl gàutu ha vi li fruiti accusai nichi, e lu muluni accussì nicu liavi li frutti grossi ? , — * Ora li canciamu „ oci dissi lu Signuri; e accussì fìci: lu pignu lu misi 'uta lu muluni, e lu muluiii *nta lu pignu. 'N 'àutra vota pri cumminazioni S. Petru durmia sutta un pedi di muluni; e mentr'era 'nta lu megghiu sonnu, ppulf! cci cadfu un muluni *n testa , e cci la fìci addivìntarì cchiù russa di ddu muluni. S. Petru iju arreri nni lu Signuri, ed cuntò la storia e cci dissi: — * Lassati stari lu munnu compera ,. Lu Signuri cci rispusi:— '^ Nun mi diri cchiù nenti , pirchì io fìci tutti cosi giusti j,, Baudna \ La pedi di pigni e lu pedi d^agghiànoari. *Na vota un viddanu si curcò sutta un arvulu d' agghiàn- narL Mentri era ddassutta pinsava: ^ Ora 'un puteva fari lu Si- gnuri Tarvulu di ragghiànnari pignu, Tarvulu di pignu agghiàn- nari? Accussl, facennu lu pedi d' agghiànnarì pigna, di chisti nni vìnissiru assai ,. Mentri diceva accussì, un* agghiànnara cci cadi *nta un oc- chiù. Allura iddu si misi a gridari:—* Signuri, Signuri, 'un mi sintiti! Càspita! si chistu era pignu, povira testa mia!... , Palermo •. * Raccontata da Giovanni Di Marco. * Raccontata da Agatuzza Messia. u San Petru e l'aprocchi '. Si cunta e si raccunta. 'Na vota San Petru stava jennu 'ntra un paisi, e ca- minava a passu lentu 'n campala. Arrivatu chi fu vi- cina 6n limmitu *, s' assittau pr' arripusàrisi. Ddà vi- cìnu ce' era un viddanu 'ramenzu 'na tinuta di lavuri *. S. Petru, ca era sempri spiciusu *, cci dissi a ddu vid- danu : — *' Chi è chissà siminatu ? , Lu viddanu, cri- dennu chi S. Petra lu vulia trizziari, cci rispusi: — " A* procchi „. S. Petra allura cci dissi 'ncuitatu : — ' Ti cci pòzzanu addivintari veni * ! „ Comu lu lavuri cci jeva criseennu , addivintava a- procchi. Lu viddanu, mischino, chiancia, pinsannu ea lu siminatu cci addivintava aprocehi. — " Mischina mia ! dicia, e li me' figli comu hannu a campari ?... , 'Na jumata pri la stessa via passava iu Signuri cu i'àutri Apostuli. Ctomu lu viddanu li vitti vistati di la stessa manera di S. Petru, cridia d' èssiricci puru chìddu chi avia passatu di ddà ; ma quannu vitti ca nun cc'e- ra, sicutau a chiancirL Lu Signuri sapeva lu fattu pri la so divina sapienza , e 'ncugnau uni lu viddanu: — ' Apròcchiu, e. m,, eeiOaura ealcitarapa dì Linn. ' L'tmmUu, a. m. limite, confine. * In mezzo a un campo di seminato. * Spiciusu, ftdU., faceto, piacevole, bizzarro, " Che (questo campo) poaaa divenir tale ! (cioè tutto a centaurie). 174 FIABE E LEGGENDE Pricchì chianci, figliu miu ? Ti successi cosa ? , — ** E chi m' havi a succedili cchiù di chiddu chi mi successi! Ah figli mei ! ! ^ — ** Figliu miu, nun ti pigliari colira dimmi chi fu lu fattu chi ti succidiu, e si si pò ripa- rari, si ripara „. Lu viddanu s' asciucau li lagrirad , e cci raccuntau lu fattu: — ^ Era vistutu punì comu a vuàtri Signuri chiddu chi mi fici addivintari aprocchi iu la- vuri: e cunsumau la me casa e li me' picciriddi „. A sti pareli lu Signuri rispusi: — ** Senti, figliu: chissu di 'cui parri è S. Petru , miu apostulu. Io sugnu lu Maistru; pirciò ti cunsigliu di cultivari ssa tinuta, cà lu Signuri nun si scorda li to' picciriddi! In nomu di lu Patri, di lu Figliu e di lu Spiritu Santu iu binidìciu ss' aprocchi. Senti, figliu miu, sicutau lu Signuri: tu l'hai a cultivari comu megliu pòi; e vidi ca si fannu granni ed àuti tantu. Quannu è ura di mètiri e l'àutri mètinu, tu meti pura l'aprocchi, 'nfàsciali e pisali 'ntra l'aria *, cà di li pam- pini nni nesci frummentu ». La parola di Ddiu, ca fa lu cori tantu e cunsola, lu 'ncuraggiu, e pircu' ^ lu viddanu misi a cultivari l'aprocchi. Tutti li pirsuni chi passa- vanu di ddà e vidianu zappari l' aprocchi arridìanu e si scaccaniavanu di stu fattu *. — * Ch' havi a fari lu zu Peppi (accussì si chiamava) cu l'aprocchi , l' avemu a vidiri ! , ed arridìanu. Di ddu jornu chi passau lu Signuri dd' aprocchi cri- scevanu a maraviglia, e già eranu a tempu di metiri, ^ Tu meti puru, mieti, anche tu, le centaurie (Vaprocchi), legale a manipoli e trebbiale neiraia. • Pircu\ pircui^ percui, perii che, perciò. > Ridevano e sghignazzavano per questo latto. SAN PETHU E l'APROGCHI 173 sicchì 'na galantaria ^ Lu vìddanu li mitiu, li 'nfaaciau e li purtau all' aria. Tutti a stu puntu lu p^liavanu pri pazzi! e taliavanu vicinu l'aria chi avia a fari. Quan- nu lìniu di strauliari ', pigliau li muli e misi a pisari. Tutti lì vìddani di ddà vicinu taliavanu la vista "; ma ammaluccheru * quannu vìttim di l'aprocchi nèsciri lu fnunmentu biunnu biunnu comu l'ora. Mentri pisava, si trova a passari S, Petru, e 'nsèm- miila cu l'àatri si abbacMau la vista. — * L'hai fattu a mia, dissi a lu viddanu; ma prì gastima ti jettu chi lu primu vuccuni di pani di ssu frummentu pozza affucà- riti ! . ' E S. Petru si nni iju. Ddoppu *na rancata ' passau lu^ S^uri cu l'Apostuli. Lu viddanu cci iju a lu 'ncontm : — ' Oh , Maistra 1 bi- nidittu umù mittiti li pedi e li manu ! , e l'abbrazzau e lu vasau. " Frummentu mi nni Sci assai; ma chiddu stissu antura mi jittau 'na gastima ': chi comu mi man- ciù lu primu vuccuni di lu pani chi s' havi a fari cu ssu frummentu, mi pozza affucari ,,— " Beni, rispusi lu Si- gnuri, ca già prividia la cosa. Senti: lu pani chi tu fai la prima vota mèttilu 'ntra 'na cartedda, e cu tò figlia ■ La centaorìs erano già secche benlaaimo. ■ Strauliari, v. tr., portare i covoni ali'aia. * Nel (Caletto omnune: a' affustaoaau la vista, A gustaTimo quell& vista (goÓMoo di quella scena, guardavano). * SlwIoFdirono. ■ Ha io ti fb un'imprecazione: che tu possa affogarti al primo txx; eoa di pane che mangerai di codesto frumento ! ■ Dopo uQ poco. < Ma quello atesso (che mi tlace divenire il seminato centaurie) po- «uzi mi gettò una iaipKtxàaaa tìfostinta). 176 FIABE E LEGGENDE lu manni a vìnniri *ntra la chiazza. Zoccu havi a sue- cediri, succedi %. Lu viddanu lu riiigrazkiu, e si licin- ziaru pri Tafifaruzzi so'. Lu viddanu ristau a' carriàrisi lu frummentu, e lu Signuri si nni iju pri la so via. Ddoppu *napocu di jorna , lu viddanu iju a maci« nari lu frummentu, e la muglieri flci lu primu pani. Lu zu Peppi r avia privinutu di chiddu chi cci avia dittu lu Maistru; perciò la muglieri misi lu pani dintra 'na cartidduzza e lu mannau cu la criatura di so fi- glia a vinniri 'ntra la chiazza. 'Ntra stu mentri pas- sava lu Signuri cu V Apostuli. S. Petru, comu vitti lu pani eh* avia dda criatura , la gula cci facia nnicchi nnicchi *. ~ " Signuri, l'accattu tantìcchia di ssu pani? Haju un pitittu ca 'un cci pozzu reggiri ,. — * Sì: ri- spusi lu Signuri, mangia mentri hai fami „. S. Petrii accattau quatturrana • di pani, e lu tastau. Ddu pani cci 'mpiccicau 'ntra li cannarozza e s' affucau cu Toc- chi sbirticchiati tanti *. Lu Signuri cu Tàutri Apostuli arridevanu dì lu fattu. — " Petru, cci dissi lu Signuri^ chissu, lu pani di lu viddanu è. G::i pensi ? ... chiddu ca cci gastimasti. Petru ! Petru ! Pri sta vota basta, e pensa ca cui voli lu mali d' àutru , lu so V havi darreri lu 1 Mettilu^ mettilo (il pane) in un corbello, e con tua fìglia manda a venderlo in piazza. Quel che ha a succedere (avvenire) succederà: » Fari la gula nnicchi nnicchi, frase intraducibile, che significa, branàare ardentemente, aver gola d'una cosa. * Quatturrana, quattru grana , quattro grani , pari a centesimi nove di L. * Ddu pani, quel pane gli si appiccicò alla gola e (S. Pietro) s'af- fogò, (avendo in quel momento) tanto d* occhi spalancati e le pal- pebre rovesciate ^sbirticchiatij. ►. SAN PETRU E L'aPROGGHI 177 cozzu ' ,. Lu pani a S. Petra cci calau , e rispusi : — ■ Signuri, avìji raggiuni; la mancanza la fici, * è veni, ma vui aviti riparata lattu , pricchi siti lu veni Ddiu fattu omu ,. Frizzi '. VARIANTI E RISCONTRL n primo motivo di questa leggenda (p. 170) richiama ad un motivo ornile in una fiaba comimissima (c&. le mie Fiabe) e in una leggenda riferita dal Marini, Seueia del Criatìano, cap. XIV, p, 92; del Gnau, Fixiea sotterranea, v. II, lib. V, cap. 26, p. 272 e dal Mohoitorb, Ddla Stcifia rietreata, v. 1I< p. 329, elle scrive ; ' A un contadino domandato un mellone dal profeta Elia in limosina; essendo il euo orto fecondo di tali fruiti, egli rusticamente rispose che il suo terreno altro, non produceva che sassi; rispose il profeta Elia : Se san sassi Man sassi; e d'un subito tutti i melloni si mutarono in sassi ,. ■ Prov. comunìBùnio, che significa: Chi deriderà il male altrui, il suo è vicino. * La iPftncHTiffl io la feci. ' Raccolta dal àg. Salvatore Tortorid. 0. PtTBJL — Fiaie a Leggende. «« 178 XLIII. S. Petru e lu parrina. ^ 'Na vota, caminannu lu Signori cu PApostuli, trasiu *nta un jardinu. Sutta un arvulu ce' era un parrinu chi cummirciava cu 'na fimmina. Si vota S. Petru: — ** Maistru, Maistru , lu viditi cu' ce' è ddà , sutta dd' arvulu ? » Lu Signuri cei rispunni:— ** Gamina, e nun taliari „. Caminannu caminannu, passàru di 'na chiesa; tra- seru, e vittiru a ddu stessu parrinu supra l'artaru chi diceva missa. Pigghia S. Petru e si nni nesci. Lu Si- gnuri cu Tàutri Apostuli si 'ntisi la missa. A la nisciuta di la chiesa, S. Petru era davanti la porta. Dici lu Maistru: — " Pirchì niscisti di la chiesa ? ^ — ** E Vui 'un lu vidìstivu cu' era chi diceva la missa ? Ddu stessu parrinu di sutta 1' arvulu. , Lu Signuri lu lassò 'ntra la so 'gnuranza, e nun cei detti risposta. Caminu facennu, lu Signuri cei fa vèniri 'na gran siti a S. Petru. — *" Maistru , io staju murennu di la siti „. — ** E camina, ca agghiriddà cc'è acqua „. Tanta la siti, ca 'un puteva caminari, S. Petru. Lu Signuri, cu lu vastuni scattia supra 'na petra, e nesci un fruciuni d' acqua '; dici : — " Vivi, Petru „. E S. Petru vippi. — " Gomu ti pari ? „ — " Bella frisca, ca m' haju 'ntisu arricriari ,.— * Vivi arreri ! , E S. Petru « S. Pietro e il prete. • E nesci^ e vien ftiori un grosso sbruffo d'acqua. ■S. PETRU E LU PARRINU 179 vippì arreri. — " Comu ti pari ? , — ' Bella ,. — " Vivi arreri ,. E S. Petru vippi la terza vota. — " Comu t'ha parsu ? ,—' Bona, Maistra ,. — ' Ora tale duimi nasci ss' acqua ' ,. Va pi taliari, S. Petru, e vidi ca dda bel- l'acqua niscia di 'na testa di cani, ca li verrai facevanu accussì '. — - " Maistru, Maistru, di 'na testa di cani fi- tusa nesci st' acqua ? , — "Ma 1' acqua com* è ? , — " Bella ! „ dici S. Petra. — " Ora vidi : accussi era la missa: tu eh' avivi a guardari si lu parrinu era bonu o tintu ? a tia chi ti nni 'mpurtava ? Si chidda era tinta, la missa era 'na cosa santa ,. Bagheria '. ' Om guarda donde vien ftiori codest'acqna. • Dove i vermi facevano (formicolavano) cos'i, — La contatrice nel dir questo & un movimento delle dita delle mani a dorso in giù per eapri- mere quello de' numerosi vermi del teschio putrefitto onde sgoi^sva l'acqua. ' Raccontata da Angela Puleo. 180 XLIV. Lu cumpari di S. Oiuvanni e S. Petra. *Na vota ce' era un patruni ch'aveva un famigghiu. A stu famigghiu — ca era maritatu — cci nisciu gra- vita la mugghieri. Parturiu, e lu figghiu di lu patruni (ca stu patruni avia un figghiu) pi prèu cci vosi vat- tiari. Ddoppu vattiatu, quantu voti acchianava e scin- nia, stu parrinu si prijava di lu picciriddu. Un jornu 'nta di ràutri,mentri stu picciriddu addattavaju parrinu si lu vasau. La virità la sapi Ddiu...; cci parsi ad idda, a la cummari, ca lu cumpari cci vasau la minna, e si misi a mmurmuriari — : " E taliati : ca havi V ardiri di vaslari la minna a la cummari !... Ma S. Giuvanni mi nni paga! „ Comu fu , comu iju : stu picciutteddu , figghiu di lu patruni, si pigghiò di scrupulu e si vosi jiri a cunfis- sari. Cerca di ccà, cerca di ddà, nni quali cunfissuri java java, 'un putia aviri assuluzioni , pirchì cci java S. Giuvanni a Taricchia di lu cunfissuri, e cci dicia: — " Nun r assòrviri ! , Lu picciottu, affrittu, dici : — "A Roma he d'essiri. , Si misi stu purci *n testa di vuliri Tassuluzioni di li so' piccati, e si partiu pi jiri a Roma. Caminu facennu, vitti un jardineddu ; si cridia ca ce' era lu patruni , e trasi; trasì e trova 'na casuzza e' un litticeddu,'na zappa, un vanehiteddu. Si firria, e 'un vidennu a nuddu, dici; — * Ora m'arrestu ccà ,. E si resta ddà, e cu tantu preu si misi a curtivari ddu jardineddu. * -, LU CVHPARI DI S. GIUVANNl E S. PETBU 181 A ssi tempi lu Si^nuri java caminannu; sapennu lu Signurì pirchì stu picciottu era nna ddu jardineddu, e lu viaggili chi 9'avia misu 'n testa di fari, subbila ftci spuntari 'na chiesa , e sunau la missa 'nsèraumla cu S. Petra e S. Giuyanni. Lu picciutteddu dici:— ' Oh '■ ccà 'na chiesa ce' è! Ora mi vaju a sentu la missa ,. Si parti, e va nna sta chiesa. A iu tràsiri, lu Signori cci dici a S. Giuvannì: — * lo-dicu la missa, tu mi la serri; e tu (cci dici a S. Petra) cunfessalu si stu pic- ciottu si voH cunflssari ,. 'Nta menti lu Sìgnuri dicia la missa, S, Giuvanni cci dici a S. Petra:—' 'Un l'assorviri ! , Lu Signuri sinlia tutti cosi, e cci dici a S. Petra:—" Bada di pirdunalli quanti voli vennu „ (e cci sintia diri li piccaturi chi si jàvanu a cunfissari). S. Petra , strittu e malo paratu, a cu' avia a sentiri, a lu Signuri o a S. Giuvanni ? 'Un appi ehi fari, comu chìddu (lu picciottu) 'ncugnò pi cunfissàrisi, S. Petru cci appi a dari rassulii2ioni, Cunfissatu chi fu stu picciottu, lu Signuri cci avia a fari la cumunioni; comu di fatti cci la flci- Ddoppu chi stu picciottu sì nni iju, lu Signuri cci dissi a S. Petra:—' Ha' a jiri 'nta ssu jardineddu ddocu, e cci ha' a jiri a dumannari du' finocchi a lu jardi- nara ,. Lu picciottu 'nta lu jardineddu *un ce' era: e S. Petra si li cugghiu iddu: unu si lu manciò, e unu cci lu purtò 3 Signuri. Lu Signuri poi lu mannò pi lu vinu. — " Petru, tàstalu lu vinu, 'un ti fari 'niìnucchiari , (lu Signuri, tuttu sapia). S. Petra lu tastau lu vinu, ma siecomu s' avia manciatu lu finocchiu , cci parsi bona lu vinu. Cri porta lu vinu a lu S^nuri ed era s^[ru. — '•'• 182 FIABE E LEGGENDE * Ali, dici, Petru, Petru, ti 'nfinuccliiasli !... „ — " Ma io eh' he manciata finocchi ? „ — ** Comu! 'un ha' manciatu finocchi... Dimmi: cu' ti lu detti stu finocchiu? lupa- truni ? „ — ** Mai ,. — ** Ti i' accattasti ? „— ** Mai „.— " Ti lu cugghisti tu ? „ — * Sissignura „, -** 'Nca vidi 'nta un mumentu quantu mancanzì ha' fattu I^Ti dissi di jiri a 'ddumannari du' finocchi, e tu ti li cugghisti tu. Ti dissi di nun ti lassali 'nfinucchiari, e tu ti lassasti 'nfinucchiari... E tu, pirchì stu picciottu fici 'na mancan- za, 'un lu vulìvi assòrviri... E nun t' avia dittu io di pir- dunallu ?.... 'Nsignatillu: ca quantu voti veni lu picca- turi pintutu, s' havi a pirdunari „. Ddoppu si vutò cu S. Giuvanni e cci dissi: — ** E tu, pirchì si' accussi minnittusu, ogn'annu, pi la tò festa, ha' a dormiri tri jorna cuntinui senza arruspigghiàriti nenti ». E pi chissu si dici ca Si San Giuvanni tri jorna 'un durmissi, Oh quantu e quantu cosi nni facissi! * B(xgheria *. VARIANTI E RISCONTRI. Perchè si comprenda il valore di questa leggenda e la offesa grandissima a S. Giovanni Battista protettore del comparati- co, veggasi nei miei Usi e Costumi, v. II, p. 255 : H Campa- raUcOy dove altre leggende possono leggersi al proposito. Una versione abruzzese ne ha il De Nino: Sacre Leggende, p. 83: Cristo perdona e San Giovanni no. La parte della presente leggenda relativa al v. ^nfinucchiari è una leggenda per sé. Vedi le mie Fiabe, v. III, n. CXXIL 8. Petru e lu tavimaru. ^ Oh quante cose (punizioni) ci irebbe ! * Raooontata da Angela Puleo. S. Pietri! e so cumpari. Quaunu lu Maistru java pi lu munnu, l'Apostoli cci javanu ppi d'appressu. S. Pietra era lu cchiù maliziusu. 'N jornu, caminannu, pinsau jirisìni nn' òn cumpari so pi manciari, chi era putiaru. So cumpari non ce' era davanti 'a putia, ma ddà avanti ce' era 'na gran pignata ò solitu, unni lu putiaru cci squadava e vugghia tutta 'a robba cotta. S. Pietru livau 'a cummo^hiu ammuc- ciuni, ddà jìntra vitti 'n mussu beddu cuottu; s' 'u pig- ghiau, s' 'u 'mraucciau ; ddoppu chiamau : — " Cum- pari ! cumpari ! , So cumpari si 'ffacciau : — "0 cum- pari Pietru, corau siti ? „ — " 'Un cc'è di mali, cumpa- ri. Vinni, si mi dati quarchi cosi ,. — " Cumparuzzu, nentì haju , s' annunca vi sirvia „. — " Ma viditi si mi putiti dari quarchi cosa di cottu ,. — " Cumpari, nenli cc'è, s' 'annunca vi la dava,. S. Pietru vidiennu ac- cussì, — ' 'Ca mi ni vaju, cumpari, s'annunca; ma mi ni vaju ccu lu mussu ,. — ' Cumpari, chi vi pozzu fari? ca non appi chi vi dari t , — " Mi ni vaju, ma mi ni vaju ccu lu musau ,'. ' E 'nfatti sini iju sintennu buffu- niari a lu cumpari putiaru; e 1' avia buffuniatu pircM ca cci avia pigghiatu lu mussu di la pignata. Quannu S. Pietru si ni iju , lu pitiaru circau lu mussu 'nt' a pignata, ma non truvau nenti, e vitti ca S. Pietru cci sintt'a parrari di lu mussu di jintra la pignata. Aàreaie. < ì^assu, muso, qui è preao tanto nel a^nificaUi naturala, quanto nel traslato, che vale broncio. 184 FIABE E LEGGENDE VARIANTI E RISCONTRI Di qui prò quo come questo se ne ha molti nelle novelle di fattura letteraria. Uno affatto simile al nostro è quello che chiude la novellina La vostra hedda Grazia! neWà mia raccolta di Fiabe sic. v. IH, p. 312, nella quale un tale, che ha preso la moglie d'un altro nominata Grazia^ si congeda da lui dicen- dogli:— * Io mi fini vaju cu la vostra bella Grazia ,, quasi se ne vada in buona grazia, in buona pace con Jui. La sora dì S. Petra. Un jornu la som di San Pelru iju nni so frati, e cci dissi ca si %'ulia maritari. San Petru cci risposi: — ' A- spetta ca prima cci lu dica a lu Signuri, e viju ehi dici ,. Iju nni lu Signuri e cci dissi : — ' Signuri, niè som si voii mariiari.... , Risposta di in Signuri: — " Ma- ritàmula ,. E la som di S. Petru si maritau. Ddoppu tempu lu marita cci muriu, e nun vulennu stari sula , turno nni so frati e cci dissi ea si vuleva maritari 'na secunna vota. San Petru cci risposi : — ' Prima vaju nni lu Signuri; sintemu chiddu chi dici, e po' ti mariti arreri ,. Si nni iju tiratu tiratu nni lu S^nuri, e cci dissi : — "Me soru si voli maritari arreri. Chi diciti •■ „ Rispunni lu Signuri : — " E tu maritala ,. Accussì San Petm la maritò 'na secunna vota. Ma ddoppu 'napocu di tempu cci muri'u mmidèmmi stu secunnu maritu , e idda turno, a lu solìtu, nni so frati cu diri ca sì vulia maritari 'n' atra vota. San Petm 'un ni putennu tchiù cci rispusì ; — " Maritati tu '. Roccapalvmha *. VARIANTI E RISCONTRI Una variante di BorgeUo 6 in Salomopje-Marino, Aneddoti:^ n. VI; La soru di San Petru. ' la morale è che bisogna eposare una volta sola. * Raccontata da Antonino Di Cbìare. 186 XLvn. Lu mastru supra tutti li mastri. 'Na vota lu Signuri java caminannu pi stu munnu munnu; e ce' era un mastru firraru, chi era cchiù ric- culiddu di r àtri mastri , e vulia essiri chiamatu Ma- stru supra tutti li mastri e re di li mastri. Lu Signuri la superbia 'un l'ha pututu vìdiri mai, tantu ca la misi 'nta U setti piccati murtali. Chi fa ? Pigghia a S. Giu- seppi, si Tafiferra pi la manu, e va nni stu mastru, e lu metti a chiamari : — '^ Mastru , su' mastru ! „ ^ Rispunninu li vicini : — " Vih ! accussì lu chiama vos- sia ?... L' havi a cliiamari : Mastru supra tutti li ma- stri e re di li mastri^ masinnò iddu cuntu 'un cci nni duna „. Pigghia lu Signuri, e lu misi a chiamari forti : — * Su' Mastru supra tutti U mastri e re di li ma- stri ! 9 Accussì stu mastru firraru cci affaccia e cci arri- spimni : — * Cosa vuliti ? * „ — * Si mi fa lu favuri: ca haju a me patri vicchiareddu , quantu lu fazzu addi- vintari picciutteddu * „ ('un cci potti diri lu firraru: " Co- mu lu faciti addivintari picciutteddu ? „ masinnò lu Si- 1 Su* mastru^ signor Maestro. ' Cosa vuliti f meno comune di chi vuliti f ma più proprio in bocca al maestro che volea andare per la maggiore. * Si mi fa lu favuri. Vorrebbe ella (signor Maestro ecc.) farmi il favore (di permetteimi di lavorare un poco nella sua bottega tanto) che io fàccia diventare giovinotto mio padre, che è vecchierello? LC BUSTBD SlIPRA TDTTI LI MASTRI 187 gnuri cci putia rispunniri : ' 'Unca allura chi mastru siti?,), 'linea cci rispusi subbitu subbila: — 'Gnursì, tra- siti ,. Lu Signurì ha trasutu, ha pigghiatu a S. Giuseppi e 1' ha raisu 'nta ia forgia ; e si misi a ciusciari cu la màotacia sina ca S, Giuseppi addivintò di culuri di focu. Quannu addivintò luci ', pìgghia li UnE^ghi, e lu misi supra la 'itcùnia: pigghia lu marteddu e misi a mar- tiddiari a S. Giuseppi comu fannu li flrrara cu lu ferra 'nfucatu. Ddoppu 'napocu di martiddati, lu S. Giu- seppi addivintò un beddu piccìottu sciacqualu ', ca si putia taliari. Lu re di li mastri guardava e guardava: quannu lu Signuri finiu di fari novu a S. Giuseppi si licinziau : — " Mastru supra tutti li mastri e re di li ma- stri, io finivi, e lu ringraziu „. " Ck)mu si nni iju, lu mastru dici: — " Comu! io ca su- gnu lu mastru supra tutti li mastri e lu re di li ma- stri, 'un pozzu fari chistu cu me patri ?.... Vegna ccà, ca fazzu addivintari picciottu a me patri. Vinissi ccà, patri, ca lu fazzu addivintari picciottul ,. * Pigghia a so patri e lu misi a forgia ; poi afferra la tinagghia e lu posa supra la 'ncùnia. Vulìstivu vidiri a ddu povira vecchiu ! addivintau un pezzu di carbuni, e poi cadiu pezza pezza sminuzzatu *. Lu mastru supra tutti li mastri si misi 'n cuufùsioni : — " E comu fazzu ora!... , ' Qu&ndo (S. Oiuseppe in mezzo al fiioco) diventò Aioco. ' Sciacquatti, proepei'OBO, rìgoglioao. > Maestro ecc. io bo finito fflnivi^^finiO e la ringrazio. > Vinissi, venga qui, padre (mio), che la fo divmtare giovane (la ringiOvanÌBco io). ' E poi cadde a pem a pezzi imintBoato. 188 FIABE E LEGGENDE Curri darreri a lu Signuri e cci dici : — ** Maistru, Mai- stru !... ^ me patri mariu; pi carità vinìtilu a sarvari... Vuì siti lu Maistru supra tutti li mastri...; io 'un sugnu nenti ! » Quannu a lu Signuri cci parsi, si vutò e cci dissi : — ** Chi vuliti ? „ E lu mastru firraru cci cuntò la cosa. Lu Signuri nn'appi piata, e cci dissi : — ** Ja* muninni: videmu chi facisti „. Va a la casa di lu fir- raru e trova a so patri un panicottu *. — ** Ora va, scupa, cci dici a lu firraru, e cògghilu tuttu, e mettilu a la forgia ». • Lu firraru scupa e cogghi tutti ddi pizzudda di carni. Appena lu misi *nta la forgia, lu Signuri cci fici la binidizioni, e corau lu firraru java ciusciannu cu la màntacia , li pizzudda si javanu juncennu e si 'mpiccicavanu *. Quannu 'ncuddau tuttu, lu Signuri lu pigghiò cu li tinagghi e lu misi 'n capu la 'ncùnia, ^ e lu fici addivintari arreri com* era prima, no cchiù pie- ciottu. * Gei fici arreri la binidizioni, e lu fici arrivìsciri. — ** Ora va , dici ca si' mastru supra tutti li mastri e re di li mastri !... „ — *' Nenti , Maistru , ca io nenti ^ Maistru, Maestro. — Notisi la differenza che il popolo sempre (a, tra MastìTu e Maistru» Gesù Cristo che viaggia pel mondo non è mai chiamato Mastru , ma più pulitamente ed antonomasticamente Maistru, • B trova suo padre divenuto un pancotto (una poltiglia). * Ora va. Su via, dice (G. C.) al fabbro-ferraio , spazza e racco- glilo tutto e mettilo alla ludna (cioè: raccogli tuttr i pezzi di car- bone in che si ridusse tuo padr# e mettili al fuoco, perchè io possa ri&re tuo padre). * I pezzetti s'andavano riunendo e s'attaccavano. ^ Sulla incudine. • Ma non già come il fabbro^ferraio lo volea, giovane. LU HASTRU SUPHA TUTTI LI MASTRI IfW sugnu g. — ' 'Unca lassa la supsrbia, cà la prima ca- Terna di lu 'nfernu è la superbia ,. Baijheria '. VARIANTI E RISCONTRI. Vedi la novella seguente e la noia comparativa. < Raccontata da Angela, Puloo. 190 XLVIII. Mastru Franciscu e l'ancilu flntu scarpani. 'Na vota si riccunta a vuàtri Signuri ca ce' era un scarparu chiamata mastru Franciscu. Ghistu aveva tanti figghi, e nun guadagnannu nenti, 'na jurnata saluta a so mugghieri e a li so' figghi e si nni va a Ddiu e a la vintura. Camina, camina: abbanniava e nun lu chia- mava nuddu. Passau lu primu jornu, scurau lu secunnu, e lu poviru mastru Franciscu senza manciari. Ddoppu du' joma di caminu scontra a 'n àutru scarparu (chistu era un ancilu fintu scarparu). AUura a lu poviru ma- stru Franciscu cci vinni lu cori, e cci dissi ca si vuleva cumminari cu iddu, facevanu suciitati,e tuttu chiddu chi guadagnavanu si lu spartevanu mità 1' unu. L' ancilu fintu scarparu cci dissi di sì, e tuttidui si misiru a ca- minari, chiamànnusi V unu cu V àutru ** cumpari „. Passannu p' un paiseddu , lu mastru Franciscu si vitti abbilutu: cu' lu chiamava di ccà, cu' lu chiamava di ddà, e cci misiru pi davanti, p' avilli cunzati, un mun- zeddu di scarpi. Lu poviru mastru Franciscu si cun- funniu e cci dissi a lu cumpari : — " Coma facemu ? mancu pi du' jorna nni putemu allèstìri. „ — " Nun vi scantati, cci dissi allura so cumpari, pigghiativìnni vui du' para, e io mi pigghiu» tutti V àutri, mi mettu lun- tanu di vui quantu armenu nun parramu , e nn' alli- stemu cchiù prestu .„ L'ancilu si pigghia tutti lì scarpi, cci nni lassa dui para a so cumpari, si metti luntanu, MASTRI! FHANCISCU E L'aNCILH PINTU SCARPARU 191 e 'nta un vidiri e svidirì cci cunzau ddi scarpi , raa tanti puliti e cusuU forti ca nuddu cci potti mettiri peccu. 'Nt'òn mumentu si ficiru 'na gran summa di di- nari. Lu mastra Francisco, vidennQ ca so curapari cci stetti accussi picca pi fari lutti ddi scarpi , cci dice- va:— ' 0 cumpari, cu' vi cci mannau.... Ddiu ?! Nuàtri 'un n'avemua spàrtiri cchiii: ma avema a stari sempri 'nsèmmula ,: murlu cchiù vidennu ca li picciuli so cum- pari cci li detti tutti a ìddu. ' Caminannu e travagghiannu di sta sorti di manera, lu mastra Franciscu aveva fattu 'na gran summa di dinari; allm-a cci dissi a so cumpari ca nun vulia fari cchiii dd'arti, e si vulia ritirari a la so casa; ma l'an- cilu s'appuniu, e sicutara a fari li mastri. Caminannu caminannu, juncera 'n Pariugallu; appena triisera 'nta la cita, «ttina tanti genti 'mpinti davanti un pezzu di carta, unni ce' era dittu ca aveva mortu la fi^gliia di lu Re, e a cui la faceva arrivisciri, lu Re cci dava o dinari o la mità di la so curana; ma cui sì prisintava e nun la faceva arrivisciri , ddoppu tri joma avia dicapitata la testa: L' ancilu aìlura cci dissi a mastra Franciscu : — ■ Cumpari, cci vulemu jiri nna stu Re ? , Mastru Fran- ciscu si misi a ridiri, ma l'ancilu cci lu diceva vera, e tantu fici e tantu dissi ca fìci pirsuàdiri a so cumpari di jlricci. Si visiera lulUdui di medici e cuminzara a pas- siari davanti lu palazzu di lu Re. Li sirvilura di lu Re < Molto più fmaÌBtette sul desiderio d'aver l'angelo sempre con lui) quando vide che il compare i quattrini (del guadagno) glieli cedette tatti a lui. 192 FUBE E LEGGENDE vidennu sti dui medici chi passiavanu, iu dissiru a lu Re, e iu Re li fici chiamari. Gomu traseru cci avvirtiu ca cci facia livari la testa si a li tri jorna 'un facevanu arri^sciri a so figghia. L' ancilu cci dissi di priparari 'na quadara d'ogghiu pi quantu cci capia la Rigginedda morta. Poi cu so cumpari si pigghia la quadara , si metti dintra 'na càramara, metti focu sutta dda qua- dara e eia dici a lu mastru Franciscu di pigghiari la morta pi la testa e iddu pi li pedi pi mittilla dintra la quadara. Ddoppu 'nfilata ddà dintra misiru a 'rrimi- nari. Quannu la carni si staccau di Tossa e avia addi- yintatu scuma, scinneru dda quadara e sdivacaru Tog- ghiu 'n terra. Gomu sdivacaru tutti sti cosi, V ossa e Pogghiu si nni jeru a 'na parti, e la scuma arristò 'nta 'n'àutra. Lu mastru Franciscu era spavintatu d' aviri vistu stu magisteriu, e dissi a so cumpari : — " Si nun v*arri- nesci, primu vi jettu a vui di sta finestra, poi mi jettu io, pirchì accussì moru cuntenti. , L'ancilu faceva si- lenziu e nun cci diceva nenti , ma cu dda scuma ac- cuminzau a fari li gammi, li pedi, li vrazza, lu bustu, la testa, e tutti cosi. Poi cci dissi a so cumpari mastru Franciscu: — * Viditi e stati attentu, cà ora è Tura di ri- vìsciri ,. Lu mastru Franciscu stava attentu, ma poi comu fa un muvimentu, Tancilu cci fici la santa bini- dizioni senza ca lu so cumpari si nn' addunassi , e la figghia di lu Re arrivisciu. Vulìstivu vìdiri ailura a mastru Franciscu ! Gomu va pi nèsciri cu so cumpari e cci cunsign^a la figghia a lu Re, lu primu a parrari fu iddu. Lu Re cci vuleva r*i HASTRtT FRANCISCO E L'ANGILB FINTO SCABPARU 193 dari la mità di la so curuna, ma chiddi cci" dìssiru: — " Megghìu dinari ,. Lu Re allara cci detti 'na gran summa di dinari, e li dui scarpara fìnti medici si nn! jeru. L'anciiu cci li detti a mastru Francisco, e cci dissi: — " Cumpari, io tì saluto; mi nni vaju ,. Mastra Fran- ciscu d'atlura cci paria forti a lassEdlu, ma poi si divisi. 'Na jurnata, 'nla l'antri, muriu la Ri^inedda di lu Re di Spagna. Lu Re sapennu ca cc'era lu medìcu chi facia arriviscirì li morti, lu manna a chiama. Lu Fran- cìscu, tisu tisu si nni va a Spì^a, fa priparari la qua- dara d'o^hin, si cbii^ 'nta 'ha càmmara sulu, e sqnag- ghia la carni; poi sdivaca l'og^hiu 'n terra, pig^hia la scuma, fa la pirsuna di la figgMa di lu Re e ddoppu ca la flniu, cci dissi: — ' Sùsitì ! , Ma chi sùsiri e sìisirtl Cci mancava la cosa cchiù grossa, ca era la binidizioni di l'anciiu. Passali li tri joma vannu a tuppulìanu nni mastru Francisco (ma già era riccu e si chiamava Don Franci- scu). Iddu cci grapio e lo Re vìdennu ca ancora nun l'avia fattu rivisciri, fici priparari la cuUittina pi dica- pitàricci la testa. Poviru Don Franciscu iju 'n cappella. Quanno fo ora, l'ancilo finto medico s'addinòcchìa da- vanti lu Re e cci dumanna di vulìricci cincedirt 'na grazia: di dari 'n'àotra j'omata dì tempu a lo connan- nato. Ln Re accunsintio, e li dui scarpara, fìnti arreri medici, trasero "nta la càmmara di la morta. L'ancilo, non avenno chi gcosa pigghiàricci, cci dissi ca la pupa avìa lo naso tortu ; e cci 1' hannu aggrizzatu. Mentri Franciscu si vota 1' occhi, 1' ancilu cci detti la binidì- ùoni , e la Rigginedda arrìviscfu. Lu Re allura tutto Q. PlTRÈ — Fiabe e Leggende 13 194 FIABE E LEGGENDE cuntenti cci fici milli scusi, e cci detti *na gran summa di dinari. Li dui medici si nni jeru e si misiru a caminari. Junti nna *na chianura, Tancilu, eh' avia fattu finta di essiri scarparu, cci dissi: — * Franciscu... vidi ca io sugnu un ancilu mannatu di Ddiu , e nun t' arrisicari cchiù di mittìriti a fari rivisciri a nuddu, pirchì si la prima vota ti scansasti la morti, la secunna vota mori, e tò cumpari nun ce' è cchiù „. Dicennu sti paroli, spiriu. Cunsiddirati lu poviru Franciscu, ca avia addivin- tatu ricchissimu! Si cci addinucchiau davanti li pedi, ma Tancilu 'un cc'era cchiù, e Don Franciscu si nni iju a la so casa. * Iddu arristau filici e cuntenti E nuàtri sempri ccà chi nni stricamu li denti. Palermo ^ VARIANTI E RISCONTRI. S. Pietra e lu soarparu. Cc'era 'na vota un scarparu, ch'avia un figghiu malu ubbi- dienti. Truvànnusi pi casu lu Signuri cu S. Pietru a passari di 'na strara ', lu figghiu d' 'u scarparu cci dissi: — ** Oh Si- gnuri ! cc'è ma patri malatu, fagìtimi la grazia di fàriru stari bonu I • » — * Talfa eh' ha' a fari , cci dissi lu Signuri: ardi 1 Raccontata da un sumìnaccaru (trasportatore di sommacco) e raccolta da mio cognato Giuseppe-Filippo Vitrano. • Strara per strata, strada. » FagìHmi.f&torm la grazia di farlo (fàrh'u^fàrilu=sfarlu=:fallu) nguarire. MASTRn FRANCISCU E L'aNCILU FINTC BCARPARH 195 'na carcàra e cci menti là diutra a tò patri ,; e lu fi^hiu ac- eussl fìgi < . Ma avennu vistu ca so patri si stava brusgiannu ', si vutò e' 'u SigDuri pi fòricci vldiri ctullu ' chi stava succi- dennu ; altura 'u Sigmiii cci fìgi 'a binìdiziooi , e 'u scarparu stèsi bonu. S. Pietru, 6 so solitu, ai misi n testa di Tuliri imitari ó Si- gnori, e camioannu visti vièniri On carusu chi ciancia *. S. Pie- tru, comu 'u visti, cci dumannò: — " Chi hai? , — " E ch'haju a'viri, Signuri I cci dissi lu carusu. Ce' è ma patri ca sta inU' reunu, e iu nun sàccìu comu hilju a fari ,. S. Pietru, ch'avia lu dìsiderìu di fari miracuh, cci dissi:—" Menti a tò patri su- pra 'na gradigghla e dCtnacci fuogu ■ ,. La carusu dntennu C| avia a brusgìari a so patri, cci vinili 'n IrimuUu e cci dissi a S. Pietru:—' Chi mi vuliti pigghiari pi babbi] ? ,— * Vaja, loccu, cci rispunnlu S. Pietru, la zoccu ti dissi iu, e nun ti nni 'nca- rigarì ,. Quannu lu carusu arrustfu a so patri e visti ca nun ce' era spiranza d' arrivìsciri, crldèraiusi buffuniatu, 'ffirrà un pezzu di bastuni e stava 'ncuminciannu contru S. Pietru. 'U Signuri vidennu chi l'affari si fagla seriu, e vulènnuccì ri- sparmiari 'na mangiara di llgnadj a S. Pietru , si 'nci^nau à gradìgghia *, unni era lu malatu, cci figi 'a bioidizioni e chillu stèsi bonu. S. Piero sopra Patti ', Una versione siciliana è in parte nelle mia Fiabe, v. IH, n. CXXni: Lu Signuri, S. Petru e l' Apostuli; una toscana di ' P^ per /tei, fece, ' Bruagiannu, per bnicianmi, bruciando; da brusgiari. ' Chillu per chiddu, quello. * Visti, vide venire un ragazzo che piangeva. 1 Fuof}u per fuocu, fixu, taoeo. ' E vitlÈnnutxi, e volendo risparmiare un carpicelo di legnate a. .S. Pietro, s'accost^ alla graticola. ' Raccontata da Giuseppe Farad. 196 FIABE E LEGGENDE . Livorno in Knust, Italienische Màrchen^ n. Il: Ein Erdengang dea Erldsers] una toscana di S. Stefano in De Gubernatis, No- veUine, n. XXXI: Gesù e Pipetta; un'altra di Montale in Neruggi, Sessanta Novelle, n. XXXI: Pipetta hitgiardo; una abruzzese in De Nino , Sacre Leggende, p. 79 : Gesù Cristo , gli Apo- stoli e Sant^Eligio. Alla leggenda del Mastru supra ttUti li masiri si avvicina quella molto breve di Gessopalena del Fi- NAMOiVE : Come nacque Vorso, inserita ìm^ Archivio deUe trad, pop., V. V, p. 477, n. VI; e quella tradotta dall'originale di Mon- TÉpiN nella Illustrazione popolare, v. XXIV, n. 40; Milano, 2 ot- tobre 1887: La leggenda di Sant^ Migio. Una versione letteraria è nelle Cento Novelle antiche, ed. Gualteruzzi, n. LXXV; su di che vedi D'Ancona, Studi di Cri- tica e Storia letteraria, p. 335. Vedi anche Eòhler, nelle Gdttingische geleherte Anzeigen del 1868, p. 1377 e del 1870, p. 1^5. Ln Haistru e la burglsl. CaminanQu lu Uaìstru cu li Nisdpuli pi stu munaii munnu, capitau, a la scurata, una 'na casa d'un bur- gisi; ma lu bui^ nun cc'era, ca era all'aatu '; e cc'era sulu so mi^hìerì. San Petra tupputiò e cci dumannò si pi dda sira li vulfa allu^arì nna dda casa, ca cc'era lu Maistru. Dda donna cci Ilei gràpiri la pagghialora e li flci allug^iari ddà; fraditantu, cà M sdnniri pani, alivi e vìnu prì falli rìsturari. Toma e torna lu bui^isi; 'ncugna un viddanu: — ■ A la casa cci su' furasterì; ce' è lu Maistru cu li so' Nisd- puli. ,— " Lu Maistru a la me casa? E stu gran beni dunni mi vinni ?... . Gomu trasi dintra e senti, ca tu Uaistru era nna la pagghtalora, unu fu e centu si flcL — 'Ah ! sbriugnata donna ! (dici) TGni lu Maistru a la me casa, e tu lu fai alli^giarì nna la pagghialora cu tan- ticchia di pani e du' coccia d' alivi ! S'ubbitu ! chi si fazza acchianarì a la me casa lu Signuri ! , E tira tu e tira io, lu S^urì acchianò, ed appi fatti ti gran mEin- ciarìzzi *, ca fu un piacirL San Petru, 'aia. lu brìu, s'arritìra a lu bur^si, e cci dici a Varìcchia: — * Dumani uni nni jamu '; pirchi 'un coi dumannati quarchi grazia a lu Maistru? ,. Lu 'nnu-- > Antu, luogo ove i contadini lavorano. * Manciariiii, vivande oltre l'usato. • Domani ce ne andremo. 198 FIABE E LEGGENDE mani lu Signuri si licinziò; e lu burgisi , 'un sapennu chi dumannàricci, cci dumannò la grazia di putiri ca- pili lu linguaggiu di rarmali. — ** Ti sia cuncessa ! „ cci arrispunni lu Maistru, e cci fici la binidizioni. Gomu San Petru 'ntisi sta cosa,—*' Chi siti bonu ! ^ cci dissi; dumannàticci la grazia di Tarma „. Lu burgisi iju, e ce! dumannò la grazia di Tarma; e lu Signuri cci la cun- cessi. Lu burgisi si misi supra lu so barduinu , e iju al- Tantu. Gomu arriva, trasi nna la stadda, pi vìdiri li voi chi s' avianu a 'mpajari pi fari T aratura. •Senti e senti un voi chi dici a T àutru voi: — ** A mia sta jur- nata mi siddia veni a travagghiari: ora mi finciu ma- latu, e comu arrinesci si cunta.„— * Va beni! dici 'nta iddu stissu lu burgisi; ora t'accònciu io „. Votasi cu lu picciottu: — ** Chi havi sta jurnata ssu voi ca 'un si 'mpaja? „— ** Chi sàcciu.... pari malatu. „ — ** Ebbeni: si lassa senza manciari ». E lu voi si jiccò 'n terra dijunu comu un cani tutta la jurnata. La sira, comu turnaru Tàutri voi, dici:—** Mi sentu veru mortu di fami. Io chi mi cridia ca lu patruni mi lassava dijunu ! Ma sta cosa 'un mi la sentu ! Dumani a prima matina mi vogghiu mettiri a travagghiari „. Lu patruni eh' attintava, cci parsi piatusu, * e cci fici dari 'na manata di fenu; e si nni turno a la casa cu lu so barduinu. Juncennu a la casa truvò U gaddini cu lu gaddu sgag- giati, cà la patruna cci avia fattu jittari lu scàgghiu pri jìrisi a'ggiuccari '. E si firmò a taliari sti gaddini. ^ CJonie siete minchione ! » Al padrone, che stava in orecchi, fece pietà (il bue). » Giungendo a casa, trovò le galline col gallo Inori la stia, perchè LU BIAISTRU E LU BUBGISI 199 Manciannu chi ficiru, dissi lu gaddu:— " Ora va, gad- dinì mei, jàmunni a risittari, eh' è tarda ,. Ma li gad- dini, finta d' 'un capiri, sicataru a caulinari e a sca- lari '. — " Mi sinUstivii, si o no P Jàmunni a risittari ! ' , E li gaddini sicutavanu la sua. — * 'Nsumma, lu sapiti CI io sugnu lu gaddu, e vuàtri li gaddini; e li festi li cumannu io ? „ E mentri li java cacciannu e ammut- taanu agghiri a lu giuccu, sicuiava; — " Chi m'aviti pig- ghiatu pi lu patruni! ca è tatitu bonu ca si fa hvari di lò muggliieri, ca eci fa tanti bamoUi *, e accussì si lu 'nfiia 'nta la sacchetta. Cu mia sti chiacchiari 'un cci su': io sugnu lu patruni, e io cumannu.... ,. A sèatìii sti discursi lu patruni sbuffò a ridiri. Vo- tasi la patruna:— " E pirchi ridi? ,— " Ma', pi nenti „. — " Ma io lu vogghiu sapiri. ', — ° E io 'un ti lu pozzo diri ,. {Pirchi, — sta cosa mi l' avia scurdatu — lu Signuri la grazia cci l'avìa cuncessu ammucciuni, cu diri ca 'un l'aria a sapiri nuddu). Idda si metti lì raanu 'n ciancu, e nni vulia centu eh' è majorca *, pirchi la maritu 'un vulia parrari. — ' Taliati, dici lu gaddu, ch'è loccu stu patruni ! So mugghieri cci nni dici 'na letta ', e iddu la padronaavea loro Èttogettare il becchime per mandarle al pollmo. ' Scaliarif razzolare. ' {Toma a domandare il gallo alle galline) ; Andiamo a l'assettarci (al pdl^o). ' Chi m'aoiti, oh che m'avete preao pel padrone! che è cosi min- chione da lasciarsi persuadere da aua moglie, la quale gli Èi tante mome {ha-i.olli, bemùtlO. ' E nni vulia, e prese ad apoatrotarlo , a sbottoneggiai'lo, a gri- dare per voler l'agione. ' Guardato com'è sciocco questo padrone! Sua moglie gliene dice una atta (di villanie, ingiurie), e lui la lasda dire. 200 FIABE E LEGGENDE la lassa diri ! Ga si fossi io !.... li vastunati cci li farria fé tiri ,.Nni vuTistivu cchiù ? lu marita nisciu di quinta \ affeura un santu marrùggiu, e dunni veni? veni di lu mulinu: la fici stari unni modda e unni dura \ Po: ordina a li servi di spugghialla e di falla curcari. — * Ah!' dici lu gaddu comu si iju a *ggiuccari, cci haji 'ntisu lu me piaciri a vìdiri a sta donna prisuntusa, ca appi chiddu chi si miritava! » Lu 'nnumàni lu burgisi turno all'antu.— ** E lu voi di ajeri è ancora malatu ? , dici a lu garzuni. — " Noisi- gnura ! Havi cu lu scuru ca è 'n pedi ed è bonu 'y. — ^ 'Mpajàtilu! „ E lu 'mpajaru. A ura di culazioni aggirò a la casa. Passa e passa arreri lu Maistrn. Vidennu a sta donna curcata:— * E eh' aviti cu ssi vozza 'nta la facci? * ». Lu burgisi: — • Nenti, Maistru; prima d'arrispunniri idda, arrispunnu io. Assira li gaddini, accussì e accussi; (e cci cuntò tutta la storia). Putia essiri 'mai ca io cci dicia lu sigretu di la grazia chi Vui m'avìavu accurdatu ? E pi chissu cci li detti boni. „ — ** Ora beni, comu iju iju: sti cosi nun su' giusti, e nun s'hannu a vìdiri cchiù. Vuàtri siti ma- ritu e mugghieri, e v* aviti a vuliri bèniri. Io cuncedu punì a vui — dici a la mugghieri — la grazia di capìri la lingua di Tarmali, e la grazia di Tarma. Ma awir- titi di fari beni, pirchì zoccu facemu nni truvamu. „ Accussi fìciru: e d'allura 'n poi si vòsiru cchiù beni ^ U marito perdette la pazienza e diede in escandescenze. * La lasciò piena di lividure. ^ É già sano e in piedi fin da quando era ancora buio. * Oh che avete con quei bernoccoli foozzaj nel viso ? LU NAISTRU 2 LU BURGISI 201 di prima, e campani filici e cuntenti, e quamiu mòr- siru si nni jeru 'n paraddisu , cà avianu la grazia di l'arma. Ficarazzi '. VARIANTI RISCONTRI. La chiusura è poco conseguente a tutto quel che precede. Più logica è una verisione meno completa, dalla (juale risulta che la domia, poco fedele, veniva rivelata per tale al marito dal gallo ; onde il marito la picchiò di santa ragione. Cosi la facoltà di capire il linguaj^o degli animali non era oziosa nel contadino, né egli se ne serviva a ratpou di curioutà. Importante è la variante che segue al n. XLIX. Cfr. con £é he^ie co7t»igliano , leggenda abnisese del Db Nino, Sacre Leggende, p, 51 ' Raccontata da Giuseppa Furia. L'armali chi parraau. 'Na vota s'arrìecunta ca unu di Palennu acchianò Muntipiddirinu '. Saprà MuntipiddirinUj a tempi, cc'i ranu l'armali. Arrivannu nna lìi prirau riraitu *, s' a raccumannò a iddu pi prigari a Santa Rusulia ca l'i vissi scaiisatu di tatti pìrìculì. Arriva nna lu secann rimitu, e cci dici: — " Ora io vurri'a aviri la grazia sentiri parrarì a l' armali „. Risposta di la rimitu : - ' Camina cu fidi, ca Ddiu latta ti cuncedi ,, Arriva ni lu terza rimitu, si cci raccumannò mmìremma: — ' vurria concessa la grazia di putiri sentiri parrari l'a mali. , — " Ddiu ti lu cancedì; ma si tu parri, mori ' Junci a la grutta dì Santa Rusulia , cci apprisen lu viaria a la Santuzza *, e poi si nn' aggira !n Pi lermu. A lu passaggiu saluta li rimiti; torna a la cas ' Moatepellcgrino, l'anticA Ercta, alto monte a settentrìone dì F lermo, sul quale è il santuarìo di S. Rosalia, patrona della cittì. * Sulle aoaie del Muatepellegrino «l'ano uà tempo, a varie diatan: tre te&W limoainanti, conauntjmeute detti rimiti. Le loro. cose, coi dicoosi tuttavia, sono ancbe oggi delle fermate per cbi sale monte. ■ Dio te lo concederà (di intendere il linguaggio degli animai. ma se tu lo rivelerai, morrai. ' Coloro elle fauno il pallegrinaggio a S. Rosalia salendo sul Me tepellegrino , al giungere alla grotta , ctie vuoisi stata abitata da 'Santa, e nella quale venne poi edificato l'attuale tempio, oQh>DO i nanzl l'altare a lei consacrato il viaggio. :^> l'armali chi PARRASn 203 A la casa st'omu avia tutti sorti d' armali: cavaddi, pecuri, voi, gaddini. Gorau metti pedi a la casa, guarda d'una iiriestra ehi spuntava unii'eranu tutti si'armali. S'avia arricòlu altura aliura di lavurari un voi ', e sta voi 'un vulia maneiari. 'Na jiraenta chi ce' era vicina cci dumannò; — " Chi hai ca 'un mmci ? , Rìspunni lu voi; — " Sugiiu stancu, ca m' hannu fattu travagghiari assai ,. — " 'Nca sai eh' ha' a fari ? cci dici la jimenta: du- mani, quannu ti portanu lu maneiari, tu lassi lu man- eiari, e li jecchì 'n terra fincènnuti malatu ,. Fineru dì parrari, e lu patruni, ea avìa 'ntisu tuttu, si nn' ac- ehiana susu. Lu 'nnumanì, lu giuvini * cci porta lu maneiari a lu voi, ma lu voi 'un vosi maneiari e si jiccò 'n terra. Lu giuvini va nni lu patruni e cci dici: — " Lu voi 'un voli maneiari,. — * 'Un fanenli; 'mpaja la jimenta! , cci dici lu patruni. Pi^hiò lu giuvini e 'rapajò la jimenta. La sira, quannu s'arricugghiu la jimenta, pinseri nun appi lu patruni di scinniri jusu a sentiri chi diceva *. La jimenta, corau s'arrieujjghiu, dissi a lu voi: — ' Sai eh' ha dittu 'n campagna lu patruni ? ca si damani ag- ghiorni malatu, ti fa scannari ,. Lu patruni a sentiri aecussì si jnìsi a spìsciunari di ridiri *. La patruna era nna lu scaccheri di la scala ', e comu senti sta gran risata ■ Era da poco rientrato nella stalla, dopo d'aver arato, un bue. ■ Giuvini, qui é l'uomo addetto alla cura degli animali. - ' Li sii-a, la sera quando rientrò (nella stalla) la giumenta, il pa- drone non ebbi (alti») pensiero (se non quello) di scendere abbaco a sentila che (cosa essa) dicesse. ' Pi-ese a scompisciarsi dalle risa. ' La padrona si trovava sul pianerottolo della scala. 204 FIABE E LEGGENDE di SO maritu, vosi sapiri pirchì ridia. So maritu, a sta dumanna, si misi a ridiri di cchiìi; e comu idda s'osti- nava a vuliri sapiri pircliì ridia , iddu cchiù di cchiù ridia, ca 'un si putia tèniri.— * Sì, pi mia ridi ! „— ** No, ca 'un ridu pi tia. ,— " Sì, ea pi mia ridi ! „ — " No, ca 'un ridu pi tia. ,— * 'Unca s*è chissu, pirchì 'un mi lu vd' diri pirchì ridi ? , Strittu e malu paratu, lu maritu si lassò diri:—* 'Unca si tu lu vó' sapiri, chiamami pri- ma lu cunfissuri, pirchì dicènnuti lu pirchì, io moni ,. Idda , la mugghirazza \ pi la curiusitati, pigghia e cci manna a chiama lu cunfissuri, tanta era cicata di vu- liri sapiri pirchì * ridia so maritu. 'Nta stu midesimu tempu, iddu siddiatu di st'ostinazioni di so mugghieri, scìnni pi nèsciri fora. A lu scìnniri, scinni cu iddu lu cani. 'Nta stu 'stanti lu gaddu pigghia la gaddina \ Lu cani a vìdiri sta cosa cci dici a lu gaddu:—" E comu ti spèroia di pigghiari a la gaddina ' mentri ca jeru a chiamari a lu cunfissuri pi lu patruni , ca havi a mò- riri ? » Risposta di lu gaddu a lu cani:-—* Lu patruni soffri sti cosi di la mugghieri, e mori pi idda; no io, ca lassù a una e pigghiu a 'n'àutra. Lu patruni nn' havi una e nun la sapi duminari: io nn' haju tanti e li dumi- niu a tutti * „. Lu patruni a sentiri stu discursu, chiama lu giuvini 1 Essa, la cattivaccìa della moglie. * Pigghia^ qui vale morUa. * E come hai cuore (ti spèrcia) di montare (pigghiari) la gallina ? * Signiilca: U padrone è uno sciocco, che non ha Tabilità di tenere a dovere una moglie; io, che ne ho quante ne voglio, ho pm*e la forza di dominarle. l'arh&u chi farranu 206 e ed ordina di fari vèniri la varveri. Junei lu cuafis- surì: — " Cu' cc'è malatu ? , — ' Nuddo, patri mio; me mu^hieri è foddig. Veni lu varveti; cci dici lu pa- truni: — " Sagnatimì a me mij^ghierì , ca sta niscenDU foddi ' ,.— " Ah! ca 'un vogghiu essiri sagnata! , dici idda. — " Si, Bagnatila di tutti li vini, ca sta niscenuu foddi ,. 'Un cci fu putcnza di vuliri essiri tuccata: — ' Nenti ! 'un vo^hiu essirì sagnata ! , — ' Sanatila di tutti li vini I , E cci fìi un custrastu ca durò un'ura. Quannu la mugghieri vitti ca so marita dicia da veni, si zittio; e di tannu 'n poi lu lassò stari cuetu: e nun vosi sapirì cchiìi l'affari soi. Bagkeria '■. VARIANTI E RISCONTRI. Vedi U n. XLVni. I Solonate mia moglie, che sta uscendo matta.— K noti l'uso aid- liaoo di.&r eseguire il «alasm ai barbieri; e la pratica di tur cavar sangue senza miaura a i^ aia o sia creduto pazzo. Del saogoe cbe vien giù dalle narìd si suol dire: Ltasàiilu nìteiri: à xanja foddi. Vedi Medicina tra' miei Usi o Coslumi, t. m. * Raccontata da Angela Paleo. 206 L. Lu tistamentu di lu Signuri. Si raccunta ca quannu Gesù Gristu avia a lassari stu munnu, era cunfasu pinsannu a cu' avia a lassari tuttu chiddu chi ce' è supra la terra. Pensa, pensa; ** A cui lu lassù ?... Si lu lassù a li galantomini, li nobbili comu arrestanu ? E si lu lassù a li nobbili, li galantomini comu fannu?... E li viddani?... e li mastri?... „ 'Nsumma 'un sapeva comu fari. 'Nta stu mentri vennu e vennu li nob- bili: — * Signuri, ora ca vi nn'aviti a jiri di stu munnu, pirchì 'un lassati a nui tutti cosi ? „ Pigghia lu Signuri, e cci li spartiu a iddi. Li parrini appurannu ca lu Signuri si nn'avia a jiri, curreru puru iddi: — * Signuri, nenti nni lassati a nui ora ca vi nni jiti ? „ — ** Troppu tardu vinistivu , cci arrispusi lu Signuri , pirchì già li spartivi a li nobbili. » — * Oh ! diavulu ! „ si vutàru li parrini. — ** Dunca a vuàtri vi lassù lu diavulu , , cci dissi lu Signuri. Vennu e vennu li monaci : — * Si- gnuri, nenti nni lassati ora ca vi nni jiti ? „ — " Nenti, pirchì già li spartivi a li nobbili „. — * Oh ! diavulu ! „ dissiru li monaci. — ** E lu diaviflu si lu pigghiaru li parrini „, — ** Pacenza ! „ dicinu li monaci. — ** E a vuàtri vi lassù la pacenza „, dici Gesù Gristu. A li mastri cci iju a 1' aricchia ca lu Signuri si nn' avia a jiri; e subbitu curreru : — " Signuri, a nuàtri chi nni lassati ? „ — " Troppu tardu : pirchì già spartivi tutti cosi a li nobbili ,. — " Oh ! diavulu ! , dicinu li ma- LU TISTAHENTS DI LU SISNURI 207 stri. — " Si lu pigghiara li parrini! „. — ' Pacenza! , — ' Si la pigghiara li monaci ,. — " Chi 'mbrogghia ! , si vòtanu li mastri. — " E a vuàtri vi lassù la 'mbrog- ghia ,. Vennu li riddani, mischini, tutti affannateddi e affritti : — " Signuri , vi nn' aviti a jìri , e nenti nni lassati ? Sparlìtinni la terra ,. — " Troppu tardu, pir- chì già la spartivi a li nobbili ,. — " Oh diavulu ! , — " Si lu pigghiara li parrini ,. — " Pacenza ! , — ' Sì la p^^hiara li monaci ,. — " Chi 'mbrogghia ! , — " Si la pigghiara li mastri ! , — " Facemu la vuluntà di Dio 1 , — ' E a vuàtri vi lassù la vuluntà di Diu ,. E pi chistu è ca a stu munnu li nobbili cumannanu, li pirrini sunnu ajutati di lu diavulu, li monaci hannu la pacenza, li mastri fannu 'mbrogghi e li viddani hannu a fari lu setti a forza e bannu a fari la vuluntà di Ddiu. Palermo *. VARIANTI E RISGONTRL Come si vede è una spiritosa novellina contM le varie elassi della società de' piccoli comuni, tra le quali solo i vilKci soii condannati a lavorare per foi'za e rassegnarsi. Una variante dì Gessopalena è in Fmahore, _Nop^ popò- Tari abruzzesi, seconda serie.'n. XXIII, nell'^^cAivw deUe tra- dizioni pop., V. V. 83: il deatino degli uomini. < Fu raccontato da uno di S. Michele Delta provinda di Catania a un palermitano, dalla cui bocca l'ho raccolto. 208 ./ LI. Sant'Antrla. Cc'erunu du' fratùri ^ chi caminavunu cu *i 'nnu- mali e si 'mmuscavunu 'u pani * pi li muntagni. SU dui fratùri avevunu 'na surella jintra, chi la vardavunu comu Tom. Gomu firriavunu chisti lu munnu, scippa- vunu 'na spica ccà, 'na spica ddà, e sti spichi si ridu- ceni unu magghiolu (sic) '; stu magghiolu dapò' lu si- minaru e ficiru 'n' aria di frumentu; ddoppu lu tumani a siminari, e ficiru 'na bella timogna *. Ora cc'era Sant' Antria , chi era cu V Apostuli e lu Maistru, eh' andavunu caminannu. Si vota un fratu di sti du* fratùri, e cci dici a Sant' Antria: — * Sant' Antria, vuliti sapiri quaPè la me timogna? È chista; e l'haju fattu accussì: 'na spica cugghivi di ccà, e 'na spica cug- ghivi di ddà. Li siminai e fici lu frumentu, lu tornu a siminari, e fici sta bella timogna. » — * Va beni „, cci dissi Sant' Antria, e cci detti focu a la timogna, si cci jittòi iddu di 'mmezzu e si fici un munzeddu di cìn- « Fratùri e frati, s. m. pi., fratelli; il àng. fìratu e frati, fratello. * S& guadagnavano il pane. * Scippaounu, spiccavano (raccoglievano) una spiga (di frumento) di qua, una spiga di là, e queste spighe si ridussero in un mazzo. Si noti che magghiolu vale propriamente: sermento spiccato dalla vite, per piantarsi ; o nodo di ramo d* albero. Nei caso nostro noa avrebbe nessun significato ae non gli si desse questo di mazzo, ma-- fdpolo ecc. * Timogna, massa dei covoni di spighe, bica. sant'antri*, 209 niri. Seàvutiu la cìnniri e trovunu 'na beila puma \ ca pi lu tantu aduri chi facia, faeia pacclari '. Di sti dui fratùri, unu era bunieu ', e unu era ma- l^u. Lu malignu si la vulia manciari sta puma; lu bu- nieu cci dissi—" No, cci la purtamu à soru „. Gei pur- taru sta puma à soru, e 'a soru 'a misi 'nt' 'a càscia. Quannu japria chista donna sta càscia, lu tantu ciàuru chi facia, cci tumava !u cori *. Un jornu di li jorna "*, s' ha mauciatu chista puma sta donna. Come s' ha maaciatu sta puma, d mumentu ha nisciutu gravita. Un jornu s' arritìraru li fratùri e vìtturu chista soru gravita. Lu malignu cci vulia tag- ghiari la coddu à tunna *. Rispunni l'àutru; — ' L àssila parturìri, e ddoppu nni fai chiddu chi nn' 'òi 'I didda ', (picclù idda era sincera, chista donna, e lu malignu la purtava 'nta chistu 'ggettu) •. Un gomu si vinni a ridducirì Tura chi vinni a par- turìri, e sta donna liei un beddu figghiu màsculu. Stu fig^hiolu criscia un jornu pi ddu' *, picchi era Sant'An- < Puma, della parlata, b. f., mela. 11 dialetto comune ba pumu, frutto. • Pacclari, [iiipaziire, andar inatto, ' Bun^ctl, add., buono. ' Si sentiva conlortare. ' Un giorno fra gli altri. • Le volea tagliare lì per lì il collo del tutto, ' Lassila, lasciala partorire ^ma) , e poi (krai qoel ohe vorrà (li lei fdi, vuoi; -i, di; didda, ella, lei). • Ed il tristo {del ditello) la portava a quest' oggetto (a questo punto). • E questo bambino cresceva un- giorno per due. G. PiTBfe. — Fiabe e Leggend», 14 X. *f 210 FIABE E LEGGENDE tria, e strallucia 'nta 'a facci. Si ricugghieru li fratùri, e unu di diddi la vuleva 'mmazzari. Rispunni lu. bunìcu e dici:—* No, nu rammazzari; lassarcillu 'ddivari lu fig- ghiolu; quann' èsti 'ranni, e tu fa' chi buò' ^ „. Lu picciriddu si fici 'ranni, e mmiscòi cu stu ziu lu malignu:— * Vegnu cu vui, ziu. „— " No, non cci vèniri, bastardu; si tu veni cu mia, ti 'mmazzu „, So frati, lu bunìcu, cci dissi: — ** Làssilu vinìri „. Lu picciriddu cci andau dappessu ; si mintiu avanzi cavaddu. A certu puntu, ddà cc'era 'na cani e sta cani (parrannu cu pir- dunu) fici *. Lu niputi cci dissi: — " Ziu, mi biscìcu lu mussu unni sta cani ' „; picchi lu figghiolu, cu tuttu chi era picciddu *, era santu e sapia li mali trattamenti chi lu ziu cci facia a so matri. Rispunniu iddu, lu ziu: — * Astetta *, figghiu di b...., chi ti 'mmazzu ! „ Rispusi Tàutru ziu bonur— * Làssilu. stari pi sta vota ! „ Caminaru 'n àutru morsu di strata, e cci scontra genti chi purtavunu un mortu supra ddu' morsa di ligna. Rispimni lu niputi: — * Ziu, chi mi bi pòrtinu a bui d'ac- cussì!... • „. Cci dissi lu ziu:—* Eh figghiu di b....! ora ^ Lassaccillu , lasciaglielo allevare il bambino ; quando è (sarà) grande, e tu fai quel che vuoi (farai quel che vorrai). * Ddà Qc'era *na cani, là c'era una cagna e questa cagna (con buon lispetto parlando) scaricò il ventre (fici), " Zio, forbitevi (mi biscìcu) il muso dove questa cagna (ha scari- cato il ventre). * Picciddu per picciriddu, Piccolino, fenciullo. > Astetta per aspetta, è in molte parlate siciliane, s^ialmente del gruppo agrigentino e del ragusano. Vedi a jp. 110-111 del presente volarne. * Camminarono (fecero) un altro pezzo (morsu) di sti'ada, e capita sant'antrìa 211 ti 'mmazzu!... ,. Si vota l'àutru ziu: — " E bonu! non vidi chi mmuffunia ! ' Làssilu stari... ,. A 'n'àutra parli 'ncuntròi 'n àutru mortu, e jèrinu aggenti boni, picchi lo purtavinu a sonu di banna (picchi sempri cci sunu li puvireddi e lì ricciii) '. Non cci dissi nentì a so ziu. Rispunni lo ziu:—" Eh fìgghiu di b....! ora non mi dici Denti chi portinu 'nu cavaleri a sonu di banna ! Non mi lu dici: chi vi putissiru purtari accussi a vui!... ,. E sicutaru a caminari. 'Rrivaru a un paisi, a Missina, e ce' era 'nu Re cb' aveva una %ghia malata; e nissnnu cci putevinu 'ccat- tari * la malatia eh' idda avia. Si vota lu Re: — ' Cu' fa stari bona a me figghia^ o si la pigghia pi mc^ghì, o pura cci dugnu zò chi buò' ,. Chistu figghìolu, sintennu sta cosa, si vutòi cu so ziu: — " Ora cci vaju io „, cci dissi Rispunni so ziu: — ' Sì, ora tu cci vói pi falla stari bona!... ,. 'Nchianò cu tuttu ca li surdati 'un lu vule- vinu fari 'nchianari; e comu vitti la fìgghia di lu Re, sub- bitu la fici stari bona. Gei dumannòi lu Re: — ' Chi vfli? , — ' Nenti : un palu e 'nna pala „ (lu palu pi scavari, e la pala pì livari la munnizza) *. Si pigghia lu fig^hiolu sti cosi , e si nni va unni so ìoeo gente che portava un morto sopra due pezzi di legno. Risponde (dice) il nipote : Zio, cbe porUno voi fiO coù! (che poMiate morir voi, ed esacr portato voi a questo modo I). > E via (£ bonu!) non vedi cbe (il ragazzo) scherza \ * Accenna all' accompagnamento llinebre delle persone agiate o non povere, e nota la ditferenzB di trattamento aooha dopo la morte. ' 'Ccattari, indovinare. • Il palo per iacavare (la terra), e la pala per levare la immon- dezza (la terra). 212 FIABE E LEGGENDE ziu, e cci dici: — ** Ziu, io la fici stari bona a la figghia di lu Re; e io non vosi nenti pi cumpensu; mi fici dar! sulu stu pala e sta pala „. Lu ziu cci fici vuci, cà non vulia chisti cosi; vulia *u dinaru. Rispunni Tàutru ziu, lu bunìcu: — " Non vidi chi manca pi *gnurantitati !... „ *. Si pigghiaru li cavarcaturi e parteru. Arrivaru a ddu postu chi purtavunu a chiddu mortu a sonu di banna. Gei dissi lu niputi a lu ziu: — ** Ziu, vuliti vidiri a chiddu chi purtavimu a sonu di banna? , E lu fici tràsiri a lu 'nfernu pi vidiri lu cavaleri mortu, ca li diavuli si lu 'mmuttavunu * a lu 'nfernu. Cci stèsi un minutu, e cci parsi sett*anni. — * Figghiu, jamuninni, cà havi sett'anni chi semu ccà jintra. „ — * No, ziu: nui ancora avemu a *rrivari a lu 'nfernu „. Nisceru. Si misiru a caminari, e 'rrivaru a lu postu chi vìt- tunu a lu mortu supra ddu' morsa di Ugna; e cci dissi: — ** Ziu, vuliti vidiri a chiddu chi purtavunu supra li ddu' morsa di Ugna ? „ E cci lu fici avvidiri. Si japriu lu tir- renu , e traseru 'n paradisu. E stèsinu sett' anni ddà jintra. Lu niputi cci dissi: — " Ziu, jamuninni, cà havi sett'anni ca semu ccà jintra. „ Lu ziu r ispusi: — * Comu ! s'ancora avemu a 'rrivari ! E si misiru a caminari, Arrivaru a lu postu chi s' allurdava la cani '. Si vota hi niputi, e cci desi 'u palu e 'a pala ò ziu; e cci dissi: — • Ziu, scavati ccà, carricati U dinari, e fabbricati un fìumucu, e cci aviti a dari a tutti U passaggeri francu 'u rigettu ^ non. cci dati cchiù mmattana a me matri, cà 1 * GnuranHtaH^ ignoranza. * Se lo spingevano innanzi. * Giunsero al posto nel quale s'era sporcata la cagna. * Riffettu per ricettu^ risettu^ ricetto. sant'antrìa S13 èstl 'nnuccenti '. La puma chi purtastiyu, me matrì si l'ha manciatti, e nìsciu gravita di mia: io sugna San- t'Antri'a. Io mi nni 'nchianu 'n celu ; sì bisogna aviti, mi chiamati ,. £ spiriu. Lu zia scavòi, e truvòi li gran dinari; carrìcòi lì muli di ddi dinari, e poi fabbricòi 'a fànnucu. Ognuna chi passava, s'allacava, senza pagEiri dinari. Un jornu s'accoi^i lu fannacaru ca cc'era unu morta, ca l'avia 'ramazzata 'n àutra chi si 'lineava ddà '. Veni la Pulizia, e ha 'ttaccatu lu fannacaru, dicennu chi l'avia 'mmazzatu iddu. Si fìcì la causa, fu cunnan- nata 'n morti. Dici lu fiinnacaru : — ■ Me niputi Sant'An- tria mi dissi ca si bisognu avia m' 'a chiamava. Ora lu chiama „, e lu chiaraòi. Ha calata Sant' Antri'a. Già lu purtavuna a fucilari, e di lantanu Sant'Antria cci facia mi tìnnavunu *: — " Ferma, fenna! , Coma janciu ddà fici nèsciri lu morta e cci dissi: — " Morta, rivisci e dici cu' fu chi ti 'mmazzòi ,, Lu morta parròi, e dissi cu' fu e ea' non fu, e 'ccussì lu ziu fa Ubbiratu. La som si la partara li fratùri. Iddu arristau filici e cuntenti, E nui ristamu ccà senza nenti. S. Lucia di Mela ^ ' Non date più briga a (non tribolate più) mia. madre, perchè ì innocente. * Un giorno s' accorge il (ondacaio (cioè lo ^o di S. Andrea,) che (dentro il fondaco) e' era un morto , stato ucdso da un altro cbe ii allogava {avea alloggio) là. > Facea loro (segno) che fermassei'O. < Raccontata da Maria Scoglie. 214 FIABE E LEGGENDE VARIANTI E RISCONTRI. Cfr. KoHLER, Storia di tm sanfuomo bruciato e rigenerato^ néìV Archivio delle tradizioni pop. , v. II, pp. 117-120. Una versione abruzzese di Gessopalena è nello stesso Archivio, p^ 270: Le stòrije de Sanl^Anduone, del Finàmore ; un'altra egual- mente abruzzese nelle Leggende sacre del De Nino, p. 65: SanV Andrea rinasce. L'interrogatorio del morto ò anche nelle varie versioni della Leggenda di S, Antonio da me messe insieme nell' Architno deUe tradizioni pop., v. VI; Pai. 1887. La Signuri di Luca. ' Si cunta e si riccunta ca 'na vota ce' eranu 'nt' 6n paisi li 'sarcìzii ' : e ce'era un Patri • di lu Cumtnentu di la Sìgnuri dì Luca ehi pridicava ; e 'nta lu pridicari dicia: " Lu S^nuri cumpensa centu pir unu a cu' duna un dinaru ,. 'Nta la chiesa ce' eranu un maritu e 'na mi^ghierì; e slntevaau sta predica, Tumannu a la casa, si cunsup- taru 'nta d'iddi: — " CU cc'è me^hiu nigoziu di chistu ? ca Ddiu cumpensa centu pir unu a cu' duna un dinaru. Sapiti chi vi dicu , maritu mio ? Vinnerau tutti cosi e li damu pi limosina ,. Eccu ca euminciaru a vìnniri tutta chiddu ch'avianu; quannu chisti dui 'un àppiru cchiù chi vìnniri né chi manciari, jeru nni lu Patri Pridicaturi;: — " Ora va, Patri, nui vinnemu tutti cosi, e li dèttimu pri limosina; cu' nn'havi a panari ora ? „ Rispunni lu Patri Pridicaturi; — " Lu Signuri v'havi a pagari. , — " E unni avemu a jiri pi fàrinni pagar! di lu Signuri ? , — " Jiti a lu Gummentu di Luca, trasiti 'nt'à chiesa, e viditi ca sutta Tartari cc'è un bellu Grucifissu, Parràticci, e coi dicìti ca vuiiti essiri pagati ,. ' Luca per Lacca. È oslebre nella traditone BpecàalmeiHe di Pa- lermo il Cruciftsstt di Lucca; e nella nostra legenda non si parla se non di un Crociflaso. * Una volta in un paese si tenevano gli esercizi spirituali. » Vn patri, un sacerdote, e un frate. 216 FIABE E LEGGENDE S*hannu partutu tuttidui, maritu e mugghieri. A lu primu paiseddu chi 'ncuntraru avianu pitittu e 'un a- vianu chi manciari. Genera 'na taverna, e cci dissiru a lu patruni: — " Nni vuliti dari a manciari, ca nuàtri sta- mu jennu nna lu Signuri di Luca pi fàrinni pagari ? Comu tumamu, pagamu a vui „. Rispunni lutavirnaru: — " Nni lu Signuri stati jennu ?... E quannu è chissà, io vi dugnu a manciari, ma m' aviti a fari un piacili: jennu nni lu Signuri, cci aviti a diri ò Signuri : ca io haju un locu granni cu vigni; a prima, Pavia a chianu scuvertu e mi faceva racina assai; ora cci liei lu muru, racina 'un ni fa cchiù. Pirchì è sta cosa? „ Cci detti a manciari; si licinziaru e si nni jeru. Camjna, camina,arrivaru a 'n àutru paiseddu,e 'ncun- traru a *na fimmina; d'un paisi a 'n àutru avianu ad- diggirutu, e avianu pitittu, e cci dumannaru: — ** Cura- mari, cc'è nuddu chi nni duna a manciari V eà stamu jennu a lu Gummentu di Luca, pi fàrinni pagari di lu Signuri; cà a la passata poi pagamu „. Sta donna era cattiva: e avia dui figghi fimmini granni, atti a mari- tàrisi; dici: — " A manciari vi dugnu, io; ma vuàtri m'a- viti a fari un fauri: cci aviti a diri a lu Signuri ca prima ca io 'un cci avia pututu fari la rubbicedda a li me' figghi, li matrimonii cci vinianu; ora ca cu la grazia di Ddiu la rubbicedda cci la fici, matrimonii 'un cci nni vennu cchiù. Pirchì è sta cosa ? „ Ha pigghiatu menzu vastidduni, cci lu duna, e iddi si nni vannu mancian- nusillu strata strata. Gamina, camina, arrivanu a lu Cummentu di Luca. Traseru 'ntr'à chiesa, e jeru a'durari a lu Signuri. 'Nta* LU SIGNUBl DI LOCA 217 menti niscevanu li missi e cc'eranu genti, iddi 'un di- cevanu nenti : prigavanu a lu Signuri cu la 'ntinzioni; quannu sunau menzijornu e frneru li missi, iddi 'un si muvevanu di la chiesa. Lu sagristanu avia a chiùjirì; dici: — ' Fratu2ZÌ mei, quannu vi nni jiti, cà he chiùjiri la chiesa?, — " Nui nni nni jamu?... comu nni nni jamu, ca lu Signuri nn'havi a pagari ? ' Quantu prima nni paga, nni nni jamu „; e nun cci fu putenza Ca vòsiru nèsciri. Bisugnau lu sagristanu jiri nna lu Priuri , e cci dissi: — • Patri Priuri, com'hé fari ca cci su' dui ca 'un vonnu nèsciri di la chiesa, ca vonn' essiri pagati di lu Signuri ?„ Rispunniu lu Priuri:—* Chiuj la chiesa e lassali stari „. Nni la porta di la chiesa cc'era la gradella; lu sagri- stanu chiuj e si metti a taliari di la gradella di la porta; e vidi ca iddi s'addinòcchianu dapanti lu Signuri, e cci dicinu: — ' Signuri, nuàlri nni vinnemu tulli cosi, e li dèttimu a li puvireddi, e 'un avemu cchiù comu fari. Pagàlinni, Signuri ! pagàlinni, Signuri ! , Quannu lu Si- gnuri si cumpiaciu, si leva 'na sànnula di pelrì priziusi ch'avia a li pedi, e cci la jetta. Nun canuscennu lu va- luti di sta sànnula, sèculanu: — ' Signuri, e chisla sula nni jittati? E comu avemu a fari?... Cumpiacitivi ! , Lu Signuri si leva l'àutra sànnula e cci la jetta a iddi, dicennu: — * Vajitivinni, cà chisU su' cchiù assai di chiddi ca v'hé diri. , — " Jirinnìnni ?...Prima di jirinninni nn'a- vili a diri pirchi 'un cci facili fruttari cchiù li vigni a chidda chi nni detti a manciari. ,— " Gei ha' a diri, ri- spunni lu Signuri, ca prima muru 'un cci nn'era, e cu' ' Nui, nvi ce ne andiaiuo? Come possiamo noi andarcene se il ^nore d ha da pagare ? 218 FUBE E LEGGENDE passava e vidìa dda racina dicia: Sa loratn Ddiu ! s'ar- rifriscava la vucca,e arrifriscava punì airarmi di lu pria- toriu, e io cci lu cumpìnsava cu dàricci cchiù assai di chiddu chi li genti si cugghièvanu. Ora ca cc*è lu munì, racina 'un ni ponnu oògghiri cchiù] e a mia nun mi lodanu, e io 'un cci fazzu aviri cchiù racina, „ Si vò- tanu maritu e mugghieri: — " Ora un'aviti a diri: Pirchì a li figghi di dda povira cattiva 'un cci veni cchiù un ■ matrimoniu , quannucchì prima, ca robba 'un n' ave- vanu, li matrimonii unu cci java e 'n àutru cci vinia ? „ — " Gei ha' a diri ch'aspittassiru chi cadi lu canali, cà lu canali 'un ha cadutu „. Lu fratellu eh* era misu darreri la porta chi taliava di la gradetta curriu pi nn' 'u Priuri; did : — ** Patri Priuri, li sànnuli cci detti lu Signuri ». Dici lu Priuri: — " Chiamali, chiamali, falli tràsiri „. Lu sagristànu li fici tràsiri, e lu Priuri cci dumannau: — * Pirchì vinì- stivu ccà a dumannari li dinari a lu Grucifìssu ? „ — ** Pirchì un riligiusu di stu cummentu vinni a pridicari a lu nostru paisi: Centu pir unti a cu^ duna un dinaru. Nuàtri cu tuttu amuri nn' avemu vinnutu tutti cosi e r avemu datu pri limosina „. — " 'Nca aspittati „. Lu Priuri va a pigghia un saccu di munita d' oru , e cci ha dittu : — * Vi bastanu chisti, e nni dati li sànnuli ? , — * Nni bàstanu „. Gei hannu lassatu li sànnuli e si hannu pigghiatu lu sacchiteddu , manciaru e si licin- ziaru; e lu Priuri cci ha dittu : — * Dia vi binidiea I . Faciti 'na santa vita ! ,» Passannu dunni la cattiva, cci dissinu: — *" Quant' è : .■*■ LU SiaHURI DI LUCA S19 lu menzu vastidduni? eh nui vi la vulemu pagari ,.— " E lu Sigauri vi pagau ? , — " Nni pagau ,, — " E cci lu dicìstivu zoccu vi dissi io? ,~" Gei lu dissimu ,.— ' E chi vi dissi ? „ — ' Nni dissi: aspittati chi cadi lu ca- nali, cà lu canali 'un ha cadutu ,. Gei vulevanu pagari lu vastidduni , e idda nun lu vosi pagato ; ma iddi, puntiggiusi, hannu pi^hiatu 'na munitola, e cci l'iiaiinu Passannu di la taverna, lu stissu discursu:— "Quant'è lu manciari chi nni dàsttvu ? „ — "E la Signuri vi pa- gau ? „ — " Nni pagau ,. "E cci spijàstivu di mia? , — " Cci spijama ,. — "E chi vi dissi ? ,— * Nni dissi: ca prima la vigna era a chianu scuvertu... , e cci cun- taru la cosa, ftcunchiujeru cu diri: — " Stirrabbatì lu munì, cà la vigna vi frutta arreri ,. — " Vajitivinni, e arraccumannàtimi 6 Signuri , cà nun vogghiu essirì pagatu ,. Maritu e magghieri hannu pigghiatu 'na mu- nitola, cci l'hannu datu, e si nn' hannu jutu. Arrivati ó so paisi, àutru pinseri 'un àppiru: jiri a truvari lu Patri Pridicaturi , e cci dissinu : — " Nuàtri cci jamu nn' ò Signuri di Luca ,. — ' Veru ? E chi vi dissi ? , — " Ih ! 'anca nni detti li sànnuli , e lu Patri Primi n'nih caneiau c'unsacchiteddudimunitad'oru,. — " Vera ? Ebbìva ! Ora vuàtri aviti a fari sempri ca- rità, cà lu Signuri vi lu cumpensa ,. Jamu a lu tavimaru e la cattiva. Lu tavimaru sdirrubbau lu muru, e la vigna misi » fruttari 'n quantità. Nna lu paisi di la cattiva si sdir- rubbau un canali e ammazzau 'na fimmina, e lu ma- ritu poi si pigghiò a la prima figghia di la cattiva; e al- l'àutra si la pigghiò un parenti d' iddu. 220 FIABE E LEGGENDE Sti dui divoti ficiru 'na bona e santa vita dannu sem- pri a manciari a li puvireddi. Iddi arristaru filici e cuntenti, £ nUàtri eoa senza nenti. Bagheria ^. VARIANTI E RISCONTRI. Turi, dammi 'i dinari (Ragusa Inferiore). Una Domenica di Quài'esima un campagnuolo va a udire la predica in chiesa, ed il predicatore dice: * Fate la limosina al povero; dividete quel che avete, perchè quel che date vi verrà restituito quattro volte tanto „. Il campagnuolo vende tutto, e lo da ai poveri. Ai sei mesi, non vedendo comparire nessuno, vuole dal parroco i quattro tanti del dato. Il parroco lo fa 'partire per andare dal Papa, e gli dà una lettera di rac- comandazione per qualunque persona. Nel primo paese del viaggio è ospitato da un calzolaio, che lo prega di chiedere al Papa perchè non si presenti partito di nozze per qualcuna del^e sue tre fighe belle e con buon corredo. Nel secondo, un proprietario che Tospita vuol sapere perchè la sua vigna, un tempo mal custodita, non frutti più ora che è circondata da muri. Nel terzo , il priore d' un convento , ospite anche lui, manda a chiedere perchè i suoi frati, ogni giorno dopo il praìizo si tirino gli zoccoh Tun Taltro. A Roma il campagnuolo va .dal Vicario Generale , il quale per levarselo d' attorno lo manda a pregare un Crocifisso. La preghiera del campagnuolo è questa: '^ Atia Turi, dammi 'i dinari 6 huonu; si no, ti strupptu„. (A te [dico], Salvatore; dammi il denaro con le buone; se no, ti faccio del male). Il ^ Raccontata da Angela Puleo. LC SIONDRI DI LITCA 221 Crocifìsso gii getta una scarpa in diamanti e gli dice: ' Porta questa al P. Vicario , perchè egli ti ridia il tuo denaro ,. 11 sagrestano s'è accorto di tutto e ne (a parte al P. Vicario, il quale prende la scarpa preziosa e carica di monete d' oro e d'argento il campagnuolo. Questi si reca dal Papa e compie le tre commissioni. Risposte dei Papa : 1. 11 calzolaio mandi le figliuole alla messa del mezzogiorno , in modo che tutti i giovani le vedano. ^ 11 proprietario abbatta i muri , e lasci i porerì mangiare un po' d'uva. 3. 11 Priore rìbenedica il refet- torio, perchè sotto le tavole ci sono diavoli. Una variante delle province orientali della Sicilia è in Gon- ZENBACH, Sicil. Màrchen, n. 47: Von dem frommen Jùngling, der nack Rom ging, ove i tre dubbi sono affatto simili a quelli della vers. di R^usa. Nella variante di Fabbriche: R Diavolo fra i frali, n. XXIV delle mie Novelle toscane , le domande da fersiaii un animate, da una ragazza che parte, son queste: 1. Un locandiere: Dov' è la mia figliuola smarrita? — 2. Un barcaiuolo: ' Gh è tanti anni che son qui, e non posso risor- tire dalla barca,. — 3. Un signore; 'Nel mio giardino ci a- vevo una fontana che mesceva oro e argento; e ora non me lo mesce più ,. — i. I frati : * L' è tanti anni che siamo qui, , ma da 10 anni sempre si contende ,. E le risposte: ' 1, La figlia smarrita sei tu ,. — " 2. D primo che scende nella barca, la- scialo e scappa via ,. — "3. Nel buco della fontana e' è un biscio: bisogna ucciderlo ,. ~ 4. Tra' frati c'è il diavolo. Nella seconda metà de / sette frat^Ui paiummeUi , n. VII delle I%abe ahruzzesi del De Nino, sono dubbi diversL Le ri- eposte le dà il Sole invece che il Crocifisso o l'animale. Vedi Im pieciriddu dàiotu di Picarazzi, n. LUI dì questo Tohnne. 222 LUI. Lu picciriddu dlvotu. Ce' era 'na vota un marita e 'na mu^^hieri. Stu, ma- ritu e sta mugghierì 'un avianu manca di manciari e tiravanu avanti ca Ddia la sapi e Maria Santissima ^. 'Na jurnata sta paviredda nesci, e nesci gravita. Pas- sanna li novi misi , parturìsci e fa un bedda figghia màsculu« Chi cci avia a darì a sta picciriddu, ca avia lu pettu siccu ? * Nni parrà cu so marito, e stabiliscinu di livarisillu : " tantu pi tanta (dicinu) 'un avemu chi ed darì ,. Mettinu dintra 'na cascittina stu picciriddu cu la chiavuzza appizzata ' , e la jèccanu a mari A mail sta cascittina strapurtata di ccà, strapurtata di ddà, r abbistau un capitanu e' un bastimentu; fa catari 'na lancia cu li marinara, e la va a pigghia. Grapi, e trova stu picciriddu, beddu, beddu, di biddizzi rari. — ** Poviru picciriddu ! (dici) jittatu accussì a Ddiu e a la vintura! ^ Lu porta a lu so paisi, scinni e cci lu fa vìdiri a so mugghieri. Iddi, figghi nn' avianu dui; — ** E unu tri ! » dicinu; e lu cuminciaru a tèniri pi ii^hiu. * Vivac^^hiavano Dio sa coiufi, cioè miserabilmente. La firase: Ddiu lu sapi ecc. è tradisioaale e corro spicialmente in bocca a qualche povero limosinante, il quale grida cosi: Dioutelii, fjLcitiìnilla la carità, ca haju du" picciriddi dìjuni , ca Biiu lu sapi e Mira Santissimi, ! * Che latte poteva dare a questo bambino lei che area le mam- melle secche (senza una goccia di latte)?! ' Col chiavino attaccato (messo dentro la toppa). Ln PICCIRIDDU DIVOTU 223 Stu picciriddu criscia di jornu 'n jornu, e jucava e si divirtia cu li, so' fratuzzi (pirchi ìddu sapia ca chiddi cci vinìanu frati). Li picciriddi, si sapi, ora su' 'n paci, ora su' sciarriali. 'Na jurnata, mentri si custianavanu ' 'nta iddi, unu di li flgghi di lu capitana si lassò diri: — ' Iddu tu cu' si' a la me casa ? Sa' di cu' si' figghiu, e uni veni a 'ncueti ccà a nuàtri ?.., , Lu picciriddu 'un ni vosi cchiù , va nni so patri , e vosi cuntatu una di tutta. Comu 'ntisi ca iddu 'un cci vinta patri : — "E quann' è chissu (dici), io mi nni vogghiu jiri di sta casa „. — " No, %ghiu mio, chi dici ? , -" Nenti, nenti, 0 mi nni facili jiri, o mi nni vaju io ,. E 'un cci fu versu di trattinillu. 'Nca lu capitanu cci delti 'na bona sumaia di dinari, un bellu cavallu, e " lu Signuri l' accumpagna * ! ,. Parti senza manca sapiri unni java , e misi a fari lu gran caminu. Camina, camina, arriva 'ni' dn paisi e si ferma. Ddà, cu li dinari eh' avia, si misi a niguziari; e ii nigozii cci javanu 'n favuri , e si fici riccu. Ddoppu tempu iju e iju 'nta 'n àutru paisl. Si ferma , e fa 'n àutru nigoziu ; e li cosi cci javanu sempri 'n favori. Già avia crisciutu ed era un beddu gìuvini; dici : — * E di sti dinari chi nni fazzu? sugnu sulu.,.. „ Parti, e va pi li so' camini. Strata facennu trova 'na chiesa abbannunalizza, ca l'erva cci avia crisciutu àuta, tantu e lu pilrulizzu 'nnumiràbbuli *. Chiama genti , e pa- ' S queeiUonavano, ei'ano a contesa. ' (E Io congedò COI dirgli:) Il Signore t'accompagni! ' Cammin (kcendo, s'incontra in una chiesa abbandonala, attorno alla quale l'evbe eran craaciute alte così fé qui il novelliere faaa I ' • ■ t I % 224 FIABE E LEGGENDE gannii fici livari tutti ddi petri e tutta dd* erva. S' ac- catta un pezzu dì pani, un pezzu di ricotta, si fa dari un gottu d* acqua, e trasi *iita dda chiesa. Dici a li vi- cini : — " Io mi restu ccù dintra ; vuàtri chiujitinai di fora, e po' jittati la chiavi a mari, cà io nun nèsciu pi ora „; e spartiu tutti li so' ricchizzi 'nta iddi e *nta li poviri chi potti attruvari. Finiu ; trasiu ddà dintra , e nuddu pinsò cchiù a stu giuvini. Ddoppu tempu, ma assai, assai, li piscaturi'javanu vinnennu pisci ; un parrinu ddà vicinu dda chiesa si accattò un bellu pisci grossu e si lu misi a'nnittari \ Va pi tagghiàricci la panza, a lu pisci, e cci trova 'na ^ '. chiavi. — *" Oh! 'na chiavi !... Giista pari la chiavi di sta chiesa abbannunata: vògghiu vìdiri „. Va a la chiesa, 'nfila, e la porta di la chiesa si grapi. Trasi, e chi vidi? vidi ddu giuvini addinucchiatu davanti lu Cruciftssu ca lu prigava cu tuttu lu cori; e un pezzu di pani, di ricotta e un gottu d*acqua pusati a li pedi di l'artarL Lu parrinu stunò; 'ncugna adàciu adàciu, e manou appi curaggia di chiamari a stu santa divotu. Sabbila nni duna parti a lu vìspicu, e lu vìspicu fu prontu a jillu a vìdiri. 'Nta mentri 'na palumma trasi di fora , e si va a posa supra la spadda di lu giuvini. 'Na prucis- sioni di Cardinala si lu veni a pigghia, si lu metti 'nta lu menzu , e si lu porta a Roma , cà già iddu era lu * Papa; pirchì dda palumma era lu Spiritu Santu 'n pir- suna. Stu santu Papa fici subbitu un bannu: ca cu' aegno alzando la mano aperta per significare quanto era cresciuta alta sul terreno VerhaJ, e i sassi erano senza fine. ^ A ripulire delle lische. ! p4 ^ * J' à LU riCGlRIDDU DIVOTU "zSiit ■dvia piccali grossi e vulia jirisi a cunfìssari cu iddu, accurdava tri jorna di cunfissioni. A litania curreru li genti, pi jirisi a cunfìssari. 'Nta l'àutri cu' cci ìju? So patri e so matri , ca di lu rimorsu d' aviri jittatu lu figghiu a mari, 'un avianu avutvi cuetu mai. Si cunfls- saru, e ddoppu l'assuluzioni lu Papa si cci fìci accanù- sciri pi so %ghiu.E iddi, jittànnusi facci pri terra, 'un putìanu cchiìi d' addumannari grazia e pirdunu. £ iu figghìu li pirdunau; ma a li tri jorna lu Signori si la chiamau 'n paraddìsu. Fìcaraezi ^. VARIANTI E RISCONTRI Si rawìcini a Lu puvireddu di Polizzi- Generosa-, n. CXII deHe Fiabe siciliwe. dore un poverello si mette in ria per an- dare in paradiso ; all' LXXXVl de' SieU. Màrcken della Gon- ZENBACH : Von dem frommen Kinde; alla XXV delle mie No- velle toscane: Il dito che va a cercare il paradiso; al I. dei MSrchen und Sagen dello Schneller ; Ber Herrgott von Bdu- chlein. Del resto vedi Lu Signuri di Luca, n. Lll di questo volume. ■ lUccontata dal contadino Serafino Ogliastro, inteso Peppi IfASm, 0. PiTRÈ. — Fiabe e Leggende. #• • > r 1 226 LIV. Li dui Yurdunara. Una vota si raccunta, e lu beddu cuntu è chistiu Ce' eranu dui cumpari vurdunara, chi cu la rètiiu di li muli ^ jianu a carriari frummentu *ntra un pais vicinu. 'Na jurnata di Dumìnica eranu junti vicinu ^m chiesa, e unu di li dui dissi all' àutru : — * Guinpari iu mi vogghiu ììn a sentiri la missa. Gei vuliti vèniri vui ? A.ttaccati all'arvulu li vestii, ca nni jemu a sen- tiri la missa ». * — Lu cumpari scantànnusi ca coi ar- rubbavanu li muli carricati di frummentu, cci rìspusi ca nun si lini vulia sentiri, ma 'nveci si dicia lu rusariu, * e guardava li muli carricati. Gcussì ficiru : una si nni iju a la missa 'ntra dda chiesa 'n campagna, e Pàutru si dicia lu rusariu. Ddoppu stu fattu, 'na jumata cci scurau pri la via. * Era mezzanotti e si truvaru pri via vicinu lu 'nfernu* Vidianu 'na gran carcàra di focu , e tanti diavuli chi Tattizzavanu cuntinuamenti. f A sta vista si spavintàru e s'ammucciaru ^ntra la gran catasta di Ugna ammunziddati ddà vicinu. E chi ^ Rètina di muli^ redina di muli, salmeria. ' Legate le bestie (L muli) ali* albero , e ce ne andiamo a udir la messa. » Cd rispusi, gli rispose che non voleva udirne (messa) ; ma in- vece (di messa) avrebbe recitato il rosario. * Un giorno trovandosi essi in via si fece sera. U Din TUHDUNARA 217 vittinu ? Cu' pniija Ugna, cui stiddiava zucchi, aù por- tava ligna virdi e l'ammunziddava , cui purtava pag- ghia, cui purtava frasca, cui sarmenta, cui trava e ciar- vuni, cui ddisa; 'nsumma cc'era un vaja-vaja ea facia spaventu. ' Ddoppu un pezzu, s' arricugghiu lu capu dì tutti, e facia l'eppròsitì ' a chiddi chi travagghtavanu. Poi dissi : — " Ora si fa la smunta : vuàtri jìti 'ntra lu munnu a pi^hiari l'anni ddannati, e chiddi di lu munnu vennu a dari focu. Ma mali pri vuàtri sì dumani notti nun purtati armi ddannati! e guai a chìddi chi ora chiamu e nun ni portanu !.„ , S' assetta davanti la vucca di la carcàra, supra un zuccu dì cerza, a lu lustra; si metti 1' ucchialì e poi chiama: — ' Farfareddu! , — 'Chi cumanna? — " Porta lu libbra quanta chiamu ìi picciotti; ' è ara dì smun- tari a chisti, chi su' troppu stanchi dì dari focu, e pir- ciò r armuzzi di ddocu jintra nun gridanu cchifi, prie- chi manca !u focu. „ ' Farfareddu cci porta lu libbra, e lu vecchiu capu-dia- vulu cumincia a leggiri U nomi : — " Virseriu ! „ A sta parola alfaccia un laìdu diavulazzu e si prisenta : — ' Chi porgeva legna, chi sch^giava tronchi d'alberi, chi portava Icgne verdi e le ammucchiava, chi portava paglia , chi frasca , chi sermenti, chi travi e Btronconi fciarvuni), chi ampelodesmo; insom- ma era un viavai spaventevole. • Epprùsiti, lo stesso che appròsiti, prosit, evviva. ' Porta qui il registro (dei diavoli) per far r appello dei giovani cioè (dei diavoli). • Notisi che la necessità di dar riposo a' diavoli di serviao, il capo diavolo la vede dal cessare delle grida dei dannati, ai quali e venuto meno il fuoco tormeatatoi-c dei diavoli stanchi. ,t 228 FIABE E LEGGENDE '^ Cumanna, su' patroni ?«-*-' Dimmi chi ha' fattu oj tu 'ntra lu munnu ?» — * Signurì, staju cuntrastannu cu lu Re, ca cci fici vèniri 'ntra 'na gamtoa 'na finita chi duna duluri forti, e nuddu medica cci la pò curarif senza sapiri chi la* marva a dicoziohi , che è cosa di nenti, cci la fa passari „.— Beni, risposi lo capo-dia- volo; scàncio di tia, ora cci va Serra-serra, e tu duni foco ddoco, e smontalo „. Poi sicotau a leggiri 'napoea di nomi di diavoli, ca manco si putiano cantari; e tutti si trovavano pronti a la chiamata. Àirortimo chiamao a Farconi, e si vitti vèniri mi diavolazzo laido e sconcirtoso , co 'n esercita di dia- voli, chi portavano armi a lo 'nfemo, eia capocUSaru cafoddava ^ pri vidiri si cpialchidono era senza arma pri lo 'nfemo. 'Ntra l'àotri imo di chiddi 'on avia arma 'n coddu; lo capo-diavolo, co lo nervo a li mano, Taf* ferra : — * Eh vacabbonno scilirato ! chi ha' fatta 'na jumata ?.... „ E ddoco si misi: nirvati tirribboli, ca ddu; diavolo si stricava 'n terra bistimìanno senza numianu Qoanno si potti sosirì, sata di ccà e di ddà pri guar- dàrisi li botti. E donni arriva ? onn' erano li doi vur- donara: e pri difinnìrìsi tintao di carricàrisi a chiddu chi s' avia 'ntiso la missa ; ma era tanto gravoso ca non appi la forza di movilio. Lassa jirì a iddo e pig- ghia ali'àutru, chiddu di lo rosario. Ghìsto era leggio e si lo carricao sobbito, e lo portao a lo capo-diavalu. Lo capo-diavolo si coitau e pusau lu nervu. 'Ntra un vìdiri e sediti lu diavuio jetta lo vordonaro 'ntra la ^ E LucifeTO ^ capodiayolo) zombava. LI DUI VtBDUMAHA SfXi carcàra; ddà lu Vurdunani flci 'na vampa comu un filu di pa^hia', e un fetu chifacia scuncirtari. Lu capu- cifaru ficì smuntali li carcarara, mannau 'ntra lu munnu 'n' àutra partita di diavuli , chiudia lu libbra e sì nni iju. Jamu a lu vurdunaru, chi s'avia 'ntìsu la missa. Chistu vidennu la cosa sicutau a caminari pri l'affari sol. Ar- rìvannu a lu so paisi, si. misi a 'nfurmari cu' era ma- lato: e lu jia a visitari e poi lu midicava cu i' ci-vi chi . avia 'ntisu a lu 'nfernu, e li facia stari boni a tutti. Sta cosa iju a 1' oricchi di lu Re , e stu Re avia 'na chiaga 'ntra la gamma, e mannau a chiamari a lu vur- dunara. Iddu, chi sapia la cosa, pigghiau 'na troffa di marva, la vi:^h[u e cu dd'acqua cci misi a fari va- ■ gnoli. Lu 'nnumani lu Re era bonu, e cci dumannau: — " Chi grazia vdi pri cliiddu chi m' ha' fattu ? „ Lu vurdunaru, 'spertu e maliziusu, cci rispunniu: — " Vog- ghiu 'na sarma di muniti d'om ed essiri vicerrè mentri ca sugnu vivu ,. Lu Re nun si potti jittari 'nnarreri, e perciò cci ac- curdau la grazia. Iddu ristau filici e cunlenti, E nuàtri semu ccà senza di nenli. Prizzi. ' VARIANTI E RISCONTRI. H fondo di quesla leggenda può riscontrarsi ne lA dui cum- pari di Noto , n. LXV delle mie lìabe siciliane ; tuttavia le TBiianfaitD meduL 11£ T3Lt::C0ÌbD II qialirij mnìL rìy-.agsiìnQf ime di BtoàuBSL owerL. ascanai l'altro. iopD li ■ IMI III de! fisFOÉc:' fimi:- carc^ajisnu mondo. «BSte al ccmàliaiMMi òel daroL t& li i^^pndk eoe ima dilki «r^ tona «rrkrih. L L'Anoiln e la Morti. "Na vota cci fu 'n cavaleri; stu cavaleri era ric- chìssimu , e siccuomu avia 'n cori granni facia la gran limuosina, e facia camparì a tanti puurìeddL *Na vota lu Signori mannau a 'n ancUu e 'a Morti e cci dissi :— ■ Va pigiati l'arma di ddu tali cavaleri, € m' 'a purtati ,. L'ancila e la Morti vìnninu 'nta stu munnu e vlttinu d cavaleri 'nta 'nu barconi, e di sutta ce' èrunu 'na picca di puurieddi. — " Pirchì , disdna l' andlu e la Morti, nn' fimo a piggiari l' arma di sta cavaleri, mentri ca campa a tanti puurieddi ? , E chi tìcinu ? vìttinu ca ce' era 'n viècciu; si pipami l'arma di stu viècciu e la purtarru ò Signuri. Lu S^uri chi avia bisuognu ca cci avièono a diri ca chidda era l'arma d' 6 viècciu^? Si nn' addunau allura, e cci dissi a l'an- cHu e à Morti : — ' Pirchi mi purtastru l'arma dì stu poviru vicciarieddu ? In 'n vulia eh idda d' 6 cavaleri ? , Risposi l'ancilu:— " Patri Maistru, ' ddu cavaleri dima manciari a tanti puurieddi ; puoi cu' li campa, si nni p^Igiamu l'arma di stu cavaleri ? , Ha rispuostu lu Si- gnuri e coi ha dittu : — 'E tu chi 'n lu sai ' ca Io viècciu campava a tri sooro ? va ora, vatinni , e va < Si noti che l' angelo e ia Morte chiamano qui Maettro Dio come gli Apostoli e gU uomini chiamano Gesù Oìrto nd ciclo delle leg- gende in cui il Salvatore va pel mondo (nn. XXVUI-L). * B tu chi 'n lu sai, e tu cbe noi sai?.... non sai tul... 232 FIABE E LEGGENDE campa tu a sti tri suoni ». L'ancilu si nnì iju e s'ad- duvau prima picuraru , puoi varda-puorci , puoi iar- zuni, * e puoi curatulu*; " al? urtimu si nni iju 'nta 'n cavaleri e cci dissi^-^ "Quanta ini dati ca staju cu vui ? , Lù cavaleri cci rispusi : — "Vi dugnu quattru tummina di furraìentu, dudici tari, e du* ricotti ó itlisi, • ^' Ora rancìlu ^yià a campari è tri suoru sin* a tantu ca duvia campari *u viècciu. Iddu olii fici ? cuomu lu cavaleri cci desi la j^imata ijij di notti 'nt* a casa d' 6 Viècciu e cci misi Ma 'na cascia , sutta 'na picca di stuppat lu ftirmientu; supra la stuppa 'u piattu cu 'i , dfct*" ricotti, e sutta 'tr* jììattu 'n dudici tari d' argentu. '\^l Là matìna, comu 'f tìi suoni s' annispiggiarni, e vit- tìiiu supra là' stùi)pà stu piattu cu 'a ricotta, sa iddu eli cci parsi 1 spincienru 'u piattu e tnivarru 'u dudici tari, puoi ierru pi piggiari 'a stuppa pi Alalia e tni- vami lu furmentu. Prestu prestu si nni ienni 'nt' ó cun^ fissuri e cci cuhtanru tutti cosi. Lu cunfissuri cci dissi: — * Ch' àta fattu malu ? eh' àt' avutu 'ntrichi cu eoe- ^ {^'angelo se né andò, e si allogò prima (come) pecoraio, poi (co- me) ^uarda-porci, poi (come) garzone, e poi come castaido. . * Notiid qui -uno dei pagamenti che nel Ragusano si sogliono dare a' chi 8i mette ft* servigi d' mi signore. L' angelo finto contadino deve serTh*e il cavaliere, ed il cav^ere ^li darà: quatti'o tumoli di .frumento, dodi^ tad,(L.'6.10) e due rìootte al mese. " La maiina^ la mattina, come le tre sorelle si svegliarono e vi- dato stdla stopiia questo piatto eoa la ricotta, chi sa (sa idduJ che ooBa parve locoX alEanxu) il piatto, e trovarono il dodici tari ; poi andarono (ierrtif per prendere la stoppa per filarla, e trovarono il frumento; L AXCILU E LA MORTI Z3S canino ? „ ^ — " Nonsijnuri ! , eci dissina chiddi.— ' Al- lupa vi nni putiti serviri, ■ cci dissi lu cunflssuri; chissà è pruudienza di Diu ,. Li tri suoru accussi ficinu : 'ì ricotti s' 'i manoìami, 'u dudici tari s' 'u spisunu e d' ò frumientu si nni ficinu 'u pani; ' e accussi fìcinu sem- pri ; pirchì 1' ancilu ogni misi cci portava li quattro tummina, li dui ricotti, e 'i dudici tari. Però l' ancilu 'a fici sta cosa sina ca vinni lo tiempo quannu duvia mòrriri 'o vìècciu; * puoi chi fici? la prima jurnata ca nun eci tuccava di purtallu ddà, ' fici tu pani 'nt' 'a casa d' ó cavaleri stessu. Mentri ca 'u pani era 'nt' ò forno trasiu 'u cavaleri 'nt' 'a cucina e dissi : — " Oh! chi sciauru di paradiso ca eci fa ccà ! Chi stai fànnu Anello ? „ ' — ' Lu pani, cà dissi l'ancilu, staju fàuno. — ' M"u doni 'n pizzuddu ? , cci dissi 'u cavaleri; e ' CK Sta f Li tri suortt, le tre sorelle cos'i Tecero (cioè seguiroDO i consigli del confesaore): le ricotte le mangiarono, il Uodid tari lo speaero, e del ntimento ae ne fecei'O del pane. < Però (bisogna nolare che) l'angelo fece questa cosa {dì stare ai servizi del cavaliere e di passare alle orfkne del vecchio morto la sua giornaliera mercede) fino (a tanto che) venne 11 tempo in cui il vec- cliio dovea (avrebbe dovuto) morire. ■> La prima giornata che non gli toccava (che egli non avea più l'obbligo) di portarlo *\\ frumento eco.) ià (alle Borelie). * Oh che odore di paradiso Ik qui \ Che (cosa) stai facendo , An- gelo ? — Pare che qui la voce di Atteilu sia nome proprio e non già comune, essendo ctiiaro che il cavaUere non sospetti neppure di avere ai servizi un angelo. 234 FIABE E LECNSENDE Tancilu cci dissi : — ' Avanti ca mandati di stu pani, v' àt' a cimfissari , e v' àt' a luvari tutti li piccati chi aviti *,. Guomu cci dissi accussì, l'ancilu spirìu. Ragusa Inferiore *. * Avanti^ prima che mangiate di questo pane, vi dovete confes- sare, e levare tatti i peccati che avete. * Raccolta dal D.r Ra£Eaele Solarino. ■ j- LVL S. Hartlnn. Cc'era 'na vota un patri dì famigghia, ca si chiamava Martinu, ed avia dui %ghi màsculi. Stu Martinu avia la dispensa china di vinu. Una nuttata , pensu ca sìnteva siti , e si iju a'ppiz- zari a 'na stipa di vinu. '■ Nudu nudu va 'nta lu ma- gasenu e s'afffmcia. ' Comu sì misi a viviri, si 'nzala- m'u, ' e cadiu 'n terra. La mugghierì 'un si vitti lu ma- ritu 'nt'ò lettu, e chiamò a li so' flgghi ; — " Tò patri unn'è? ,. * Si susi lu cchiù granni e va 'n cerca dlsÒ patri; e lu va a trova 'nta la me^asenu jittatu 'n terra nudu nudu; si misi a rìdiri e si nni iju nni l'àutru frati: — ' Sai!... Lu patri è jittatu 'nta lu mt^^asenu nudu nudu f. Lu frati nicu si susi, p^hia la manta dì la lettu, cci trasi 'nnarreri 'nnarreri, e lu va a cummf^- ghia. ' Quannu lu patri rivinni e s' arrusbigghiao, si tmvò cummi^hiatu 'nt'à dìspenza; si susi e va nni li so' figgili: — " Cu' fu chi mi cummi^hiau ? , Rispunni 1 Si ITU, andò ad attaccar» tUla cannella di una botte di vìdo. * E a'attacca con la bocca (alla cannella della botta, e ù inetto a bere), ' Stordi im poco (col vino). ' Tuo (vostro) padre dov'è! " n fratello piccolo si alza, prende la coperta del letto, entra (dove il padre giaceva ubbriaco per terra , con la faccia) in dietro ; e va a coprirlo. 236 FIABE E LEGGENDE lu nicu: — " Vinni (comu dicissimu) ^ Ninu, e mi vinni a diri ca èravu nudu. Haju pigghiatu la manta, e 'nnar- reri 'nnarreri v'haju cummigghiatu. Iddu vinni ridennu ridennu , ed io tantu dispiaciutu „. Pigghiò lu patri e mmalidiciu a lu granni ; e a lu nicu lu binidiciu. E chistu è lu cuntu di S. Martinu. Bagheria. ^ VARIANTI E RISCONTRI. Richiama alla storia di Noè ubbriaco e coperto d'un pallio da Sem e Jafet, come si legge nella Genesi, e. IX, vv. 21-27. V'è in embrione la storia di S. Martino vescovo, di cui una versione popolare di Ghiaramonte è in Gdastella, Le Parità, p. 2S0, J; ed un'altra nelle mie Fiabe sic, n. GGXGII, ripor- tata in italiano nei miei Spettacoli e Feste, p. 410. * Come diremmo, (per dire un nome; p. esempio). * Raccontata da Angela Puleo. La Llmpìa dì Sant'Agàti '. Sant'Agàti avia faltu vutu di virginità, e so patri la vulia maritari pi forza, 'Na vota idda pi tivarisìltu di 'n coddu cci dissi:—' Ora tannu io mi maritu, quannu finiscìu di tessiri sta pezza di ti!a ,. Lu patri cci critli. Ora idda chi facia? Lujomu travagghiava a tessiri, e la notti poi scusia luttu chiddu ch'avia travaggtiiatu. Lo jornu ammi:^ghiava, e la notti scusia; sbrugghiava e jinchia lu sì^ghiu. E pi chistu quannu ce' è 'na cosa eh' 'un si finisci mai si soli diri la lirapia di Sant' Agàti. Palermo *. VARIANTI E RISCONTRL Salta agli occhi di tutti la rassomiglianza della presente leg- genda con la nota storia di Penelope e della sua tela. Que- sta stessa leggenda è stata riferita in ilaliano nel mio Saggio ' Lìmpia, sostantivo femm., corrotto dalla voce Grimpia , oggi forse non più usato, m^ che lino a' tempi di 0. F. degli Omodei, sec. XVI, significava it velo di S. Agata (Vedi la sua Descrizione della SùHlia, lib. I.). IM cosa lunga, Intemiinalnle, usa dirsi; Longa comu la fila di S, Agati. Glipa e glimpa si legge anche in alcuni contratti nuziali del se- colo XIV in Palermo, come quelli del 1293-99 pubblicati dallo Stas- RAIWA , Arch. slor. sic, nuova serie, an. VUI, pp. 175 e 178, e la nota 177, n. 1. —In Roma r>ippa o nimpi è un velo bianco che il caudatario porta sopra le spalle quando segue il suo cardinale nella festa del Corpus Domini. Vedi Palomba, Li Eomani ^ Bontà, p. 103. Roma, 1881. ì i { i i $ f I 238 * FIABE E LEGGENDE ^ di Feste popolari sicUianey § S> AgtUa ; nelle Nuove Effeme- ridi siciliane, serie IH, voL V, pag. 75-76 (Palermo, 1877) e nel YoL di Spettacoli e Feste, p. 194. D fatto è nell' Odissea, U, 90, dove uno dei Proci narra cosi (traduz. di Paolo Maspero): Udite frodi Ch^ella seppe inventar. Nella segreta Sua stanza un^ampia smisurata tela Ordito ayendo, a sé ne chiama e dice: Giovani, amanti miei, poiché il divino Ulisse è spento, tanto almen vi piaccia Le mie nozze indugiar, che a fin conduca Questo funereo manto al buon Laerte. (E la trama sottil non si scomponga) Ove giaccia il suo corpo, allorché il fato, Apportator d'eterno sonno, il colga.... Con simil fola agevolmente i nostri Animi persuase. Intanto il giorno Tessea la tela e la stessea la notte I Delle tàd al chiaror ri I * 1 • II 239 LMH. Santa Barbara. Ce* era un patri , eh' avia 'na figghia. Stu patri 'na vota si 'nsunnau ca so figghia avia a mòriuri c'un tronu; e iddu, p' 'un cci succediri sta disgrazia , cci fici fari 'na casa di chiummu 'n campagna. Finuta sta casa, cci chiuìju la figghia e cci detti la chiavi a idda stissa: — • Quannu finisci di truniari, * e ti pari a tia, nesci e ti nni veni a casa ». E iddu si nni turno a la casa. Comu turno, cuminzò a chioviri, a lampiari, a tru- niari tirribbili. * A Barbara cci parrava lu cori, ca 'nta dda casa di chiummu avia a mòriri: e chi fa ? grapi, e si nni nesci 'mmenzu la chianura. Comu nisciu , si iju a'ddinucchiari ddà 'mmenzu, e si misi a prigari ; ddoppu chi si culau tutta, bbuhm ! un tronu cci squàg- ghia la casa, e cci cadi davanzi la facci a idda, senza mancu munistalla \ E pi chissu quannu cci su' trona si chiama a Santa Barbara cu dìricci: Santa Barbara 'n campu stava, Né di trona né di lampi si scantava. ^ AppejQa cesserà di tonare. * CoWflciò a piovere, a lampeggiare, a tuonare terribilmente. ■ Ddoppu chi si culau tutta , dopo che fu tutta bagnata (dalla pioggia), im fulmine si scarica sulla casetta (di piombo), e gliela squa- glia, e le piomba innanzi senza neppur molestarla. a1 340 FIABE E LEGGENDE Trona e lampi, stativi arrassu: Chista è la casa di Sanlu 'Giiassu '. Palermo VARIANTI E RISCONTRI. Una traduzione libera di questa leggenrhiola è nel voi. IH de* miei Usi e Cofdumi: Meteorologia, e. VII: / lampi e i tuoni, ove son pure varie orazioni a S. Barbara protettrice dei mi- nacciati dal fulmine. ^ Santo Ignazio. * Raccontata da CJoncetta Piiino cameriera. S. Calòjaru '. 'Na vota cci fu un cacciaturi, ca un jornu di ch-stì y a caccia n'On vuosca. Mentri cacciava ni sta vuoseu, vitti 'na cèriva °; subbiti! para la filèccia e tira , e la 'ntrizza ' ni lu cuoddu , e cci lu spìrlusà' di banna e banna *. La cèriva allura scappa' e sì ij' a 'nfilari jintra 'na grutta. Lu cacciaturi si n'addunà', e subbitu cci ij', e comu ti'asi' vitti a un viecchiu cu la cèriva allatu, cu la vàriva " longa longa e la facci niura comu la pici, Lu cacciaturi cci dumannà' a stu viecchiu:—" Vu' cu' siti, boti viecchiu ? „ — ' Io sugnu Calòjaru, frati di Santu Ddecu di Ganiatti * e di San Giurlannu di Giui^enti ,. Lu cacciaturi cci dumannà' pirdunu di l'offlsa chi cci avia fattu cu tirar! la filèccia a la so cèriva. San Calò- jaru la pirdunà' e cci urdinà' di jìri a Naru, e di cun- tari sta cosa dduoppu un puocu d'anni. Lu cacciaturi vinni a Naru e dduoppu 'napuocu di anni svila' sta sigretu. Li Narisi allura e 'napuocu di parrini videmma jeru cu ddu cacciaturi a la grutta, e allocu di truvari lu rimitu truvaru l'ossa di S. Calòjaru e si li purtaru a lu paìsi cu 'na gran festa. Naro '. ' S. Calogero. * Cèrioa per cerva, cerva. ' E la colpisce ('niriJ3Teoder noi ?) 0, PiTEk — Fiabt e Leggende. 17 258 FIABE E LEGGENDE ▼oi \ fa carricari la statua supra un carruzzunì, e cac- cia li voi. Li voi tiraru versu Partinicu , ma ddoppu quattni passi, nun pottiru jiri cchiù avanti. Sona vastunati iu vujara '; li voi appuntiddanu li pedi , si sforzanu , ti* ranu, ma nun pottiru caminari. Si vota lu carruzzuni pi Arcamu : la stissa storia ; pi la Sicciara , lu stissu. Allura 'na vuoi dicenti ^ : — " Gcà vóli ristari la Ma- donna ! „ e stabileru di fari coi 'na chiesa supra dda muntagnola, e unni la Madonna 'un vosi jiri cchiù a- vanti fàricci un bellu ponti; e pi chissu la chiamanu Maria di lu Ponti. Ora nun sàcciu lu comu, ddoppu 'napocu d'anni li Partinicoti vulevanu 'mpusissàrisi di sta statua e pur- tarisilla a lu paisi; ma la statua 'un si potti moviri. Allura li Partinicoti pinsaru di fari un quatru di sta 'mmaggini; e stu quatru si teni sei misi a Partinicu e sei misi a la so chiesa, a setti migghia di lu paisi. Partinico *; VARIANTI E RISCONTRI. n fondo di questa leggenda è il medesimo della seguente; ma per le circostanze clie accompagnano il rinvenimento della statua richiama ad un gruppo di altre leggende, che qui vuol essere rappresentato. In generale però, il tipo di questo motiva è la Madonna di Gihilmama, la Madonna di Trapani, ecc. * Prende sei pariglie di buoi. « n boaro picchia fortemente (i buoi.) * Una voce dicentes. * Raccontata da Antonino Giannòla. La Madonna di Oìbllmanna. Supra !a muntagna di Gibilmanna cc'era un rimila. Stu rimitu 'na notti si 'nsunnau ca 'nta lu portu cci era un bastimentu cu tanti Madonni, e cci nn'era una ca li 'Nglisì cci la pagavanu a pisu d'oru '. La matina, comu s'arruspigghiau, pri vìdiri si era vem sonnu. scinniu di la muntagna, e si nni iju a lu portu; acchiana supra un bastimentu chi cc'era, e dumanna a lu capitanu s' iddu avia Madonni. Lu capitana cci dissi di sì; comu di fatti, supra cuverta cci nni fìci ab- bìdiri 'napocu ; ma siccomu chidda chi s' avia 'nsun- natu lu rimitu nun la truvava, cci dumannò si nn'a- veva ancora àutri. — " Gnursì „, cci dici lu capitanu, e lu fìci scìnniri sutta cuverta, Ddà cc'eranu tanti Madonni, e lu rimitu sì firmò 'nta una, e si pirsuasi ca chidda ora la Madonna chi s'avia 'nsunnatu; votasi cu lu capitanu e cri dici: — "Mi la dati < (ìl'lnglesi entrano di (tequentc nelle tradl/Loni eìdiiitne, ed en* trano con grandi disegni , con molte riccheziie , potenti , prestanti. Oltre quello che ne scrissi io medesimo a p. CXCn del voi. I de" miei Prov. sic. secondo la tradizione popolare palermitana gì" Inglesi a- vrebbero chiesto una volta il permesso di buttare gììi 11 Montepel- legrino,' e ci sarebbero riusdti per davvero!... Gl'Inglesi tOano sem- pre all'amore con la Sidlia; gl'Inglesi son d'accordo con qualunque governo per prendere la nostra Isola per conto proprio: e si ricorda che a templi di li 'Sgrisi (ne' primi di questo secolo) si e supra li pejisa di dudici lari, tìoè si era prosperi ed agiati. 260 FIABE E LEGGENDE chìsta? ^— " Ma chi siti loccu? , rispunni lu capitana; li 'Nglisi mi la pagana a pisu d* oni , e vui la vuliti dalai... »— " 'Nca si vni nun mi la dati, nun putiti jiri né nn'avanti, né nn'arreri ,. Lu capitanu si misi a ri- diri, e lu rimitu si nn'acchianò a la so casuzza ^ Jamu ca lu bastimentu lu ddoppupranzu ^ a^ia a par- tir! e nun putia caminari pi daveru. Allura lu capi- tanu, cunfusu, manna a chiama lu rimitu e cci dici: — • Ora pigghiativilla, e comu arrinesci si cunta „, e cci detti la statua. Comu cci la detti, lu bastimentu si misi a curriri, e guadagnau lu tempu pirdutu. A certu puntu li marinara, pi ordini di lu capitanu, spàranu, p* ammazzari lu rimitu, tri corpa di cannuncinu ; ma lu rimitu, friscu comu li rosi, pigghia li palli a una a una cu li manu, e li posa 'n terra. Li paisani, vidennu stu miraculu, s*arribbillaru, e vulianu la Madonna: ma lu rimitu, chi sapia comu avia a fìnìri, dissi: — " Face- mu 'na cosa : annurvamu du' voi, e li facemu caminari suli stanotti; unni si fermanu pi tuttu dumani, si metti la statua „; e accussì ficiru. Li voi, ddoppu un pizzuddu, si firmaru a lu paisi; stettiru un'ura fermi, e sicutaru a caminari, e jeru a pusari allatu la casuzza di lu rimitu , e 'un si suseru cchiù mancu a càuci e a puntariddati '. Accussì ddà si fabbricau 'na chiesa, ch'é 'na billizza; cci misiru la f Sul rimitu e sulla sua casa^ vedi la nota 2, p. 202. ' Lu ddoppupranzu, nelle ore pomeridiane. ' E Jeru a pusari, e andarono a posarsi (fermarsi) allato il ro- mitorio, e non si alzarono più neppure a cala e a pungolate. LÀ MADONNA DI GIBILMAKM 261 Madonna, ca fa li gran miraculi; e ddà sunnu ancora li palli. Palermo ', VARIANTE E RISCONTRI. D motivo di questa leggenda è de' più diffusi in Sicilia e fuori; io stesso ne ho raccolto sette versioni dalla tradizione o- rale e nove dalla scritta, la quale, a sua volta, è anch'essa po- polare; tutte e sedici siciliane. Ecco riassunte quali le udii, e riportate quali le trovai nell' opera più sotto citata del P. Al- berti questi sedici leggende: La Madonn* di Trapani (Palermo). Un giorno una nave pisana proveniente dall'isola di Cipri fu condotta da' venti in Trapani e vi lasciò una cassa con una immagine di Maria. Su quella cassa un povero storpio ot- tenne salute; e la cassa fu aperta e toltone Ìl prezioso tesoro. I Pisani , tornati in Trapani , reclamarono la proprietà della sacra immagine; i tribunali decisero che la si dovesse collo- care in mezzo la piazza e farla tirare da due buoi a discre- zione loro; pigliando essi per la via della marina, toccherebbe a' Pisani, pigliando per quella della campagna, a' Trapanesi. Alla prova, vinsero i Trapanesi. Questa leggenda popolare in versi, raccolta da me in Pa- lermo, continua cantando vari mi racoli della sacra immagine; ma io la tronco qui, rimandando il lettore alla p. ^5, n. 945 dei miei Canti pop. sic, ove è anche citata la Scelta della I, IJ, III, IV parte deUa Istoria di Trapani di Ghiseppe Fran- cesco Pugnatore, fatta in Trapani da Gregorio l'amio 1792, ras. Qq F. 61, p. 53 e seg. della Biblioteca Comunale di Pa- lermo. D Mondello, La Madonna di Trapani; Memorie po- lì dnqiiaDt* anni, ser- ^62 FIABE E LEGGENDE trio-storica-artistiche (Pai. 1878), ha tutto un cap. (il I) sopra la VentUa del simulacro di Maria di Trapani^ e cita tredici altri lavori editi ed inediti, che riferiscono la leggenda. Egli stesso pubbhcò un lavoro sul? argomento : La Madonna di Trapani; Sunto storico sulla venuta del suo simulacro (Pa- lermo 1877). Lu Cruciflssu di Murriali {Monreale), Due palermitani e due monrealesi viaggiavano per mare. S'avvennero in un bastimento di Turchi, e comprarono da essi un Crocifisso. Giunti a Palermo questionarono a chi do- vesse toccare; e decisero di posarlo sopra un carro da far ti- rare a un paio di buoi. I buoi tirarono da Porta Felice in su il carro, e uscirono fuori Palermo per la via di Monreale. I palermitani picchiavano gli animali per farli fennare, ma essi, duri, tirarono la loro fin sotto l'Albergo di Monreale, dove fu piantata una croce entro una cappella. 1 monrealesi picchia- rono , e i buoi entrarono in paese , e si fermarono stabil- mente verso la Garrubbedda , dove fu innalzata una chiesa, che ora ha il nome di Gollegiata, e dove si venera il Croci- fisso ^ La Madonna di rudiensa {Sambuca- Zahut). Una volta un contadino andò a raccogliere erbe sulla mon- tagna di S. Giovanni per farsi una minestra. Neil' acchinarsi sopra un cesto di cicoria s'accorse di qualche cosa di strano, e scoprì la statua di una Madonna. Sceso in Sambuca, ne die. iV>tizia a' capi del comune, i quaU salirono sulla montagna, e presa la statua la adagiarono sopra un carro tirato da buoi per portarla al paese. Quivi si pensava di collocarla nella Ba- * Raccontata da Giovanniiia contadina. 'A LA MADONNA DI eiBlLHANNA 253. dia di S. Caterina, ma giunti innanzi il convento del Cannine, ì buoi non vollero più saperne, e si fumarono stabilmente. Allora fu ^uocoforza collocarla in quella, chiesa, dove si ve- nera col titolo di Madonna dell' Udienza , ed è la protettrice del comune '. La Kadonn* di la Nlvi {Francofonte). Fu trovato in Passaneto , presso Francofonte, in mezzo ad un roveto, un quadro di Maria, da alcuni cacciatori. Questi per prenderlo , con le falci cominciarono a tagliare il roveto. La punta di una di quelle falci toccò sulla fronte la immagine, e ne venne fuori del. sangue, che fu fatto rist^nare con co- tone, il quale è tuttavia attaccato alla tela. I cacciatori erano , altri di Vizzinì , altri di Francofonte, e nacque tra essi questione a chi dovesse tanto tesoro appar- tenere, a Vizzinì o a Francofonte. Allora fu stabilito di posarlo sopra un carro tiralo da buoi, e lasciar questi andare a loro discrezione. 1 buoi camminarono,, e camminarono; ma a certo punto si fermarono inginocchian- dosi. Quivi scaturì dell'acqua, e i buoi bevvero, e ripresa via s' indirizzarono verso Francofonte, ove ad onore della sacra ìnunagine rinvenuta si alzò una chiesa, ha.- Madonna fu detta della Neve , perchè in quel giorno , 5 agosto , cadde molta Uaria di In Mu^ti (Becalmuio). Una volta un signore di Castronovo via^iando per terre, lontane trovò in una grotta una statua di Maria in marmo; la' < Baccoatata dal sac Giuseppe La Marca da Sambuca. ■ Raccontata da Enrico Mineo, 264 FIABE E LEGGENDE prese e la portò con sé. Tornato in Sicilia e sbarcato in Gir- genti, volea andare a Gastronovo-, fece caricare sopra un carro tirato da buoi la statua e s'indirizzò pel suo paese. Giunto a Recalmuto il padrone di quella terra volea venduta, anche a gran prezzo, la statua ; ma il proprietario non gliela volle ce-^ dere, e ordinò che si proseguisse il cammino. I buoi però non vollero più saperne di andare avanti , e quel signore dovette asciare in Recalmnto la sacra immagine, alla quale venne al- zato un tempio \ La Madonna di Libera-inferni (Cianciano). Una statua in marmo della Madonna di mezz* agosto, (alla quale fu poi dato il titolo di Madonna di Libera-inferni) ve- niva trasportata sopra un carro tirato da buoi. Essa partiva da Sciacca , ed era indirizzata nelV interno della provincia. Giunti i buoi a S. Rocco, quartiere esterno di Cianciana, fe- cero sosta; nò si vollero più muovere. Si capì che quello era il posto voluto dalla Madonna ; e poiché non lontana era la chiesa maggiore del comune (Gianciana), quivi fu portata la statua, dove anche oggi é in grande venerazione « „. L*o8sa di S. Furtunata (Baucina), Uno di Baucina e uno della Mìlicia (Altavilla) trovandosi a * Raccontata da un campagnuolo di Recalmuto. La medesima tra- dizione fu raccolta , scritta e drammatizzata con maggiori partico- lari da B. Caruselli, Maria Vergine del Monte in Recalmuto^ jyramma sacro , ecc., Palermo , Natale 1856. Egli assegna al fatto la data del 1503 e racconta che ogni anno in Recalmuto si ripro- ducea con im spettacolo sacro il fàusto avvenimento ; di che vedi i miei Spettacoli e Feste^ pp. 66-68. > Comunicazione orale del Comm. Gaetano Di Giovanni. LA MADONNA. DI CtBILHANNA 265 spiarla di mare scoprirono le ossa di S. Fortunata e st cre- dettero in diritto d'impadronirsene ciascuno per conto del pro- prio paese. Non sapendo altrimenti fare, collocarono quelle re- liquie sopra un carro di buoi lasciando questi a discrezione. C'era la via che dal mare in su divìdevasi in due: una che conduceva a Baucina, una diritta alla MUicia. 1 buoi presero per quella via, e cosi i Baucinesi si godettero il prezioso te- soro. In Baucina le reliquie furono messe nella madre chiesa, ma il domani furon trovate fuori, nella piazza. Ricondotte in chiesa, vennero collocate sotto un altare a destra; il domani, nuova- mente in piazza. Rimesse in chiesa; lo stesso ; finché ì Bau- cinesi dovettero porUrle in un'altra chiesa, che si chiama ' U CuUeggiu, dov'è una cappella per la santa '. S. Maria dell* Scala In Meialan. • Venuto che fu, nel porto di Messina, un l^no mercantile da Levaiite , diede fehcemente spaccio alte mercalanzie , che avea di' là portare, e prese a nolo per non so quale altro paese, con tutta presfezza sciolte le ancore, spiegò le vele al vento, che era molto propizio al suo viaggio. Ma per divina virtù il legno si vide così forte inchiodato in quel porto, che non ostante il rimorchiarlo che fecero altri legni, non potè muoversi di quel luogo. 11 fatto fu slimalo miracoloso da tutti i pratici : onde il Capitano fattosi ad esaminare la sua co- scienza, e quanto avea d'in su la nave, non trovò altro, che una Immagine antica della SS. Vergine tolta da non so quale città della Palestina. Quanto egli ben si apponesse, moslrollo l'esito, appena l'Arcivescovo con una divola processione ven- ne a levar dalla nave quella sacra Immagine , che la nave, * Baocontata da Oìovaanl Di Marco. ^TT 266 FIABE E LEGGENDE stata fino a quel punto immobile, sciolse prosperamente dal porto, e navigò senza veruna dimora al destinato termine. * Con ciò avea ben dichiarato la Vergine , che quella sua Immagine dovea rimanersi in Messina. Gol prodigio, che se- gjue , volle dichiarare il luogo , dove voleva ella essere rive- rita. Questa benedetta Immagine in toccar terra, divenne così immobile, che mise in nuova confusione il Prelato. Perciò si consultò col Magistrato, e alla fine si deliberò , che siccome TArca del Testamento posta un tempo da' Filistei sul carro tirato dalle vacche , era stata da Dio guidata secondo il suo volere; così ora si facesse di questa Immagine della sua SS. Madre. Adunque fu apprestato un carro di buoi, sul quale bene addobbato fu collocata la prodigiosa Immagine , e nel medesimo tempo i buoi si diedero a correre velocemente fino a' colli di Sanrizzo, e ivi fermatisi dinanzi la chiesa di Santa Maria della Valle, ov'era allora un monistero di sacre vergini, che viveano sotto la regola del Patriarca S. Benedetto ; coi lieti muggiti significarono, che quello appunto era il luogo e- letto da Dio per quella Immagine. E ivi subitamente fu col- locata con ogni solennità e devozione su T aitar maggiore in quella chiesa „. , Alberti, Maraviglie di Dio in onore della sua Santissima Madre riverita nelle sue celebri immagini in Sicilia, e nétte isole circonvicine, parte I, p. 400-401. In Palermo, 1718. La M»donni di G-ulfL in Cliiaraaionte. ** Non si sa donde sia venuta questa sì bella Immagine. Si 89. solamente per tradizione degli antichi, che un dì fu ver duta venire in Gulfi su un carro tirato da due buoi salvatici, i quali in arrivare al luogo, ove ora è la sua chiesa, vi si fer- marono così immobili, che niuna violenza, che lor fu fatta, a passare più oltre, potè smuoverli punto a dare un passo più LA HADON-KA DI GISILUAN'S-A 2(>7 . Qui duQque i ciltudini le fabbricarono chiesa ,. 0"> p. I, p. 196). La SS. Nn nauta dL Bickrra. ' Una nave miracolosamente vien fermata al Castello di Brolo, né passa oltre, se prima non lascia in terra Ìl simula- cro della SS. Nunziata. È condotto alla Ficarra; dove nel de- corso degli anni vi suda piìi volle sangue ,. (p, I, 207). S. Murla di a«BÙ cella Tsrra di (aat-nla di Naso. ' Si ha dalla comune tradizione, che una statua cosi nobile ^pera del Gagini) crasi già indirizzata alla città di Tortorìci: ma la Vergine non volle che quel suo Simulacro passando di Castania ne fosse portala oltre. Si fermò ivi cosi immobile, eh» non fu possibile rimuovernelo a qualunque uman sforzo. Quivi dunque si fabbricò una chiesa In onore della Madre di Dio. ' Poscia nel 1571 vi si fabbricò anche il Convento. Dicono che in quel medesimo luogo, dove allora sì fermò da sé la statua della Vergine , scaturì subitamente una polla d' acqua, che appresso si ridusse in un pozzo, il quale ha questa ma- ravigliosa proprietà, che ne cresce, né manca d'acqua, eziandio se per piCi giorni non se ne attingesse né pure una gocciola, o al contrario se ne cavasse fuori gran quantità. Dì quest'acqua si vagliono gì' infermi per ottenere dalla SS. Vergine riposo e salute ,. Cp. I, 332-333). La MadoAua dalla QrAaia, d«ttB dalla Caitanàa. ' Lungi da Messina non piCi che cinque mislia, uo Cara* lìere, che ivi di presso al Paro avca un suo podere, osservò 268 FIABE E LEGGENDE un dì arrestata una nave a quel sito, e maravigliatosi, ch'ella si fosse fermata a vento prospero , e a mar tranquillo , e in luogo, dove non v'avea seno, né commerzio, nò traffico, volle informarsi del fine di quell'arresto, ma i marinai non ne sa- pevano altro, che quell'effetto di vedersi ivi inchiodata la loro nave. Proseguì il Cavaliere a far loro varie domande , e sa- puto, che venivano da Levante, e tra le altre merci recavano alcune Immagini della B. V., egli tre di queste si comprò, tutte antiche, e alla Greca. In cavarsi della nave queste tre Imma- gini, ella tosto da sé si scostò velocemonte dal lido , e ben mostrò che niun'altra remora ve l'avea colà intertenuta, se non la volontà della Reina del cielo, la quale voleva, che si venerasse in quel luogo alcuna di quelle sue Immagini, come in fatti lo mise in cuore a quel Cavaliere. Egli dunque l'anno 1400 0 circa, in quel suo podere, e su quel poggetto amenis- simo fabbricò una chiesa collocatavi la più bella di quelle tre Immagini della B. V. sotto titolo della Madonna della Grazia detta ancora la Madonna della Castanéa, perché questa Terra è non molto di là lontana „. (p. I, 336-37). 8. Maria di Custonaci in Monte S. Qiuliftno. ** L'anno 1570, o in quel torno, navigava per quel mare un legno Francese carico di ricche merci, le quali tutte nel pre- gio erano di gran lunga inferiore ad una bellissima Immagine di N. S., che da Alessandria si conducevano in Francia. Non volle la Madre di Dio che quella sua Immagine navigasse più oltre , e si elesse per interprete al suo volere una forte e pericolosa tempesta, che cominciò a micacciare a' navi- ganti l' imminente naufragio. Non lasciò 1' arte marinaresca di farvi ogni suo sforzo, ma tutto invano, perchè quanto più vi faticavano in torno, tanto meno vi profittavano. Ricorsero LÀ MADONNA DI GIBILHANHA 269 tutti inginocchiono , e cogli occhi pieni di lagrime, a quella yenerata Immagine della N. Vergine, e tulto insieme si senti- rono dire al cuore, ch'ella voleva rimanersi in quel vicino lido della Sicilia. • Tutti a un medesimo tempo promisero a Dio con voto, che se li campava pur ora di quel naufragio , avrebbero , in ■ prender ten-a , depostavi quella immagine , e in memoria di quel miracolo, le avrebbero fondata una divola cappella. Que- sto voto mise silenzio alla tempesta , sicché fattosi Ìl mare tranquillo, e ridente, presero terra su la riviera del BugUùto, spettante al Monte di S. Giuliano. La prima cosa, che fecero, fu il soddisfare al voto. Scesero dalla nave in processione e portando seco l'Immagine della loro Liberatrice, le resero con ogni affetto le grazie di averli presentemente campati di quel naufragio, e della morte , che ad ora ad ora si vedevano di- nanzi asVi occhi: e senza dimora si diedero a pigliar lìi^ua del come potessero fabbricare ivi ad onore della nobile Im- magine, o una Cappella , o per più decoro , una Chiesetta ,. Quivi però, perchè esposta alle invasioni de' Turchi, non vol- lero i contadini del luogo fabbricar la chiesa , e salirono sul monte Enee, dove l'anno 1575 sorse il santuario (p. 1, p. 410-13). Vito CarvinJ nel 1687 ne scrisse una relazione. Nostra Slifoors dell'Alto, fuori Poliui. ' Al lido del mar Tirreno , che bagna quel tratto di terra, presso alla Roccella , capitò , gittatavi da una fiera tempesta, una cassa di l^no , forse piccolo avanzo d' alcuna nave, che pali naufragio in quel mese troppo adiroso. Corsero i più cu- riosi a vedere qual cosa vi fosse dentro rinchiusa, e apertala, vi trovarono una statua di marmo della Madre di Dio , alta non più di 4 palmi ,. Volevano portarla a Termini, ma la statua 270 FIABE E LEGGENDE non volle, e resistendo sempre a' nuovi disegni dei fedeli, li fermò tutti presso (Polizzi, in una crocevia, ove le si eresse una chiesa (p. II, p. 224-225). S. Maria del popolo in Marsala. In Marsala ** capitò una nave con dentrovi una bella Imma- gine della Madre di Dio. I Frati Carmelitani ... in vedere quel simulacro marmoreo così fortemente se ne invaghirono, che a loro istanze ne sborsò la valuta al Capitano della nave P. Maestro Lodovico Petrulla, e postala in una cappella, pel gran concorso del popolo fu chiamata così „. (p. II, p. 230). La Madonn 4 di Dinnammare in Messina. ** Due mostri marini nuotano di conserva , recando sulle schiene, e sostenendo con le loro aliette, una Immagine della B. V., e la lasciano in sul lido. I pescatori accorrono ad a- dorarla, e la ripongono sul monte vicino, ond'ella prese il nome di Dinnammare. „ (p. U, p. 312). La medesima leggenda corre per S. Rainero di Bagno ne- gli Abruzzi: De Nino, Leggende sacre, p. 162; in Toscana per un Crocifìsso di S. Miniato al Tedesco: Rondoni, Appunti so- pra alcune leggende medioevali, n^^ Archivio delle tradizioni pop,, V. VI, pp. 307. SERIE TERZA. 'U pisciaru '. 'Na vota ec'era 'nu marìnaru e avia setti figgi. Stu marinaru campava e' '« piscari pisci e 'i raannava a vlnniri 'nt'òn paisi vicinu, ò ceiù piccilu d' 'i so' f^gi, ca putia aviri coccu dudici anni ". 'Na vota, mentri ca stu picciuottu passava di 'na strata e vanniava: OpÌ~ sci vivi, 0 pisci vivi! 'u vitti di 'nu barcuni 'na pie- ciotta, e dissi: " Oh cli'è simpaticu stu picciuottu !.., „ 'U fici eiamari, e cci spijau: — " A tia, quantu nni vuoi tuttu ssu pisci ? „ 'U picciuottu cci dissi quant'è ca cci vosi diri: tri, quattru, cincu tari, a secunna di quant'era 'u pisci. Cfiidda chi fici ? 'u fici manciari, e puoi cci desi pi du' voti dì dinari di quantu cci avia dittu iddu, e nn' 'u mannau. Però avanti ca un' 'u mannau cci dissi: I mandava a venderlo (U peace) in un pa n il più piccolo de' suoi Agii, il quale avea dodici s 272 FIABE E LEGGENDE — ** Ogni vota ca puorti pisci, *u puorti nni mia... 'u sienti ? „ Dduoppu ca passau quantu avissi passata, stu picciuottu arrieri cci purtau 'u pisci e chidda ar- rieri cci desi assai dinari. Gei 'u purtau 'a terza , 'a quarta , 'a quinta vota ; all' urtimu 'a picciotta , ca si nn' avia 'nnamuratu, 'n potti stari cciui e cci dissi: — ** Cci vuoi stari cu mia ? „ 'U picciuottu cci dissi : — ** Prima ha' diri a ma patri ^; si vò', iu cci stajil ». 'A picciotta 'u mannau a ciamari idda stessa ò pa- tri di stu picciuottu, e cci 'u dissi: — " Mai, cci dissi 'u marinaru; chi sugnu pazzu ca bi dugnu a ma figgiu! E puoi cu' m* 'u vinni 'u pisci ?... „ 'A picciotta 'u pri- jau, 'u straprijau, ma chiddu, nenti. AU'urtimu 'a pie* ciotta cci dissi : — " Si m' 'u dati, bi dugnu 'na gran summa di dinari ora, e puoi sempri vi nni dugnu, di 'na manera ca stessu ca nun vinniti 'u pisci, putiti cani- pari " „. 'U marinaru vitti ca cci cumminia, e cci dissi di sì. Chidda cci ha datu *na picca di dinari, e s'ha ti- nutu ó picciuottu. Ora sta picciotta era flggia d' un nicuzianti riccuni, e stu nicuzianti avia jutu a fari 'nu gran viaggiu. A- viennu passatu siei anni ca chista avia a stu picciuottu 'nt'à so casa senza fallu vìrriri a nuddii, e so patri cci scrissi ca stapia viniennu , idda chi flci ? piggiau 'na picca di dinari e 'i desi ò picciuottu e cci dissi: — ** Tieni sii dinari; vai a piggiari 'na picca di robba, e puoi vieni ccà e 'a vinni a ma patri, ca sta viniennu. 'U picciuottu 1 Prima Tho a dire a mio padre. * Di modo che anche quando (stessu) non vendiate pesce, potrete vivere. N 'e PISGIARU , 273 accussì fici: iju a piggiari 'a robba, turnau e 'a vinniii daveni ó patri d' 'a picciotta. Ghistu, comu 'u vitti, dissi: — ■" Buonu fórra stu picciuottu pi m^ figgìa..,, ,. Tutti r àutri nicuzianti ammitarru stu picciuottu a pranzu , pi virriri si cci piacia una d' 'i so' fl^i , ma iddu nun vosi a nuddu ', Ali' urtimu 'u 'mmittau 'u patri d' 'a picciotta, e cci dissi si cci piacia so fig^a e s' 'a vulia pi mug^eri. Iddu, chi 'n ni vosi àutni, ec dissi di si ". Si fidnu prestu prestu 'i bsnni, 'i capituli e tutti cosi, e si spusarru. A ura di curcàrìsi, 'u pic- ciuottu si curcau prima e fici finta ca s'addummisciu. 'A picciotta, a ura di curcàrìsi, cuomu 'u vitti ca dur- mia, dissi: — " Tale ch'ha fattu!,.. Stasira m'ha' a curcari e' 'u figgiu d' 'u pisciani !... ,. ' Puoi si curcau. 'U pic- ciuottu nun cci dissi nenti; cuomu 'a vitti ca durmia, adduniau 'u lumi, si visHu e si nni yu. 0 'nnumani 'a picciotta e so patri, cuomu 'n lu truvarru, ammurta- lierru: — ' E pirclù si mii iju senza fàjicci nenti?... , *, Lassamu ad iddi e piggiamu ò picciuottu, ca si fin- ciu mutu , e tantu fici e tantu nun fici ca 'u Re s' 'u piggiau cuomu cammarieri. 'U Re cuomu 'u vitti ac- cussì beddu, cci parsi piccatu a 'ssiri mutu, e fici jit- ' Tutu gli altri negoziane, invitorono a pranzo questo gioTane per vedere se a luì piacesse (qualcuna) della proprie Ogliuote ; ma egli BOB volle Dessuna. '-* BgU, che non t(^ altro, gli disse di al. -■ StaHra, (sta a vedete Cbe io) (baserà m'ita a coricare col figlio • Al domani, la ragazaa e suo padre, come non lo trovarono (ap- pena s'accorsero che egli non c'era), morirono (Hmasero come morti). B'perctLG se ne andò, senza &rgU ni^?... (fissero. O. PiTKB. — Fiabe e Leggewit. tS 274 FIABE E LEGGENDE tari 'nu bannu, ca cu' coi facia vèniri 'a parola, cci dava 'nu gran premiu; ma però cu' 'nta tri giorna nun cci a facia vèniri, ce era 'a pena d' 'a testa. Clci ierru tanti e tanti, ma nun cci arrinisciu a nuddu. AUur- timu 'u vitti unu ca u canuscia, e chi fici ? si niii iju 'nt' 'a figgia do mircanti e coi cuntau u fattu. 'A pie- ciotta chi fici ? si ^^stiu di ditturi, e si nni iju iifò Re e cci dissi: — " Mi fidu iu a fàricei vèniri a parola ,. Cci desimi tri giorna di tiempu. e a lassarru sula e* a picciuottu. Acciunìnzau a parràrìeci. a diricei:— ■ E clii 'n hi sai cu' sugnu iu ? Chi nun mi canusci oa su:rnu tò muggeri? , Ma 'u picciuottu nun vosi panari, né 'u primu. né *u secunnu, né *u liei"zu juornu. A nic- ciotta coi dissi: — " E cu quali «uragjiu mi puoi rari am- mazzari ora V... Parrà, pirchi nun vuoi parrari ? , Ma 'u pi;<'iuottu mv.tii. Eccu ca pi::rgiarru a idda e a par- tami à 'ullittìna. Iddìi s*aii;ii'i:iu à fmèseia. e lui-ritri ca i'Ida aoi.ianava supra la «Mlìittina. idda cci 'Ì!s>i: — " 'Xjra parrai parrai... pirli: :.i"h i' a lari animazi ìri ? Chi o.^ri di cani oa hiai I . T liiviuottu *n risiiV..si. ma qua:\:i'i vi'ti oa '-.i staunu t ; jj; i^nu 'a -està:—' F::-:na- tivil - '■ ;i dissi. Tutti t;hi«l li «M -iTiM ddà, cuomu '::::>iaii - par:*:: vi ■'• V'iov-iuo::.:. dissi:.'::---" ìJvni, beni, 'a p;\:-tva eoi fici vv:iii'! .. 'U Re coi vi^it iU:-i a sta griin ditturi *u predai 1. ma *u y-i':ÌMottu coi ••u:.:au "u laltii. e roi dissi ca ob.idda er;i i::..:..:r.a. t-d *ra so mug;reri. Puoi si vò»ta cu s'-' r:v.:-Jvr: :— " Tu m'arri ■:his'i. ma iu ti salvai *a vita -. T Re, dduoppu oa 'litisi tuttu u fattu. nn' 'i mai::. a:;: v idi: si !:ri ierru ^ oasa d*ò patri d' a y:-.s lot- ta, e oiL-v'a:*: .; i'ioi e eu:i:'.-:::i. BagHsa Lr\ .' ..> \ ' Ra:.v.:vi ìaI pr»Df. Carlo ^iii^aLi. ^•a 275 LXVI. Giustizia e' morta. Si ciinta e si racciinta ca 'na vota cc'era un sicrita- riu d'ò Re. Stu sicritariu era 'nnamuratu di 'namug- geri di pannieri, e sempri era jittatu a la putia circannu 'u mienzii cuomu putiri fari niuriri lu pannieri e spusà- risi a la niuggeri d'iddu. 'Xu vota vinni un uordini di lu Re, ca tutti chiddì unni si truvàvinu dinarifàusì avissinu a 'viri taggiata la testa. Lu sicritariu allura appi l'abtiilità di fari mintiri 'na gran quantità di dinari fàusi nnì )i cascióla d'ò pan- nieri, Vinni la Giustizia, travau stl dinari, e lu pannieri appi taggiata la testa. So muggerì canusci'u lu tradimentu, si sbinniu tutti ìi panni, si nn' iju uni lu paisi d'O Re, s'affittau 'nu pa- lazzu, e di fora 'u fici cumniiggiari tuttu di niuru, e cci fici scrivivi a littri d'oru: " Gkigtiski è morta „. Tutti chiddi ca vidièvinu sta cosa nu la capièvinu ; e iorra a cuntiiilu a ki ile, 'U Re si vistiu e iju cu li ministri a virriii sta casa. Trasìerru nni stu palazuu e na l'ur- tiiuu càinniira truvarru 'na signui'a cu /nu velu niuni nni la testa, e ciaucia. Lu Re cci spijau chi avia, e la Signura cci" cuntau ca lu sicritariu pi fari mòrriri a so maritu cci avia fattu lu tradimentu di li muniti fàusi. Altura lu Re ordìnau ca davanti a sta signura si tag- giass< la testa a lu sicritariu. E accudì fu fattu. 'U ciintu ii cuntiitQ, E mangiàmuni 'ii stufatu. Ragusa Inferiore ' 1 Riiccoila dal prof. Carlo Simiani. 276 LXVIL Lu sciurtunatu. 'Na vota ce* èrinu du' frati, unu riccu e Tàutru po- viru. Lu poviru avia tri figgi, e 'u riccu nu li putia vìrriri a nuddu. ^ 'N juornu lu poviru si nn' iju a du- mannari pi li campagni, e giungiu nni 'na campagna unni ce* era *u euratilu ca facia ricotta. — " Oh! a vui, chi giti furriannu nni sti loca ? „ — " Viegnu, eci rispusi, pi la carità: datimi armenu *na scutidduzza di ricotta „. — * 'Nea trasiti, vidiemu ». Mentri ca lu massaru cucia la ricotta, si misinu a parrari, e lu puurieddu eci di-r eia : — * lu sugnu a la limuosina e haju 'n frati tantu riccu !... „ — * E comu si clama stu frati vuòsciu ? „ — * TaU e taU „ pir esiempiu. — " Oh ! e chissu è *u pa- truni di sta cabbedda, e vui siti tantu poviru ! „— =^** Ma chi eci putimu fari ! accussì vò' Diu „ — ** lu , eci dissi *u massaru, haju *n puorcu d* ó patruni, ca mi sta muriennu ; iu vi lu dugnu e eci dieu ca muriu, e vui 'u faciti mangiari é vuòsci figgi ! „ — ** *U Signuri bi paja *a carità ! „ AUura 'u puurieddu si piggiau lu pureidduzzu, s' *u 'mmattiu davanti , e si nni turnau à casa. 'I so* figgi cuomu vittinu 'u pureidduzzu spijami a so patri cu' eci 1' avia datu, e iddu eci euntau 'u fattu; 'i figgi *un lu vòsinu ammazzari, s' 'u mmanti- nièvinu a pampineddi, e li vicini si davinu ^a testa p' 'ì mura dieiennu: — * E cu* eci *u desi stu beddu puorcu?.,. « E il ricco li odiava tutti (U fratello e i tre figli del fratello). ^ LD SCIURTUNATU 277 A cu' 'u rubbau ?... , 'Na vota parò vittinu ca 'u puor- cu avia 'a 'nzinga d' 6 frati d' fi puurieddu, e cci fi- cinu 'a spijunata '. 'U riccu lu maniiau a ciamari e cci dissi :— " A tia birbanti, tu ti nni jisti nn' 'a mia cam- pagna e m' arrubbasti 'u puorcu ; o m' 'u duni , o ti fazzu a bìrriri iu !.., ," "U puurieddu cci cuntau 'u fattu, di" acci ca 'u purciddnzzu stapia muriennu , e 'i massari cci 'u dèsinu pi limuosina; e cci dissi ancora ca 'u puorcu nun cci 'u dava. Aliura 'u frati riccu cci tràu 'na qualera '. Sta qualora fu purtata ò tribbu- nali di Palermu. 'U puurieddu, miscliinu, si misi quat- turrana 'ì pani suttp 'a 'scidda e partiu.* Aggicatu a un certu puntu, seuntrau a 'n uòmminu, ca ci avia cadutu 'a sciccaredda, e cci dissi: — " Oh! buon uomu, m' ajutati a spincilla ? » Aliura 'u patruni d' 'a scecca 'a pi^au p' 'a testa e 'u puurieddu p' 'a cuda. Ora mentri ca 'a spincièvinu , 6 puurieddu cci arrìstau 'a cuda d' 'a scecca nn' è manu. 'U patruni, cu- mu la vitti, vulia 'a scecca , ma 'u puurieddu cci ri- spusi I — ' Una e una dui; a Palermu nn' 'a vidirau „. E si misi di nuovu a caminari. Avissi fattu 'n àutru piezzu 'i via, truvau 'na 'urza cìna di dinari d'ai^enla: 'i piggiau e senza cuutalli s' 'a misi nn' 'a sacchetta. 'I vurdinari ca avièvinU piersu sti dinari, di luntanu s'ad- dunarru ca 'u puurieddu sì caiau; 'u giungierru e c;i spiarru s' avia truvatu li dinari. 'IT puurieddu cci dissi ' Fecero saperlo aeg.-etamente al padrone, cioè al fratello del povero. ' 0 l.i Tal ò veder io ! (o ti concerà io). ' Gli trasse una querela, ' Il povereDo ai mise 4 grani di pane (un pane da i grani) sotto l'ascella, e partì. 278 FIABE E LEGGENDE di si. — " Ma parò, avanti ca v' 1 dugnu, m' àt' a dari 'nu rialu „, 1 vurdinari cci nni vulièvinu dari picca dinari; iddu nni vulia eciù assai: 'nti stu mentri passarru uo- mini e dissinu ó puurieddu : — " Nun cci dati aliura 'i dinari „. Ma puoi 'i vurdinari cci dèsinu quanta vulia e 'u puurieddu cci desi 'i dinari. Finiu, e si misi sulu a caminari. Garainannu caminannu pinsava di quantu era sciur- tunatu; quantu vidi di luntanu 'nu pricipiziu, e si nni iju a gittarisi di ddà pi muriri. Aggicannu supra 'u pricipiziu si jittau ddassutta ; ma 'u diavulu vosi ca cadiennu iju a càrriri supra 'na fimmina, ca cu so ma- ritu passava di ddassutta, e 'a fimmina cadiu e muri" Lu maritu comu vitti ca 'u puurieddu arristau vivu, e so mùggeri morsi, lu 'ffirrau e cci dissi: — " Dati^^ la muggeri, osinnò a Palermu bi fazzu mintri carza- ratu „. — " 'Nga dui , e una tri „, dissi 'u* puurieddu, e partiu. Junciu a Palermu, ddà cc'era so frati 'u riccu ca cci avia jutu 'n carrozza. Si Yapiu *u tribbunali , e 'sciu \i judici. — " Dunca eh' avimu ? „ cci dissi. E 'u puurieddu accuminzau a cuntàricci 'u fattu, e prima chiddu d' ò puorcu. AUura 'u judici si vutau ò frati riccu e cci dissi: — " 'U puorcu cci 'u lassati stari; anzi cci àt' a dari mità d^ 1 vuòsci ricchizzi „, Puoi cci cuntau *u fattu d' 'a scecca, ca pi spincilla si nni vinni 'a cuda. E 'u judici urdinau ca 'a scecca s' 'a duvia piggiari 'u puurieddu pi girisinni a cavaddu. Finarmenti cci cuntau ca iju pi ammazzà- risi, si jittau di un pricipiziu, e scànciu di mòriri iddu, scuppau supra 'na fimmina; la quali muriu. 'U judici -^ LU SCIURTnNATU 279 cuomu 'ntisi st' 'àutru fattu si vulau cu 'u maritu d' 'a fimmina eh' avia munitu e cci dissi : ~~ ' Chisto v'am- mazzao la muggere; ora voi ammazzale a isso ,. — " Ma cuomu Thè 'mmazzari, signuri ? , rispusi 1' uòmminu, — ' Tu vai a mintòriti sopra li precipezio , unni era misu isso; isso sì minte onni era tò muggere; puoi tu ti "ietti di ddà sopra e ammazzi ad eddo^ „, L'uòm- minu accussilfici ; si nni iju cu lu puurieddu, ma cuomu si lassau jiri, muria iddu, e 'u puurieddu, cu la mità di li ricchizzi di so frati si nni turnau à so casa. Iddu ristau Mei e cuntenti E iiìatri ccà senza nenti !i Ragusa Inferiore '. VARUNTI E RISCONTRI Cfr. con Poverdlo, n. XXV, parte I, § I dei Omtes pop. de V Uè de Gorge dell'ORTOLi. ' Si noti la lingua italiana con lo quale il novelliere f& parlare il giudice. • Raccolta dal prof. Carlo Smiani, 280 Lxvni. Chiddu di Pova vugghiuti. 'Na vota ce' era un puvireddu , chi java addiman- nannu. Cu' cci dava un pizzuddu di pani, cu' cci dava un guranu. Jennu pi li campagni, 'nt' òn straluni vì**- 'na tavirnara, chi vinnia ova vuggliiuti. Dici:—" Mi li vuliti dari dui, curaraari ? cà, comu aggira, vi li pagu ? „ — « Gnursì, cumpari „. Stu vicchiareddu 'un cci passò cchiù pi pagàric^- Tova. La tavirnara, ca era 'n'usurarla, cuminciò a ma- chiniari 'nta la so testa : ** Io st'ova li mitti'a sutta la ciocca, e mi scuvàvanu dui puddicini. Sti puddicÌT-ì criscìanu, e mi facìanu 1' ova; e l'ova di sti puddic^'^" li mittìa sutta la ciocca; e accussì putia arricchiri. Quant'haju persu io ?... „. Pensa, pensa, e cci manna la citazioni ^ a lu vicchiareddu. Povir'omu, si misi 'n cun- fusioni, e 'un sapia a quali santu raccumannàrisi. Ga- minannu caminannu , scontra a 'nàutru vocchiu. — " Cumpari, cci dici stu vecchiu ; eh' aviti , ca siti ac- cussì siddiatu ? „ — " E ch'hé d'aviri, cci ardspuani lu puvireddu; chistu e chistu „: e cci cuntò tuttu lu pas- saggiu. Dici chiddu: — " E vui un'aviti tistimonii ? „ — " Gnimò, cumpari; 'un haju a nuddu „. — " 'Unca si lu judici v'avissi a dumannari tistimonii, diciticci: Ora veni^ cà vegnu io a fari vi di tistimoniu „. Comu va ^n tribbunali, cci cercanu li tistimonii; dici ' E gli manda la citazione pel pagamento. CHIDDU DI L OVA VUGGHrCTI 281 lu purireddu: — " Ora veni lu tistimoniu.... ,, Aspetta, aspetta, e lu tistimoniu 'un vinia. Ddoppu tantu aspit- tari, cumparisci lu vecchiu. Dici lu jadici:— " Ppuh ! mi cridia cui avia a essiri stu tistimoniu! , — ' Vossia mi havi a scusari, cci dici iu vecctiiu, ch'haju persu tempu. Appi a vùgghiri quattru favi, e l'appi a jiri a sìminarì ' campagna ,. — ' Scioecu ! cci dici lu judici. Com'è pussibbili ca li favi vi^ghiuti ponnu nàsciri 'n chian- tànnuli ! „ — ' E com'è pussibbili ca l'ova vugghiuti pon- nu fari puddicini ! „ cei arrispunni lu vecchiu. Accussì capiu lu judici la càuda chi cci dava lu vec- chiu '; cà la taWmara avia tortu, e cci la dicisi cen- tra , e 'n favuri a lu vicchiareddu. E tutti cci ficiru 'appròsit di sta bella sintenza chi detti, Terrasini ". VARIANTI E RISCONTRI. Cfr. pienamente con La storia dei tre gof (uova) di Mei nella Zoologia pop. veneta della Nardo Gibele. Il calcolo della tavernaia è Io stesso di quello del Fura- 3teri e lu trattari, in nota alla VHI delle mie Fiabe sic, D giudizio e r apologo del vecchio testimonio ha un fondo molto simile a' quello della Fama chi parva, n. VOI delle stesse mie Fiaie sic. ed a quello della Griselda, n, XV delle Sessanta Novèlle montaìesi del NEnrcci, Sui Cagtdìi in aria G.' Gozzi ha quest'aneddoto : Andò ta sciocca Villanella al mercato, e un vase aves 1 Dari la càuda, mordere con parole, * Raccontata da Loreta Zangàra. I = 282 FIABE E LEGGENDE Pien di latte sul capo; e fra suo core Noverava il danar. Ne toglica i polli, Indi un porco e, con quel, vitello e vacca Tutto a memoria; e fra se dice: « Oh, quanto Lieta vedrò balzar fra Talti-e torme Il mio vitello ! » e per letizia balza. Cade il vase, si spezza e versa il latte. i / r La Re e la flgghia. dì lu 'mircantì. 'Na vota ce' era un mircanti. Stu mircanti avia 'na fibbia fimmina, eh' era vera 'ncignusa. 'N facci di stu mircanti cci stava lu Re, e stu Re era crapicciusu assai. Un jornu stu Re manna nni lu mircanti cu l'ordini ca cci avia a mannari 'napocu di duri a pezza : pena la morti si nun cci li marinava. Poviru mircanti si misi 'n cunfusioni : — "E unni cci l' he truvari sti ciuri a pezza ! . , . „ e 'un sapia comu fari. 'Nta la cunfusioni acchiana nni so figghia , e cci dici la cosa. — 'E chi vi cunfunniti ? , cci dissi la tigghia. Ha pigghiatu un pezzu di musulinu fìuratu ', tagghìa li ciuri, li menti 'nta 'na 'nguantera, e cci li manna a lu Re. Lu Re si l'arriciviu, e cci piaceru. Ddoppu jorna cci manna arreri, cavulia un buttig- ghiuni vacanti-chinu. Si cunfusi arreri lu mircanti pi putiricci cumminari stu buttigghiuni vacanti-chinu. Chiama a so figghia e cci dici la cosa. La figghia scinni 'nta la cavallarizza '; pigghia 'na vii^a, e curaincia a cafuddari a li cavalli, quanta cci fici nèsciri 'na gran quantità di scuma dì 'mmucca. Pigghia un buttigghiunì e lu jinchi di sta scuma, e cci lu manna a lu Re. Lu ' Fiuraiu per ciuratu (ohe non è in uso) è vpoe applicata soltanto a drappi a cose simili : fiorato, a fiori. • Cavallarizza, b. f., scuderia. 284 FIABE E LEGGENDE Re 'un appi chi diri : cà lu buttigghiuni era vacanti e chinu. Vidennu chistu, cci vinni sfllu di un bicchieri di latti di 'na picciotta schetta, Putia essiri mai ? Ma iddu , lu Re , lu vulia : e lu mircanti si misi la tigna 'n cunfusioni ^ La figghia pinsau, pinsau; poi cci rispusi a li cammareri di lu Re : — " Tannu havi lu latti di 'na picciotta schetta , quannu lu Re uni 'mmita a tavula cu iddu a mia e a me patri „. Lu Re li mannò a 'mmitari a tuttidui. A tavula tutti Tàutri signuri man- ciavanu, e idda 'un mandava nenti. — " Signurina, cci dici lu Re, pirchì nun mandati ? „ — " Pirchì di zoccu vogghiu io, ccà nun cci nn^è „. — ** Gomu I 'n casa di lu Re nun cc'è di zoccu vuliti vui ?.. E chi vuliti vui?„ Io vogghiu un gaddu d'Innia di eira 'nfurnatu '.. „ — " Subbitu — ordina lu Re — chi si facissi un gaddu d'Innia di eira 'nfurnatu ! „ Lu cocu, loccu loccu, va a 'ccatta la eira , fa lu gaddu d' Innia , e lu metti ad arrustiri. Putia arreggiri mai la eira supra lu focu ? Squagghiau. Accatta Tàutra eira: la stissa cosa; accatta eira 'n'àu- tra vota: la stissa cosa ; 'nsumma fu 'mpussibbili di fari stu gaddu d'Innia. Quannu lu cocu iju nni lu Re e lu cocu cci grapiu li chianti di li manu ®; lu Re cci dissi a la picciotta: — " Gom' è pussibbili un gaddu d' Inaia di eira 'nfiirnatu? . . . „ — " E com'è pussibbili, arrispunni la flgghia di lu mircanti , un bicchieri di latti di 'na picciotta schetta ? ... » * Il mercante entrò m gran costernazione. Tigna per <• pD. « Un tacchino di cera infornato. ' Gràpiri li chianti di li manu ad unu, vale : significare ad uno di non aver fatto o di non poter fare nulla a favore di lui , essere nella impossibilità di farlo ecc; e però vale anche : mandar con Dìo. LtJ RE E LA FIGGHIA DI LU UIRCANTI 285 Lu Re si pirsuasi e capiu ca sta picciotta era 'na picciotta 'sperta, e facia pi iddu. La vosi pi mugghieri e finiu. Iddi arristaru lìlici e cuntenti, Nui semu ccà e imi munnamu li denti. Palermo *. VARIANTI E RISCONTRI U tipo della ragazza è quello de' Sìcil. Mdrchen, n. 1. ' Raccontata da Antoaina Oambìno, servetta. S86 LXX. Lu patri chi Sci tistamentu. Ce' era 'na vota un patri , eh' avia tri figghi mari- tati; granuzza nn' avia ^, e pi campari spicciu , pinsò di giusta di fari tistamentu lassannu tutti cosi, senza disparità, a sti figghi: cu pattu ca iddi V avevanu a campari. Pi li primi jorna sti figghi e U nori cci ficiru cera , pirchì li dinari eranu frischi '^; ma passannu un certu tempu cci cuminciò a stuffari ^, e cuniinciaru a dispriz- zallu . e il fàricci pruvari la fami. Poviru vecchiu, cliian- cia e 'un avia cu cu' rispitfiàrisi ^ , pirchì unni java java di li figghi, truvava la cani figgluata ". Quann'era sulu si rispitti'ava 'nta iddu dicennu: " Un patri basta pi centu figgili, e centu figgili 'un bastanu p' un paLri !... ,, Staiuai di sta sorti di vita, 'na jurnata pensa di jiri nn' òn cuinpari so pi fàiisi 'mpristari cinquant' uiizi, ca ddoppu 'na quaLimia di jonia cci ii turnav^a ^. ilo- m'appi sti dinari, si uni ijii diittu tirata 'nta la so càniuuira, si 'nchiaìju e si misi a cantari facennu scrù- sciri ddi pezza di dudici, eh' era un piacili. ■* Tre lìgli amiuogliati; qufttt'-ini (egli) ne avea. ' I quattrini gli ave vaitejfcricev Liti i)ii poco. ^ Cci. r}/,n linciò, comiuclèSl padre) 'a venir loro in fastidio. * E non aveva con chi latiìcntarsi. * Perchè in qualunque casa de' figli andasse trovava come cani morditori. — Si ricordi che cosa è la cagi^ia dopo figliata. 6 Che dopo un quattro giorni gliele avrebbe restituite (le cinquanta onze). LD PATRI CHI FIGI ■nSTAMKNTD 287 Li fl^hi e li nori a sentiri ddu scrùsciu currèni a 'tUntari darreri la porta ^ , e dicevanu 'n sutta vuci : — " Càspita li gran dinari chi havi !... , Lu patri pig- ghiava ddi dinari , li mittia 'nta lu saccu fincennu di sarvallu, poi lu piggiiiava arreri, fincennu eh' era 'n àutra saccu, lu sdivacava, e cantava. Quannu cci parsi a iddu: 'nciiiuìju la càscia e nisciu. Lu 'nnumani lu stissu magisteriu. Lu ddoppudumani arreri. 'Nsumma pi quattro joma 'un fici àutru chi cuntari , assummari e sarvari : tantu ca li fi^hi e li nori eranu alluccuti. A li quattru joma , stu vecchiu cci iju a purtari li cinquant'unzi a lu cumpari. , Ddoppu stu tattu, 'un si pò diri li tinnirizzi di li fig- ghi e di li nori pi stu patri: Nunim ccA, nunnu ddà... ' Cu' lu vistia, cu' lu pittinava , cu' cci cucia lu man- ciari, cu' cci cunzava la tavula; e iddu cuntintuni di sta cosa. La eàscia la tinia 'nchiusa, e tutti sapevanu ca dintra ce' eranu li belli pezza di dudici , e la guia cci facia nnicelii nnicchi di vintiariccilli °. Ma lu patri 'un niscia ecliiii di la casa. Un jornu vidennu ca tutti abbraniiivanu pi sta càscia, si li chiama a tutti e cci dici : — " Fig'^lii mei, io 'un haju àutru chi a vuàtri : quannu moni, zoecu cc'è 'nta sta càscia vi lu spartiti aguali porzioni senza sciarri. E Ddiu vi binidiea !... „ A chistu, ecliiù di celiiìi li flgghi e li nori si 'nfirvu- ' A seutii-c quel suono (di monete d'argonW. e arsero ad origliare i^'etro la porta. ' Nunn'4, secondo il popolino che va all'antica, padre. > E nveano una gran voglia di portarglieli via (i perni da dodi'-i tari, i quattiini). .■> •i ■1 288 FIABE E LEGGENDE raru a fàricci càrizzii e attinzioni; e lu vecchiù 'nta iddu dicia : — ** Si, minchiuna; quannu moru viditi... „ . P'accuraari, stu vecchia cadiu malatu e muriu. Mancu avia arrifriddatu , ca li figghi si jiccaru , comu gaddu a pastu, supra lu càscia e la scassaru ^ Gràpinu e trovanu 'na tuvagghia ; levanu sta tuvagghla e nni trovanu 'n' àutra; levanu e nni trovanu 'n' àutra, tri- mannu tutti pi la cuntintizza. A la terza, chi trovanu ? 'napocu di ciachi 'na mazza e *na scrissioni chi dicia : Cu* pi figghi e pi nori s'ammazza Coi sia datu 'n testa cu sta mazza! *. Palermo *. VARIANTI E RISCONTRI. Una versione letteraria raccolta dalla bocca del popolo ne ha ilCASALiccmo, L'utile cól dólce, dee. IV, arg. III: Che setto- pre Vamore interessato de' figli verso il padre ; un' altra del Napoletano il Sobima, Cento Racconti per divertire gli amici nelle ore oziose, n. CX, p. 188 (Napoli, Chiurazzi). * Nq^pure il cadavere s'era rafi^eddato , che i figli si buttarono, come il gallo sulla intrìsa, sulla cassa, e la scassinarono. * Prov. comunissimo, che ha ima variante nei miei Proterbi sic. V. H, p. 203. ^t > Raccontata da Agatuzza Messia. LXXI. Cumpari Cricchi e Cumpari Cruoccu. Cumpari Cricchi dissi a eumpari Cruoccu: — ' Coi jimu à fera? , Cumpari Cricchi pìggia un saccu e lu jinciu di capiiccia ' , e cumpari Cruoccu jinciu lu saccu di lippu di mari ', ch'avia a vìnniri pi sita, e 'i capuccia di cumpari Cricchi avièunu a passari pi marruccliìna. Arrivannu unni parsi ad iddi, dici cumpari Cricchi a cumpari Gnioccu: — " Cumpari, lu vulirau fari 'n nicuò- ziu, ca nni canciamu la robba ? , — ' 'Nga, dici cumpari Cruoccu, canciamu „; e canciarru. Arrivarru à fera e nun puòttinu fari nenti tuttidui, e tumarru. Ora, sic- cuomu cumpari Cruoccu avia 'n %giu ca si clamava Manicu-di-sascu, e cumpari Cricchi avia 'na fìg^a, dis- sinu:— ^ A chi nun puòttimu fari nicuòjiu à fera, vu- limu fari 'i nuòsci fìf^i ziti ? , * Arrivami Ò paisi e fi- nierm 'u zitatu '. Eccu ca partiu Manicu-di-sascu e si nnì jju a vinu " e 'nta du' carratedda ccì misi acqua e dui li lassau vacanti. Arrivau 'nt' 'a dispensa e si jinciu 'i dui va- ' Jinciu , riempì il «acco di cappucd. — Capuccia, e. m. pi. di eapucciu, cappuccio. * Lippti di mari, lichene m&ilDO. * A ehi, poiché noD potemmo bre (nesaim) oegozio &lla Aera, vo- ■ gUamo Tare sposi i noatrì figli? ' E finiernt ecc., e conclusero il matrimonio. ° E se ne andò a (comprar) vino. 0, PiTRÈ. — Fiabe e Leggemie. 19 f a 990 FUBE E LEGGENDE canti *. A ura d' ó pattu cci parsi cara e dissi: — * Ccà: cà v'abbuccu 1 carratedda ca avia inciutu ,". Ma scàn- ciu di piggiari chiddì e' 'u vinu, piggiau chiddi cu l'ac- qua, e cci abbuccau V acqua, e si purtau lu vinu. — ì * Ora cci manca lu pani ! „ *. Si pìggia 'na vièstìa e si nni va a piggiari lu pani 'nti *na picca di panittierì^ e si fici fari pani di tutti. Cuomu fu fattu, s' 'u piggiau e \\ carricau à vièstia. 'I panittieri cci dissinu: — * Ora cu' è ca nn'ha a pajari ? „ — * Viniti cu mia, dissi Mani- ' cu-di-sascu, ca 'b' 'u fazzu pagari ^, e s' 1 purtau 'nti ! 'na crièsia, e truvarru 'nu cunfissuri assittatu. — " A- I spittati ca cci 'u dicu ca vi paja „. S'accustau ó parrinu e cci dissi: — * Signuri, viditi ca cci sunu 'na picca di fuoddi ca cci sfirrau ca sì vuonnu cunfissari „. 'U par- rinu cci fici 'nzinga , e Manicu-di-sascu si nn' iju , e tutti 'i panittieri arrimasira. Quannu finiu 'u cunfis- suri, mi ciamau unu, e cci dissi: — ** Va, cunfissativi „. Rispunni stu panittieri: — ** Signuri, si n' àti a pajari 'u pani ... Dici: — *' Quali pani? in nu nni sàcciu nenti ,. — " Cuomu, signuri ! nu nni sapiti nenti ? Chiddu ca si nni iju chi vi dissi? .. — ** Mi dissi ca vi vulièvuvu cun- fissari ^. — ** Xonsignuri, ^'uliemu essiri pajatu 'u pani „. Lu parrinu piersi a pacienzia: — " Giustu dissi ca èruvu fuoddi , e si nni iju. ' Arrivau eoo. Giunse alla dìspciis;ì Cai magazzino dove avea a cario irò vino), e si riempì i due (c;ì rateili) vuoti. * A Ufi. quando fu l'ora del i»atto (di stabilire il tanto e il quan- to i*c\ iviiramento, il prezzo) gli parve oaro, e disse: (Prendete) qui: che ^•i riverso c=abbHrcHj il caratello che avevo riempito. ^ Queste parole le dice Manicu-di-sascu. L ■«" E CCMPAHI CRUOCCn 291 Manicu-di-sascu cuomu lassau 'u pani dici: — " Ora cci vò' 'a carni „ , e si parti'u pi jiri a pi^alla , e si nni iju 'nti 'na costa iàuta iàuta, e si misi a diri: — ' Oh chi viju, oh rhi viju ! , e stetti 'un jùornu sempri di- ciennu: " oh chi viju ! , Arrivata la sira, cc'era 'n vid- danu ca lavorava, e sì nni iju a vìrriri chi era ca vi- dia chiddu supra la costa. Arrivatu, cci dissi: — " 'Nga chi è ca vidi ? ' ca havi 'n journu ca nun prièdichi àutru ? „ — " Cuomu ! chi viju ?... Viju ca aviti lavuratu cu 'na vacca sula ^. Si vota lu viddanu e vitti ca 'mmieci di du' vacchi cci nn' era una , pirchì 1' àutra si l'avia piggiatu lu patri di Manicu-di-sascu, giustu cuomu a- vìunu cumminatu. Arrivati a casa Manicu-di-sascu e so patri , cu lu vinu, lu pani e la vacca, ficinu lu zitatu. 'U cuntu è cuntatu, Maccarruna e' 'u stufata. Ragusa Inferiore '. VARIANTI E RISCONTRI. Sono proverbiali in Sicilia Cricchi, Croccu e Manicurdi- eiascii , tre nomi che si citano a proposito di persone tristi, legate a filo doppio. La frase 6 anche citata in vari sensi e per varie occasioni. l due temi dei quali si compone questa novella: lo scambio del vino, cioè, e l'invito al confessore, corrono divisi e uniti ad 1 Dunque: che è clie vedi? (ebbene: che coia. vedi tu?), 'N^a per 'nca, 'ca, dunca, adunque, ' Raccolta dal prof. Carlo Simiani. 292 FIABE E LEGGENDE altri temi. D primo Tabbìamo ne L'uòmminu curiusu (L'uomo curioso), nov. medita di Ragusa; il secondo si riscontra nella novellina di Borgetto col titolo Lu PUralisi, nelle mie Fiabe sic, n. CLin, ove st)no de' riscontri , ai quali bisogna aggiun- gere: Vacalerio (G. Sagredo), L'Arcadia in Brenta, p. 165. In Bologna, MDCXCm. EtÈ£SSB^^ . ~- / Fìrrazzanti e li latri. Si cunta un fattu dì Firrazzanu, chi appi 'na manera tutta nova di nun farisi arrubbari di li latri. 'Na sira, ntra ^ mentri s'arricugghia, Firrazzanu s'adduna ca la porta di ta so casa era aperta, e trasianu e niscìanu 'napocu di pirsuni. Vulènnusi vìdiri la vista , si misi darreri 'na cantunera e stetti ddà 'nsina ca li pirsuni chi avia vistu si carricaru 'napocu di robba 'n coddu e nni li vitti jiri. A stu punta Firrazzanu curriu e trasiu 'nta la so casa, e la truvau ca si cci putia ti- rari a la scherma, pirchì nun cci avianu lassatu mancu 'na se^a. Sulu s' addunau ca 'ntra 'na gnuni cci a- vianu lassatu un pagghiuneddu tuttu arripizzatu; e ehi pinsau di fari ? si carricau lu pagghiuneddu e si misi a curriri appressu a li latri senza diricci mancu mensa parola. Li latri , comu arrivaru unni avianu ad ani- vari, unu appressu a l'àutru, traseru dintra, e Firraz- zanu appressu cu lu pagghiuneddu 'n coddu. Vassia si figura comu arristaru U latri quannu si vittiru a Fir- razzanu pri davanti ! Si taliavanu 'ntra iddi , ma nun sapianu chiddu chi avianu a diri. Altura Firrazzanu, fa- cennu vìdiri ca nun s'addunava di nudda cosa, pusau lu p^ghiuneddu, supra l'àutra robba, e sì vutau e cci dissi: — " Signuri mei, avennu trasutu 'ntra la me ca^j, e avennu vistu ca v'aviavu scurdatu stu pagghiuneddu, haju 'ntisu fari lu me duviri di purtarivillu ,. 9M FIABE E LEGGENDE Ma 'na pinsata megghiu di chista nun la putia fari nuddu; pirchì li latri, vidennu chi avianu statu canu- sciuti, nun sulu ca cci turnaru la robba a la so casa, pigghiannucci la scusa ca cci vulianu fari 'na trizziata, ma sparti si lu purtaru a la taverna, e cci ficiru fari 'na tayulidda comu cumanna la liggi \ Palermo '. VARIANTI E RISCONTRI. Questa stessa storiella si racconta in Toscana in perdona del Piovano Arlotto. Vedi Burlette, frizzi e buffonate del Pio- vano Arlotto, del Faoiuou e del Mani, p. 24: / ladri. Una ver» sione fiorentina è nelle mie Novelle toscane, n. LXXIV : U Fagiuoli e i ladri. * E gli fecero uno spuntino a modo. • Raccontata da M. Filippo. Vedi U Amico del popolo, an. XVUI, n. 82. Palermo, 26 marzo 1877. 'U Re d' 'i dùdicì cìncatì ' 'Na vota cc'era 'nu Re, ch'avia 'na ^gia, ca 'un ar- ridia mai. Slu Re desi 'nu bannu ca cu' facia arrìdiri a so Eì^a, cci 'a dava pi muggeri. Gei ìerni tanti mar- chisi, baruna , principi, e nuddu 'a putìa fari arrìdiri. Ora tutti chiddi ca nun la facièunu arrìdiri, 'u Re 'i facia spuggiari, e cci facia dari dudicì cincati. 'Na vota cci ijti unu, e chistu cummattiu quantu cum- mattiu , e nun cci potti arrinèsciri a falla aEridirì. A ura ca cci avièunu a dari 'i cincati, chi fìci ? senza fà- rini addunari a nuddu si nn'iju, e 'ncuntrau a 'n cum- pari so, e cci dissi: — " Cumpari, b' 'i vinnu dudici cin- chi ? , — " Pirehi no ? , cci dissi so cumpari. Cummi- nierru siei pezzi , e ce' '1 desi, e' 'u pattu ca si 1' avia a pìggìan nn'ò Re. 'U cumpari si nni va nn' 'u Re, e cci dici: — " Maistà, datimi 'i dùdici cinchi di ma cumpari „.''U ficiru trà- siri, 'u ficiru spi^giari e puoi cci dèsìnu dudici cuorpi di cinca. Chiddu, tuttu spavintatu, cci dissi: — * E plrchi mi stati daimu sti cuorpi P lu vuoggiu 'i dudici cinchi ca ma cumpari mi vinniu slei pezzi , e cci desi 'i di- nari ,. Ghiddì cci spijarru , e cuomu 'ntìsinu ca era chiddu ca si nn'avia jutu senza dàricci 'i dudici cuorpi di cinca, si misinu a ridiri. Guntarru sta cosa à fi^ia d'ò Re, e chista si misi a ridiri. Ciamarru a chiddu ca < CinaUa, cingtaatA, ifenata. S più sotto cinca, cinghia. 'J 296 FIABE E LEGGENDE s'avia vinnutu *i dudici cincati e cci dèsinu 'a figgia d'ó Re pi muggeri. Ragusa Inferiore ^. VARIANTI E RISCONTRI. Richiama alla capestreria di FirrazzanUj n. GLVI, § 10: Lù centu Ugnati delle mie Fiabe sic. Il tema di una principessa che non ride e che si cerca di far ridere, è comunissimo nelle novelle; ma lo stratagemma del nostro furbo non suol essere Tespediente dell'ultimo for- tunato giovane che tenti l'impresa. ^ * Raccolta dal D.' Raffaele Solarino. Lu scravagrgrhiu. Gc' era 'na vota un parrinu, eh' aveva du' camma- reri: unu màscuìu e una flmmina. Stu parrinu era sfir- riusu granili ' , e 1Ì cammareri 'un cci putiaiiu cum- mattiri. Un jornu si vota la camtnarera e cci dici a lu criatu ; — "Cu stu patruni 'un si cci pò arr^giri, Go- mu vi parirria si pigghiamu un scravaggtiiu e cci lu 'nfilamu 'nta lu lettu? ' Accussì lu scravagghiu si cci 'nfila 'nta l'eccetra, ' e pò essiri ca nni cuitamu ,. — " Bella ! bella! „ dici lu criatu. Eccu ca !u parrinu la sira si iju a curcari: lu scravaggliiu fìrria, sfirria, si cci va à 'nfìla 'nta lu pirtusu. A lu 'nnumanì si senti granciu- liari la panza, poviru parrinu. Dici : — " E chi voi' es- siri ?... Ah ca sugnu gràvitu !... gràvitu, gràvitu sugnu!.., E si eritti gràvitu. 'Na jurnata passa e passa di 'na pinitenti sua. — * Dicitimi, cummaruzza: aviti abburtutu mai ? „ — " Sis- sigTiura, patruzzu mio: 'na vota „. — " E cu chi ? „ cci spijau lu parrinu. — " Cu 'na cassata , *. Lu parrinu, < Questo prate era grandemente fastidioso. • Come vi (che ve ne) parrebbe se pigliassir glielo mettesaimo entro il letto? ' 'Nla l'eccetra, nel deretano. ' Notisi che il prete crodendoai indnto e desiderando a"" Ttirsi, chiede ad una sua penitente come e percbè si Tosse ella abortita una volta. — Questo richiama al Tatto dei desideri e delle voglie delle donne gravide; di che vedi nel v. II dei miei Usi e Costumi, p. 11!^ scarafaggio e 298 FIABE E LEGGENDE mischinu, va a la casa; chiama a lu criatu, (mittemu ca si chiamava Peppi) : — " Peppi, te' ccà dudici tari; va pigghiamì 'na cassata „^ Peppi 'nt' ón dittu e un fatta cci ha purtatu dda cassata. — " Peppi , dici lu parrinu, manciatilla cu Vanna « (cà lu parrinu vulia ad- disirtari '). Lu criatu 'un vulia; ma all'urtimu, iddu a diri no, e lu parrinu a diri sì, si Pappi a manciari. Poviru parrinu avia li pàsimì ; lu stomacu cci java 'ngrussannu, e d'abburtiri 'un si nni parrava. 'Na jur- nata va nni 'n' àutra pinitenti sua : — ** Cummaruzza, aviti abburtutu mai?» — " Sissignura, patri, 'na vota ,. — *E cu chi?„ — * *Na vota cadivi di la scala, e mancu passò un' ura ca jittavi zocca avia ' „. Va a la casa, lu parrinu: — " Peppi, Vanna, viniti ccà (era nna lu scaccheri) ; datimi un càuciu e 'n ammuttuni pi quantu mi vaju a tegnu a li pedi di la scala K „ — ** So Rivi- renza chi dici ! (arrispunninu iddi). Sta cosa nuàtri 'un la facemu né ora né mai „. E " si, ca l' aviti a fari »; e " no, ca nun la vulemu fari »; poviri criati, àppiru a fari lu setti a forza ^ : Peppi jetta e' im càuciu; Vanna cu 'n ammuttuni: cci ficiru cuntari tutti li scaluna. — * La cassata è un dolce palermitano solito mangiarsi per le feste pasquali. * (Perchè il prete volea abortirsi) (spirandosi dal desiderio insod'?; a£Bktto di mangiare quella cassata). ' Jittavi^ gettai ciò che avea (dentro Tutero; cioè, mi abortii). * Piddu^ Giuseppe, Giovanna, venite qui: (era egli nel pianerottolo) (fttjiM scala): datemi un calcio ed uno spintone, tanto che io vada a Indurmi (precipitando) a* piedi della scala. ■ Ebbero a fare la cosa per forza, — ^Pare che la frase Fari lu setti # forza sia preso da un, giuoco di cartj9. LD SCRATAGGHIU 299 ' Ahi ! moru ! chi dulurì ! , figurànnusi ca abburtia '. Currìna li cammareri, lu spincina e lu portami supra lu letta. Sta du' jorna curcatu; ma 'un curaparsi nenti. A li du' jorna si susi, e va nni 'n' àutra plnitenti sua: — " Gummaruzza, aviti abburtutu mai ? „— " Sissignu- ra : 'na vota ,. — " E cu chi ? , — " Cu tri rnizi di sali 'ngrisi „. Va a la casa e si fa aecattari menzu ròtulu di sali 'ngrisi ; pigghia ddu sali 'ngrisi e si lu scàrrica 'ntra lu stomaca vivèonueci la graan' acqua di supra. A lu capu di du' uri cci scattia un gran duluri di sto- maca ca paria ca raureva. Nta lu raegghiu cci veni di fari '; s'assetta supra la silletta e ddoca si stava jittannu li vudedda. Quannu si susiu, va pi taliari la silletta e vidi 'na cosa niura; votasi e dici : — " Ah flgghìu miu, eu lu rubbunedda ti liei l Quant' baju patutu pi tia ! , Currinu li camrnareri : — " So Rivirenza eh' havi cosa? , — " 'Un 'u viditi ca tigghiavi e fici un picciriddu ma- càri cu lu rubbuneddu ? , — " Ma So Rivirenza chi di- ci ?... Ghistu è scrava^hia ! , — ' Chi scravagghiu e scravagghiu !... , Ma avògghia di diri ch'era scrava^hiu. Lu parrinu arristò pirsuasu ca avia fatta un picciriddu cu lu rub- buneddu; e criju ca ancora cci cridi. Terraaini ', VARIANTI E RISCONTRI. Una versione è nelle mie NovelU toscane, n. LXV: Il Prete pregno. * Cosi gridava il prete, penruuo che foMe li lì per aborUrai. » Nel meglio (a certo punto) gli viene di Hoaricare il ventre. * Raccontata Av Loreta Zi ngàra. 300 LXXV. 'I Cucuzzi. 'Na vota cc'era 'un nicuzianti, ch'avia 'nu figgiu. 'U patri era 'spertu, e 'u figgiu era babbu. 'N juornu 'u patri desi cenVunzi a stu figgiu, e cci dissi: — " Tieni» ti dugnu cient'unzi, va a tali paisi a cumprari 'nzoccu cridi, pi nicuòziu ». Chistu parti, cu 'a 'ntinzioni di cum- prari quattru testi di vistiami picciuli. Mentri era 'n viaggiu, camjna, camina, cci attuppau 'na sciumara e vitti ca ce' erunu 'n munzieddu di cucuzzi ; ciamau 6 sciumararu ^ e cci dissi: — ** M' 1 vinniti quattru di chì- sti, ca vi dugnu cient' unzi ? » pirchì cci paria ca 'n ogni cucuzza cc'era 'n vitidduzzu. 'U sciumararu cuomu un- tisi cient'unzi, attintau, e cci rispusi: — " 'Nga pirchì no ! „ Arriva chiddu, cci duna 1 dinari, pìggia 'i cucuzzi e s' 'i porta supra 'na muntagna , 'i posa , e tantìccia si stapia alluntanannu ^. 'Nta stu mentri passau di dda muntagna 'n cacciaturi ca sparava aciedda, tira a dui ca èrunu ó cantu d' 'i cucuzzi, ma scànciu di còggiri é aciedda, cuggiu e cucuzzi ; chisti cuomu iàppunu a botta d' ò ciummu, 'utarru, e si mìsinu a ruzzulari, e scattiarru ddassutta *nt' *a cava *. 'U figgiu d' ò nicu- * Sciumara per ciumara, fiumara. * E si stava un po' allontanando. * Ma scànciu, ma in cambio di cogliere (colpire) gli uccelli, colse le zucche. Queste, com'ebbero il colpo del piombo , voltarono , e si misero a rotolare (giù per la montagna), e piombarono là sotto nella cava. 'i cucuzzi 301 ziantì s' adduna di stu fattu , e accumenza a pinsari : " Cuorau ! iu cci spisi cient'unzi, e l'appi a perdiri ! Ma ora vaju nn' ò sciumararu, e mi nni piggiu quattru am- mucciuiii ,; e accumenza a calari; e mentri parrava tra d'iddu ': — " Ora 'i piggiu di chiddi d'Ò sciumararu... si- curu.... m' 'i piggiu,,.. ,; e stu discursu Iu facia a vuci fuorti. 'TI sciumararu era jintra, e 'ntisi a chistu ca fa- cia sta sorti di discursu, e dissi: — " Aspetta, ca t' 'i du- gnu buoni 'i cucuzzi ! , Piggia 'a sculetta, e aciddu a- ciddu nescì 'n ciana; cci lira 'na scupittata e 'u 'mmaz- zau. Guomu appuoi 'u vitti muortu, amminnaiiu, e pin- sau : " E ora cuomu fazzu ?.., „ Puoi pinsau; e chi ficì? s' 'u carricau 'n cuoddu e di notti va darrieri 'na pa- nittera , tuppulia e senza fàricci ■vìrriri ddu muortu, cuomu cci grapierru cci dissi ca vulia 'na vastedda di pani, 'A panittera toma ddà jintra, pi piggiariccillu; mentri, stu sciumararu situau 'u muortu à'ddritta da- vanzi 'a porta e si nni curriu. 'A panittera toma e' 'u pani, cci 'u proj a chiddu, ca stennì 'i manu: — ' Ti- niti ,; e ehìddu, sìlenziu. All'urtimu 'a panittera s'ad- duna ca avia 'n muortu pi davanti; si spirdau, ma puru, s' 'u càrnea e va 'nt' 'a crièsia. Ddà cc'era 'u saristanu e cci dissi: -" Sunati *n' angunia ,. 'U saristanu 'ntisi accussì e si nn'acciana nn' ò campanaru *•, comu stapia accuminzannu a sunari pinsau, quasi dici: * Di cu' ha 'ssiri st' angunia: dì fimmina o di uòmminu? *, Scinni e ' E mentri, e frattanto parlava tra sé e gè. < Se ne sale sul campanile. ' Di cu\ per ohi dev'essere {sonata) quest'agonia: per donna o per § 9 I ' iì 302 FIABE E LEGGENDE va a spìjari a chidda ca cci avia dittu di sunari. Ma 'a panittera sì nn' avia jutu è quattru e cinca \ e avia lassata 'u muortu appujatu a porta. 'U saristanu comu arrivau nn'ò muortu cci spijau, dici:—" Di chi Phaju a sunari: di fimmina o di uòmminu ?» E chiddu nun cci rispusi; cci spijau 'n'àutri du' voti, e nenti; alPurtimu, quannu s'addunau ca era 'nu muortu, si cunfunniu: — " E ora cuomu fazzu !... „ Pensa, pensa... e 'u vistiu di parrinu ; puoi 'u 'ssittau 'nta 'nu cunfissiunàriu. O 'nnumani matinu s'arricuggièunu 'i parrini -; vienu 1 cunfissura ca avièunu a cunfissari 'nta ddu cunfissiu- nàriu , vìttinu ca ce' era unu assittatu e aspittàunu. Aspetta, aspetta, ali' urtimu si cci 'utarru: — ** 'Nga su- sìtivi ! „ e chiddu, nenti. Sìcutarru, e chiddu, nenti; al- Turtimu cauriarru, e accuiainzarru a 'bbiàricci 'nzoccu avièunu vicinu ^. Jamu ca ddu parrinu nun si cutuliava. \ Quannu s' addunarru ca era muortu , dici: — "E ora cuomu si fa V Piensu ca si sintia tintu,vinni ccà e morsi„. Ali' urtimu piggiarru 'nu cavaddu l'ìiusu d'unu d'iddi; cci aLt.i::c.ii*L'Li 'a sc'apotli 'iiL* ò ni i;iu d' ù maorcu, e puoi ó stissu muortu 'u prisaggiarra 'nt'ò varduni d' 'a viòstia ^ caccinrru 'a vièstia 'nti 'na campagna. 'A viè- stia si misi c-imina camina; arrivata a 'nu cicrtu puiitu ' So ifera sceso subito e precipitosamente. • Vuol 'il 'sùttau , poi lo sedette (il morto) al confessionale. Al domani mattino, rientravano (in chiesa) 'i preti. 5 Sicutfrrru , seguitarono, e quello, niente (innnobile) ; airultlmo, si riscaldarono, e cominciarono a tirargli quel che aveano vicino. * Lo legai'ono al basto del cavallo. — Prisaggiaìi, non ha questo significato nel dialetto ; anzi gU stessi vocabolaii non lo registrano in nessun modo. .y 'i CDCuzzi 303 cc'era 'nu picuram, e siccuomu 'u muortu avia attac- cata 'a scopetta di manera ca 'a portava 'n facci 'u picuram, chiddu dissi: — " Nni mia veni; a mia v6' spa- rari.... Aspetta, ca iu prima ammazza a tia, peddi pi peddi!... „ Afferra 'n timpuni e cci 'u coggi nn' 'a lesta, , ca 'u muortu, accusai attaccatu cuorau era,abbannunau '. Lu picuram dissi: — " Bih ! 'u 'mmazzai davem !... E ora l'haju a 'mmucciari, osannò, povtra 'i mia ! „ 'Mmanu ammanu fa 'n fuossu, cci.'u 'bbiau,' puoi 'u vurricau; ò cavaddu cci desi 'n amminazzuni e nn' 'u fìci jiri '. 'U figgili d'ò nicuzianti morsi ammazzatu, e so pa- tri ancora l'aspetta cu 'i cient'unzi di capitali. Ragusa Inferiore '. VARIANTI E RISCONTRI Cfr. con Fra Ghinìparu, n. CLXV delle mie Habe; con Lu harzone de lu mtdenère delle NoceUe abruzzesi del Finamore, n. IX; con 11 tnorio a cavedio del Batacchi. ' Afferra una grossa pietra e gliela scaglia solla testa (così forte- mento) che il morto, cosi legato com'era, rovesciò, ' E ora, e adesso devo nascoiiJei'lo (quest'uomo ch'io ho ucciso), altrimenti povero di me! — Subito scava un tosso, ve lo getta den- tro, poi lo seppellì; al cavallo diede imo spintona e Io Teee andar via. ' Raccolta dal prof. Carlo Simiani. 304 LXXVI. Don Libranti e Donna Miluni ^ *Na vota ce' era 'nu maritu e 'na miiggeri, ca si eia màvanu Don Libranti e Donna Miluni. 'N juornu Donnj Miluni avia a macinari un saccu e nun avia a cu' ce mannari *; e 'u dissi a Don Libranti: — " Don Libranti, cci jiti ò mulinu a macinari 'u saccu ? pirchì nun haju a cui mannàricci „. — " 'Nga pirchi no ? „ dici Don Li- branti. — " Ma viditi ca prima d'abbiallu vuòggiu vìr- riri comu veni 'a farina ' ». — " Nun cci pinsati , ca v' 'a mannu o v' 'a puortu 'n pugnu * „. Allura Donna Miluni cci desi 'u saccu, e chiddu si nni iju ó mulinu. Comu 'u jittau e nisciu 'a prima farina, nni piggia 'n pugnu e dissi ò mulinaru : — ** Aspittati quantu 'a mmùsciu a ma muggeri "^ „. Siccuomu 'u milinaru ca- piu ca chistu era 'n piezzu d' ofu ®, cci dissi : — ** Chi bisognu ce' è d' arrancàricci vui ? Jittàtila ó vientu, e idda cci va ^ „. E *ccussì Sci Don Libranti. 1 D. liberante e Donna Mellone. * Un giorno Donna Miluni avea a macinare un sacco (di frumento] e non avea chi mandarvi (al mulino). ' Ma badate che prima di avviarlo (mandarlo), voglio vedere come venga (buona) la farina. * Non ci pensate, che ve la manderò o ve la porterò un pugno (d tkrina). ' Aspettate che io la mostri (questa farina) a mia moglie. * '-y piezzu (Tofu^ un mincliione, uno sciocco. ^ Che bisogno v*è egli d*andarci voi (da vostra moglie a farle ve- dere che tanna è quella del grano molito)? Buttatela al vento, ed essa (la fìirina) ci va (andi'à) da sé. DON UBRANTI E DONNA IdlLUNI 305 Comu fu tuttu macìuatu, Don Libranti si càrrica 'u sacca, e s' 'u porta à casa. Vidènnulu , Donna Mituni cci dissi :— ' Cuorau ! nun v'arrigurdai àutm ca vulia virriri 'a farina ' „. — ' E iu 'un v' 'a mannai e' 'a vien- tu ? Chi nun v' arrivau ? , — " Va, ca siti 'n piezzu di bajoccu lisciu: e sintiti, burrittu ': su 'n' àutra vota faciti 'na ci^giuniata di chisti , vi mannu fora d' 'a casa ,. O 'nnuniani 'u raannau a cumprarì 'napuoeu di sau- sizza ; 'a cumprau e s' 'a misi pi bastunì. Arrivata a casa, 'a pusau supra 'na cera *, e puoi dissi: — " Ora veni Donna Miluni e voli manciari ; mieggiu ca fazzu ca cci pì^iu 'napuoeu di vinu ,, Mentri ca mìttia 'u vinu, trasi un cani, e si pi^a 'a sausizza. Lassa per- dili 'a vutti e si misi a'ssicutari 6 cani; ma nun lu potti piggiari e si nni turnau à casa a truvari 'u vinu .casa casa. — " Vih ! ora su veni Donna Miluni si nìchia a virriri sta vagnatina, Mieggiu cci saliu 'a farina * ,. Cuomu s'arricu^iu Donna Miluni e truvau stu fracassa. nn' 'u raannau d' 'a casa, e 'u poviru di Don Libranti si nni iju fora d' 'u paisi, e si curcau 'nti 'na ciusa *. 'A notti, cu' fu de' buoni cci t^giau 'a varva, e 'a mati- ' Come! non Ti disa'Lo che volea vedere (prima) la farina! ' Va, andate, che siete un pezzo di baiocco liscio (qui; uno scioccone): e sentite, ridicolaccio: se fsiij un'altra,vol£a&t«una coglionata di que- ste, io vi manderò Aiori di caaa. » Cera, sedia. * Ahimè! ^i>ik!j adesso se Donna Miluni viene, s'inquieta a vedere questo bagnato ((tadicio). Meglio che io vi sparga della farina sopra. * E si coricò in una chiusa. PiTRÈ — Fiabg e Legende. 20 i ) I 1 ■I I / ■ 306 FIABE E LEGGENDE na cuomu si arriviggiau, vitti ^ ca cci mancava 'a varva. e dissi : — " Sugnu o nun sugnu Don Libranti ?... Ma a mia mi pari ca assira era Don Libranti 'n carni e 'n ossa ; ma pirchì nun haju 'a varva, nun sugnu Don Libranti cciù. Gaspitina! assira era Don Libranti, e stamatina 'un sugnu cciù iddu.... Eppuru iu mi sientu essiri Don Libranti... vidimu: facimu 'na prova: jimu nni Donna Miluni: su m' arricivi, vò' diri ca sugnu iu; .su mi nni manna, signu ca nun sugnu iu „. Accussì fici. Donna Miluni cuomu 'u vitti, si fici 'na scatasciata d^ arrisu *; ma puoi cci fici cumpassioni e 'u fici tràsiri jintra, e pri castiju 'u calau 'nt' 'a 'stema *, e cci lassau 'a sula testa fora l'acqua; e cci dissi : — " 'I faciti cciù sti cosi * ? , — * Gnarnò, nun li fazzu cciù; ma 'sciti- mi fora, pri carità, osannò fazzu 'a morti d' 'u purci , * .1 Ragusa Inferiore •. * Alla f^dJ notte, non si sa chi fti, gli tagliò la barba, e la mattina tome si svegliò, vide. * Si fece una sollennissima risata. » *U fici tràsiri, lo fece entrare in casa, e per castigo io calò gitì nella cisterna. * IjC fate più queste cose? * Gnomo, non lo fo (farò) più ; ma uscitemi fuori per carità, al- trimenti fo la morte della pulce (muoio annegato). « Raccolta dal Bj Raffaele Solarino. La TÌddanedda maritata. 'Na vota ce' era 'na viddanedda. Sta viddanedda di nica nica guardava li gaddurinnia; quannu fu granai sì maritò , ma 'un sapia fari li cosi di lu cucina. La maritu ccì dissi : — ' Quannu vugghi la pignata , cci cali la pasta, cci metti lu salì, e cci ciùsci. Com'è cotta, la sculi 'nta lu sculapasta, e la 'mplatti, ^ „ La picciotta accussi fici. Quannu la misi 'nta lu sculapasta, e vitti nèsciri tutta l'acqua di li pirtusa, si misi a gridari : — ' Gesù ! chi foca granni ! Di tutti banni spanni! Comu sugnu cunfusa! Comu l'attuppu tanti pirtusa t , Palermo ". ' Quanmi vugghi, quando la pentola bolie, versavi la pasta, get- tavi del sale, e soffia (sul Aioco). Appena cotta, còlala nello scotitoio, la scodelli. ' Raccontata da Agatuzza Meaaia. 308 LXXVIII. Ciaramuntanu, cciùl... \ Era tempo di vendemmia, e c'era un chiaro di luna, che rallegrava. Un villano di Chiaramonte, ma di quelli che hanno le orecchie lunghe, se ne tornava al paese, a cavalcioni dell'asinelio, in mezzo a due corbe di uva fresca, spiccata allora allora dalla saa vigna. Vito era allegro e cantava; ed ecco che un gufo, accovacciato sopra un cipresso, comincia a cantare in modo sì ri- spittusu, che parca gli si spiccasse Tanima. Il povero Vito avea , egli è vero , le orecchie lunghe , ma avea un cuore di Papa; e si rattristò del lamento del gufo, e pensò che piangeva forse per fame. Sicché vinto dalla tenerezza, gli gridò: — " Gufo mio, vuoi un grappolo di uva?... „ Il gufo seguitò a cantare: ccih!—'' Come! Non ti basta un grappolo ? Ne vuoi forse due ? „ — ** Cciù ! „ — ** Oh, che gran fame che hai ! Ne vuoi un paniere ? „ — • Cciù! r, — " Ma, santa morte ! tu sei incontentabile; ne vorresti forse una corba? „ — " Cciù!... „ — ** Va al diavolo ; io ho moglie e figliuoli , e non posso darla tutta a te! * ,. Comiso '. * Chisuramontano, più.— Di questa e della seguente facezia non a- Tendo il testo dialettale pubblico la versione letterale. * Con questo palleggio da Comisani e Vittoriesi si dà la baia a quei di Chiaramonte ; ma da Modicani e Notigiani sì dà la baia a quelli di Avola. * Raccolta dal Barone S. A. Guastella. CIARAMUNTANn CCit VARIANTI E RISCONTRI. Una versione di Borgetto col titolo; Lu rmirrialisì elu ekiò ne diede il Salomone-Marino, Aneddoti, n. XXIX; neWArchi- rio delle Irad. pop., t. III, Un'altra del secolo scorso è negli Avvenimenti faceti rac- colti da un anonbno siciliano ndla prima metà del tee. XVIII, n, 59 : Barbaggianne in Trapani. Palermo , Pedone Lauriel MDCCGLXXXV. {Curiomtà pop. tradie., v. II). 4 310 I t i I LXXIX. L'Ecce-Homu ca parrà. Signore , ha da sapere che in Comiso si strappano gli occhi tra i Nunziatari e i Matrichlsiarl, e che nella Settimana Santa è miracolo di Dio quando non avviene nulla di tristo *. Ora il Cristo della Nimziata era logoro e rosicchiato dai sorci, e al contrario,quello della Chiesa ' Madre era nuovo e fiammante. I Nunziatari aveano ; scritto a Roma per un altro Cristo, ma si era già al Martedì Santo, e Cristo non era ancora venuto. I Ma-- ! trichisiari saltavano dall' allegrezza, e diceano ai loro j avversari : — " Nunzio, è vero che il Crocifisso è an- dato a pascere ? „ I Nunziatari pareano tanti scorpioni, e, a salassarli, non sarebbe loro uscita un'oncia di san- gue. Ed ecco che uno dei pezzi grossi della Collegiata suona campana di consiglio, e dice ai canonici, grat- tandosi la fronte: — " Il rimedio è qui dentro. Conoscete il figlio di Don Ciccio F.... ? È magro, secco, ha la barba bionda, ha i capelli alla Nazzarona, ha le gambe che gli natano nei calzoni.... è un Cristo migliore di tutti i Cristi che possano venire da Roma. Ebbene: diamo- gli una colazione, e una sommarella, l'attacchiamo alla colonna e diremo che è il Cristo che si aspettava „. La proposta fu accolta, e se ne parlò al giovane, il quale facea unicamente difficoltà pel disagio di dovere * Vedi in proposito Guastella, Canti pop. della Contea di Mo- dica, p. LXXXV^e i miei Usi e Costumi, v. Il, p. 9. L'KCCE-HOUn CA PARRÀ 311 stare una dozzina d'ore immobiie , muto , e morto di sete: ma siccome il Decano gli fece osservare che, fa- cendo da Cristo, godrebbe dell' indulgenza plenaria, e che tutti i rosarji che gli reciterebbero i divoti an- drebbero a profitto dell'anima sua, il giovane vi si ac- conciò volentieri. Venne , come Dio volle, il Venerdì Santo, e il figlio di Don Ciccio comparve sull' aitare, nudo come il verme , con una fascia fra le vergogne, coi capelli sparsi sul volto , con le ginocchia tinte di minio e di verderame, attaccato alla colonna di l^no, e in mezzo a due giudei di cartapesta. Le genti an- davano e venivano , e dicean maravigliando: — " Ve', ve' ! il nuovo Cristo somiglia come una fava partita al %lio di Don Ciccio !, — " Compare Suzzu \ vedete: non pare di vera carne? „. — "Oh oh, mastro Leli ', non vedete che ha financo i peli sotto le ascelle? Gran scultore dovette essere chi lo fece ! , Ultima fra tutte venne la zia Nina, una vecchiarella cenciosa, che avea più grinze che capelli. La zia Nina cominciò a recitare credi su credi che non la finiva più , sopratutto che il sagrestano mag- giore le avea detto che il nuovo Ecce-Homo era dieci volte più miracoloso di quello che e' era. Dopo aver recitati adunque quindici credi pei quindici misteri, e quindici poste di rosario, tutta piagnucolosa si rivolse all'Ecce-Homo, battendosi il petto, e dicendo con fer- vore:^" ^A, Santissimu Cri siuu....'U me fìggiu dtt- mani all'avrà s" '« portanw 'i sbì....rrii, 'itsbirri 'u wÈ > Sutmi., Biagio, « Leti, Raffaele. 312 FIABE E LEGGENDE f%...ggiuu. .S" 'un cri puortu setti tari, resta carzarat»'» me p....iji/iuv. 'Xra rui mi l' hCttì a darì, Santiesim» Cri stuH, rui mi l'ktìti a (lari asi setti tariii ',. H fi- glio (li Don Ciccio , che per non poter muoversi né parlare sinluva freddo, e bestemmiava ad onta della indulgenza plenaria, all'udire la vecchiaccia non potè più contenersi, e proruppe sdegnato: — ' AJi, EÌcciazza fl....tciitii.' in Maju ccà ppi ne' tari, stajit cca....a; e t» vuoi di mia setti tari, vuoi di mi....aa. Setti m... ! si 'Ì vuoi, s* '( vu....oÌii a * , La zia Nina all'udir parlar l'Ecce- Homo, fece un salto nell'aria, urlando come un'anima dannata: — " Gesù! Gesù! Gesù !,., chi è tnalaccrià....tuu ssu Saiitissimu Cristu, ca vì....n>iii '. Chiaramonte *. * In queste e nelle seguenti parole in dialetto è ritratta con vaa, certa caiìcatura la parluta, o, come diccni in siciliano, la 'ncareata, de' Comisani. La vecchia prega cosi il Cristo; * Ah SS. Cristo, mio Aglio, domani all' alba, se lo [lortano i birri, i bin'i, il Aglio mio... Se non porto loro fi:cij sette tari, resta carcerato il Aglio mio. Dun- que voi me l'avete a dare, SS. Cristo, voi me l'avete a dare questi ■ette tari ». I punti interrogativi e le ripetizioni son pure una carii-atura deHa (brina interrogativa e ripetitiva onde a' Chiaramontani ed agli abi- tanti de' comuni vidoi a Comiso sembra che parlino i Coimsani. Notisi la tradizione dell'antico costume di dar la libertà a" de- tenuti per danaro: e perù la strapotenza de' birri. ' Ah vecchiacwa fetente ! Io sto qui (legato a fare il Cristo) per sei tari, sto qui; e tu vuoi da me sette tari, vuoi da me. Sette e... Il se li vuoi, se 11 vuoi 1 ' Oesù, com'è malcreato questo SS. Cristo che venne ! ' Raccontata da Vito Migliore, inteso Pignolo, famiglio e raccolta dal auastella. LECCE-HOMO CA PARHA VARIANTI E FUSCONTRI. Di aneddoti e facezie come questa, nelle sacre rappresenta- rioni popolari se ne racconta molte e dovunque. Negli Avvt- nimenti faceti, nn. 1 e 2: Verbo, Settimana Santa, Passione e Crocifisso, ve ne sono due curiose molto. Un'altra in Salo- mone-Marino, Aneddoti, n. XXXI : La finzioni dì la Passioni a Murriali; neìi' Archivio delle irad. pwp., v. HI, p. 572. > 314 LXXX. Lu Ballafranchisi. A Petrapizzia, primu avìvanu ppi protetturi a Santu Rusciànniru, e a Ballafranca a Santu Roccu. Ora sU Santi quanta li Ballafranchisi, quantu li Pizzisi li pur- tavanu 'ntra 'na chiisa ca jè vicinu di Ballafranca e vicinu di Petrapizzia. A li Pizzisi Santu Roccu nun cci piaciva, e pinsaru di canciarisillu ccu li Ballafranchisi: e la còsa la ficiru succediri davcru 'nti ddu jurnu ca si purtavanu li santi 'nti dda chiisa. Li Ballafranchisi ppi r amuri eh' hannu a Santu Roccu , ognadannu, quannu li Pizzisi cci fannu la festa, cci vannu tutti. 'Na sira di stu jurnu di festa, un maritu e 'nna mu- li Barrafranoliese (Versione letterale). A Pietraperzia, prima (una volta) avevano per protettore S. Alessandro , e a Barrafranca (avevano) S. Rocco. Ora questi Santi tanto i Barrafranchesi, quanto i Pietraperzesi li porta- Tano entro una chiesa vicina a Barrafranca e vicina a Pietra- perzia. Ai Pietraperzesi S. Rocco non piaceva , e (essi) pen- sarono di cangiarlo con (quello) de' B., e la cosa (= il cam- bio) la fecero succedere da vero in quel giorno che si porta- vano i Santi in quella chiesa. I B. per Tamore che hanno a S. Rocco, ogni anno, quando i P. gh fanno la festa, ci vanno (accorrono) tutti. Una sera di questo giorno di festa, un marito e una moglie barrafranchesi andarono (jiru) ad abbeverare Tesino; e sicco- ^ LO BAU.AFRANGHISI 315 glieri ballafranchisi jini a birvirari lu sceccu; e siccu- mu ce' era 'n cìlu la luna, sta luna spìcch'iava 'nti l'acqua di la brìvatura. Lu sceccu accuminzà' a biviri; QCCu ca 'na nivula cummiglià' la luna, e 'nti l'acqua la looa nun si vitti cchiù. La muglierl, nun viutata da un anitadiao nativo di Portioello, venuto a fiire il ti*aapoi*tatoiv di fen\> in Palonuo. Cft*. voli Lu Citf/i/hitistrUìiiitt^ cmifn di G. Meli. Lu paiTìnu maliziusu. 'Na vota cc'erà 'na ridua. Sta vidua avia inalata la jumenta, e lu mastru firraru clii la curava, nun avennu ecliiù chi fàricci, si licinziau di la vidua, dicènnucci:— " Cummari, iu haju fattu tuttu lu pussibbili; min resta nenti a fari; sulu , però , putiti fari diri 'na missa pri l'arma di st'armaluzza ,, La vidua, chi la vuiia beni, pinsau ca la cosa era ri- gulari , e pircìò va 'ntra l'Arcipreti e ed dici ca vulia ditta 'na missa pri l'arniia di la jumenta. L'Arcipreti si misi a ridiri prima, ma poi cci dissi:—" Bona don- na, l'armali sunnu senza arma, e perciò missa nun si cci nni pò diri „. La flmmrna sicutau a primari all'Arci- preti, ma nun lu potti pirsuadiri. Vidennu poi ca tuc- cau duru, iju 'ntra li canonaci; ma h canonaci cci ri- spunneru di la stessa manera. 'Un si pirsuadennu di sta risposta, iju 'ntra tanti parrìni , ma fu trava^hiu persu. All'urtimu va 'ntra un parrinu so vicinu , e lu parrinu , maliziusu, cci dissi: — " Bona donna , iu la missa vi la dicu ; ma quantu mi dati ? „ La fìmmina cci risposi: — -".Dui tari „ — "Uh! mancu si sapissi di addivintari Papa vi la dicu ^ n^" Ma vossia quanta voli ? , — " Iu vogghiu un' imza , e trenta gucciddata, masinnò vi nni putiti jiri ,. La fìmmina, pri nun jiri ' Kon ve la direi neppure se mi facessero Papa. -.- V ./. • .* '"^^ 326 FIABE E LEGGENDE circannu ad àutru sapennu ca chistu coi la dicia, cum- minau la cosa: ma cu pattu però ca idda s'avla a jiri a sintìrisi la missa pri la jumeiita. La Duminica lu parrinu la iju a chiamari, e jeru a la chiesa. Si vesti a missa e cumincia a diri la missa pi li fatti soi. A la finuta cantau sta caiizunedda : — " Gloria biddòria, È Missa cavaddòria. Uiiza mia e gueciddata trenta Vaiiiiu pri Tarma di la tò jumeuta. A la facci di li parrini di Quadari ^ Ca 'un si nni vòsiru apprufittari ! ^ Frizzi *. * Questo Quadari (Caldaie?) parrebbe il comune, il casale, i cui preti non aveano voluto celebrare la messa per V anima della giu- menta. * Raccolta dai signori Tommaso Mercadante-Carrara e Salvatore Tortorici. Lu cavalerì e li tri soru. Cc'era 'na vota un cavaleri. Stu cavaleri era 'nta 'na lucanua, e vuUa fari carità a versu d'iddu. Cc'era un puvireddu, ch'avìa trì figghi fùnmini; scarsi chi erann, .dissim:— " Si nni jemu nni dda cavaleri ' ?... cu' sa nni duna quarchi cosa ,„ Hannu jutu a la iucanna nni ddu cavaleri e tuppuUaru. Acchiànanu , e lu cavaleri si lì riciviu cu diri:— " A mezzijornu manciati assemi cu mìa „. A mezzijornu 'n puntu sti picciotti jeru aman- ciari cu stu cavaleri. Ora lu cavaleri, a la finuta di manciari, curiusu, cci spijò a la nica: — " Tu comu ti chiami ? , — " Ih ! cava- leri, jeu niacàri m'affruntu a dillu, , — " E bonu! dim- millu „. — " Cavaleri, jeu mi chiainu M-cacu ! „ Bispunni lu cavaleri: — " Oh chi laidu nnomu !„. „ Si vOta cu la mizzana: — " E tu comu ti chiami? „ — "Ih cavaleri ! Jeu haju un nomu cchiù ladìu di chiddu di me soru. „ — " Basta: comu ti chiami ? „ — " Cavaleri, mi chiamu: Mi- cacai. „ — " Clil ladiu nnomu !... , Si vota cu la granni: — " E tu comu ti chiami? , — " M'affruntu a dillu. , — ' Ma dillu ! „ — " Mentri lu voli sapiri, mi chiamu M'haju- cacalu ,.— " Oh chi ladii nnòmira ! macàri jeu m'affruntu a chiamàrivi ,. Stu cavaleri li mmilò a ristari nn'iddu la notti, cu diri ca li vulìa fari risturari tanticchiedda '. La nica • Un poeliino. ■ Ce ne andiamo (voglìam noi andare) da quel cavaliere 1 .■ ,'■'' 3^ FIAHK E LEGGENDE si nii'acldiinaii di l;i ^ntiir/ioiii di lu cavaleri... e cci dissi a li som:—"* Iddìi (mtcii di jiri aì sacchetta a niatri \ e iiTatri ;ivriiiu ;i jiri 'ii siicchulta a iddu „. E chi ficì! lu sira 'nibriacò a lu cavaleri, e lu cavaleri s'addum- iiiisciu. Iddi si pig^'hianu lutti cosi, macàri li robbi di lu cavah.'ri, la bilici, li picciuli e si uni jeru lassànnulu bcddu 'n[.aiciatu '\ La nulli lu cavaleri si 'l'rispi^-'i/liiau e cumincia a chia- mali:— " Mi-rttcfi !... Mi-rarif L.Mi-racH ! !,„„ Lu patroni di la iucauua si 'rri.s[)i^'^liia e chiama a so mugghieri: — " iiusidda, liLisidda, cci \\ mitlisli lu càutai'u ó ca- valeri y ^ „ Uispuimi la mu^i^'hieri: — ** Sì, cci lu misi sutta ò letlu „. Lu cavaleri ddoppu 'ii àutru pi/zuddu dici 'ntra iddur " Mi-cacu 'un rispuiuji; ora chiamu a la mizzana: — Mi^ cacai ! Ml-cacal ! „ Lu lucamieri siniomiu accussì chia- ma arreri a so mu^^^^hieri: — " Rusidda, vidi ca lu ca- valeri lu lettu cacai! ! „ Si susi e va darrcri la porta di lu cavaleri: — " Cavaleri, cavaleri, vidissi ca sutta lu lettu cc'òsti lu cantarli *„. Si vota li i cavaleri e dici: — " Oh caspita ! jeu 'un vogghiu lu cànlaru: jeu vogghiu a Mi'Cacu, Mi-cacai e MhajU'cacatu! „ — *' Ma iddu chi cci su' sti sorti di nnòmira ? „ Rispunni lu cavaleri : — ** Chi veni a diri ! 'Unca ddi tri fìmmini chi vinniru ccà oggi . comu si chiamavanu ? „ Accussì lu cavaleri va p' ad~ * Egli (il cavaliere) cerca di far danno a noi ingannandoci. * Esse presero tutto, anche le robe (gli abiti) del cavaliere, la va- ligia, i quattrini e se ne andarono lasciandolo ben cotto. » Mettesti (preparasti) il vaso da notte al cavaliere? * Veda che sotto il letto v'è fcc'èstij il vaso da notte. LU CA VALERI E U TRI SORU 329 dumari lu lumi, e nun vidi li robbì. Allura capisci ca ddi tri fimniini cci avianu fattu 'na gran buffuniata. E ancora li cerca ! Marsala ^. VARIANTI E RISCONTRI. IiiBRiANi, La Xoi'ellaja milanese, p. 46, ha 'qualche punto elio ricoi-da la nostra novella. Una donna SÌ chiama succes- sivamente ; Vof/Uo-ffà', Aggio-ffatto e Venemm'annetta. Una certa analogia pei nomi presi dalle tre r^azze si trova ne Le tre parole di Fabbriche, n. LXXI delle mie Novelle tose. > Raccontata da Maria Cancelliora, cm. ■< ii j*w'^ 330 LXXXVII. Li monaci Cappuccini. 'Na jurnata dì friddu dui monaci Cappuccini jianu caminannu a fari la cerca ; ma siccomu lu 'nvernu era friddissimu, nun truvaru a nuddu 'n campagna e pirciò jianu ucchiannu unni putìanu scurari, cà stava facennu notti. Eccu ca vittiru 'na casuzza e si 'nca- minaru pri ddà. Arrivati chi fóru , si prisentanu a la porta dicennu : •* Pri lu -nostru San Franciscu, Facìtinni la carità Di fàrinni arrisittari; Gà stasira cc'ò friscu ^. Lu viddanu e la mugghieri, ca eranu dui vecchi, a- preru la porta e li ficiru tràsiri. Avianu cuciutu 'na pi- gnata di favi a maccu, e la sira , a du' uri di notti, ficiru li piatta a li dui monaci e manciaru tutti. La pi- gnata , chi era ancora mezza china di maccu , la mi- siru 'ntra lu furnu. Poi a li dui monaci cci cunzaru un jazzu 'n terra, comu Tavianu iddi, pri curcàrisi. Sti dui monaci si jeru a curcari, e ddoppu lu primu sonnu fra Giseppi, chi s'avia sdrivigghiatu, si sintia 'na fami lupigna; sapennu unni avianu misu li favi, si susi adàciu adàciu, e va davanti lu furnu; si manciau 'na panzata di favi, e poi nni pigghiau 'na cucchiarata pri jìrila a dari a fra Micheli, ch'era lu so cuUega. Si persi d'arca a lu scuru, e iju 'ntra lu lettu unni eranu cur- cati li dui vecchi, patruna di casa; spinci la frazzata, e cu la cucchiara a li manu chiama a lu fratellu. Avia Li monaci cappuccini 331 jutu giustu giustu a truvari la vecchia, scànciu di fra Micheli, e siccomu sta vecchia jittau un pìditu 'ntu- natu adàciu adàciu , cci parsi ca cu ddu ventu valla arrifriddari fra Micheli li favi.^' Frlddl su' (suttavuci), friddì su', Micheli ,; e vidennu ca nuddu si piggh^fiva la cucchiara comu cridia iddu, si siddiau, e cci la sbarra 'ntra lu letta. — ' Diavulu! nun mi fari aspiltari! , Poi va a posa la cucchiara, e si va a curca prì l'affari so'. La vecchia, cu dda cucchiarata di maccu di favi 'nta l'eccetra giusta giustu, critti ca fici lu so bisogna 'ntra lu letta, e sdrivigghia a so iriEiritu, e adàciu adàciu cci dici : — " Ninu , mi cacava tutta; anni è la linazza, quanta mi stuju ? , Lu marita rispusi : — " Aliata lu jazzu dì li monaci ccà vicina ,. La vecchia, a lu scura, stenni la manu e , scànciu di la linazza, afi'errau la varva a fri Micheli. Fra Micheli, nun sapennu, 'nsun- nacchiatu, la cosa, jia appressa a la mana chi tirava: e ccussì la vecchia si stujau lu darreri cu la varva di lu monaca. Fra Micheli , chi crideva essiri la cullega chi la tirava, cci dicia 'n suttavuci 'nsannacchiatu : — " 'Un ni vogghiu favi, no, lassali perdiri ! „ E quannu la vecchia si stujaalu darreri cu la so vai'va, critti ca fra Giseppi, pri la stizza, cci untau lu massu e la varva ca lu maccu, e si jia a curcari inmurmarìànnusi. Ccussì finiu la scena, e lu 'nnamani all'arba partera arreri pri lu cummentu; unni, poi, dumannànnusi 'ntra d'iddi, si vinni a scupriri lu fatta ed arridìanu tuttidui. Frizzi \ ' Eaccolta dai sig. Tommaso Mercadante^^arrara e Saly. Tortorìci. 332 LXXXVIII. Lu viddanu eh' 'un vulia zappari. A un viddanu cci annujava di zappari cu lu magàg- ghiu, e pinsau di jìrisi a l'ari inonacu. Lu Priuri di lu cummentu un jornu cci dumaiinau : — " Chi facivi tu a lu paisi ? „ — " Jeu zappava, e mi fici monacu pirchì m'annujava ddu travagghiu. „ — " AUura talà ch'ha' a fari: vani ^ 'nta la saristia, pigghi lu matacubbu, e poni "^ ti dugnu lu sirvizzu jeu „. Lu monacu iju 'nta la sari- stia, e truvau un magàgghiu sulu, lu pigghiau e quannu l'appi 'nta U manu cci dissi: — " Lu nnomu ti canciasti : Di magàgghiu, matacubbu ti mittisti „. Menfi ^. VARL^^NTI E RISCONTRI. In una variante di Vittoria da me raccolta il villano lascia la -2;a;;7;a, perchè Tha presa in uggia, e quando va a farsi frate (fratelliOj il superiore gli ordina che vada a lavorare con uno strumento che si chiama matacona. Nel megho il villano s'ac- corge che, mutando nome, lo strumento da lavoro è il mede- simo, e volgendosi adirato ad esso canta: Lu nnomu ti canciasti, traditura: Di zappa ti mittisti matacona. La novellina è curiosa per la diversità de' nomi che un me- desimo strumento, la zappa, prende ne* vari paesi dell' isola, nomi che, s'intende, nessuno de' nostri vocabolaristi registra. * Vani, per paragoge, va\ vai. • Poni, per paragoge, po\ poi, dipoi. ' Raccontata da Giovanni Di Marcx). Pensu e rìpensu.... 'Na vota cc'eranu un frati e 'iia soru, eh' era mari- tata, ed avia un flgghiu. Successi un jornu ca, 'un sàcciu pirchì, avlanu a ,iiri a morti du' omini : un patri e un fì^hiu, e cu' s'avia a 'mmazzari priinu, l'avia a diri 'na fimmina. Eecu ca fu chiamata 'n tribbunali sta fimmina, e 'un sapia eomu rispunniri, pirchì forti cci paria di darì 'na cunnanna di sta sorti di manera. Quannu lu judici la misi a li slritti, rispusi 'n cunsunanti : — " Pensu, ripensa e m'assiittigghiu ; ^ Figghi noi fazzu, mariti nni pigghiu; ma frati né nni pozzu fari, né nni pozzu aviri cchiii ,. Accussì jeru a morti lu marilu e lu figghiu. Lu muttu arristò, e quannu unu è 'n pinseri e si cci dumanna : " Chi pensi ? , e iddu dici : " Pensu.... ,, sì cci rispunni : " Pensu, ripensu e m'assutti^hiu : Fi^hi nni fazzu, mariti nni pjgghiu ,. Palermo '. ^ La tradizione viene da Uciìa e la raccolsi dal (anciuUo Bene- detto Moraaca, il quale non la ricordava bene. 334 XG. Lu tignusu, lu rugnusu e lu murvusu. Gc'era 'na vota un tignusu, un rugnusu e un mur- vusu, e javanu tutti tri 'nzèmmula. P' 'un fàrisi avvi- diri Tunu di i'àutru, facevanu accussì: lu tignusu si grat- tava la testa e facia: — "Ah ! ca vennu li galeri ! Ah ca vennu , ah ca vennu !... „ Lu rugnusu s' arraspava li vrazza e facia: — " Unni su' ? unni su' ?... „ e lu mur- vusu si stujava lu nasu cu lu jìditu, e dicìa — ** Alli ddà! alli ddà ^ „, Palermo ^. * VARIANTI E RISCONTRI. Eccone una voriante inedita raccolta dalla bocca di Maria Pierazzoli di Pratovecchio nel Casentino : Tre omini jn barchetta. C'era tre omini, e andavano in mare : uno aveva la tigna, uno la rogna e uno le caccole al naso. Mentre erano in bar- chetta, per non farsi conoscere l'un dall'altro, (che ciascuno aveva il su' difetto), quello che aveva la tigna avviò a dire: ' Le parole dei tre sono accompagnate dagli atti che essi fanno. La narratrice al primo atto si gratta il capo con tutte e due le ma- ni; al secondo, con la mano destra si gratta l'avambraccio sinistro; al terzo,(il moccioso; struscia il dorso deirindice destro sotto le narici. * Raccontata da Agatuzza Messia. { IGNUSU, LU RUGNUSU E LU MURVUSU 335 Ilo Tò il mare! ^ e intanto si grattava. Quello )gna, avviò a dire: — " Oh ! bene si va in bar- tanto si scoteva e faceva il su' servizio. Quello il naso sudicio, 'un sapeva come si fare, e a' li diceva: — " Che bei palazzi che c'è lassù ! , su il naso. 1 I . J ■ j \ I > i ■■ -t \ ■ \ 336 XGI. La varva franca. *Nca 'na vota si canta f:a un varvcri liei vuLu ca cci stava bona so niu^^^liieri, ch'era 'n Uni ili iDorLi, id radia pi un annu di cunlinuu li so' paiiuciiuui sor pagarisi. Comu vosi Ddiu, sta fiunuiaa ìii.s.iu di pj culu e stetti bona; allura hi varvuri a[)piz/.ò (hivanti putia un carteUu ca dicia: SI rwìl soizu pijxri. Passa e passa un cristiana \ conia dicis.siiiiìi un vi danu; vidi stu carteUu e s])ija :— " Mousà -, chi dici < cartcHu? „—" Dici ca ccà si radi franca, pirchì io 1 stu vutu, ca p' un annu avia a radiri scjnza pagari Ddu cristiana, ca la varva l'avia bedda crisciuta o 'i avia un guranu 'n sacchetta ^ dici: — "" 'Unca mi vu rìssivu radiri a mia senza picciuU V * „ — " E pirchì no j cci dissi lu varveri; e cci cuminciò a fari la sapunal Quannu lu cuminciò a radiri, Matri di lu priatori comu cci fìci stari la facci ! FiddaUuna ccà, fidduliur ddà ^: lu sangu chi cci chiuvia di tutti li lati. Lu pi vini riddanu si tirava, si sturcia, 'un avia risettu , < lu bruciuri era forti; ma nuri puteva lassallu ^n trìdic * Un cristianu, un uomo. * Monsù (fr. Monsieur), nome dato ai barbieri ed a' cuochi. ' Un guranUy un grano; qui, un quattrino. * Senza quattrini? * Madi»e del purgatorio (Maiia SS.) ! come gli fece diventare faccia ! Tagliuzzi di qua, tagliuzzi di là. ■ vJ LA VARVA FRANCA 337 pirchì la prima passata mancu avia flnutu. 'Nta stu mentri senti un gran «f'-epilu: 'ttguì 'nguì ! un porcu ehi lu stavanu scannannu. — " Figghioli, e chi è ? , dici lu varvcri.— " Nenti, monsù , rìspuiini lu viddauu : è un porcu, ca cci stannu livannu la varva franca comu a naia „. Palermo '. VARIANTI E RISCONTRI. In una variante palermitana il barbiere è un giovane ap- prendista, che rade un povero villano , il quale ad ogni mo- vimento del rasoio china la testa in giù; il barbiere gli chiede; Chi durmiti ? E quello: Gnumò, cà comu ora, mai ké statu Una versione di Gianciaoa è il XV de' Cuntieeddi di me nanna del Mamo: La varaa gratis. Pei numerosi riscontri letterari, italiani ed esteri di questa facezia, vedi l'erudito opuscolo di G. Papanti : La barba per carità, nooelletta del can. L. Pamciatichi. In Livorno, Vigo 1878 {per nozze Banchi-Brini). A queste varianti bisogna a^iun- geme un'altra del Salasi, I/uomo allegro in conversazione, p. 82. Firenze 1882. < RoccODtata da Oomemco Ingrassia. 0. Pitrì! — Wiabe e Leggende. 338 xcn. Lu monacu e lu filu di lu munnu. 'Na vota un monacu vitti ca lu munnu era 'mpin- nuliatu a 'na 'ugghiata di filu. Si talia la tonaca, e si vidi un sfarduni; pensa di cusirisillu cu ddu filu, e chi fa ? pigghia la fòrficia e allonga li manu pi tagghiallu. L'aggenti chi cc'eranu vicinu si nn' addunaru; spavin- tati cci gridaru: — *^ Chi f aciti ? ca nni pirdemu tutti ! „ — * Chi nn'hé fari ! rispunni iddu. Cu' si perdi perdi, basta eh' 'im perdu la me tonaca ! „ Palenno \ 11 frale od il Allo del mondo (Versione letterale). Una volta un frate vide che il mondo era appeso ad una gugliata di filo. Si guarda la tonaca , e si vede uno strappo; pensa di cucirselo (rammendarselo) con quel filo , e che fa ? piglia le forbici e allunga le mani per tagliarlo. Le genti (le persone) ch'erano vicine se ne accorsero; spaventate gli gri- darono:— Che fate voi ? ci perdiamo tutti !...— Che n'ho a fare (che m'importa !) risponde lui. Chi si perde perde (perdasi chi vuole), purché io non perda la mia tonaca. * Raccontata da Felice Settegrana, fruttivendolo, già guattero del convento di S. Francesco di Paola. 8EKIE QXJ^RT^ XGin. La Sicilia. Si cunta e s'arriccunta ca ce' era 'na vota un Re e 'na Rigina, e avianu 'na picciridda, figghia unica, bedda quanti! Diu la potti fari. Slu Re e sta Rigina si sin- tìanu filici ca avianu a sta Ri^nedda, e la guardavanu cu l'oechi e cu li gigghia. La picciridda avia fattu set- t' anni e menzu. Passa e passa 'na vecchia annivina- vinturi.— " Oh (dici lu Re), vulemu fari annivinari la vintura a nostra figghia ? „ — " Bonn è (dici la Bigina), f'ìcemuceilla annivinari „. Accussi ficìru. Chiamaru la vecchia: — " Ccà cc'ò cincu pezzi di dudici (dici); annì- vinàticci la vintura a sta picciridda „. La vecchia coi talia la chianta di la manu a la pic- ciridda, poi la talia pri davanti e darreri, cci metti li manu 'nta li capidduzzi biunni, e tistia senza diri nenti. Spija lu Re: — " Vaja, bona vecchia, nudda vintura nni ' diciti? , — ' E chi pozzu diri, Maistà? „ — " Comu, chi pozzu diri? (dici lu Re): o parrai i , o parrati. „ Cu- 340 FIABE E LE(J«;E.\DE stritta, la vecchia appi a parrari e dissi: — " 'Xoa sap- pia, Maistà, ca sta fi^;/liiola curri i)inciihi assai; a 'u àutri sett'anni e monzu, quannu idda (rasi appuntu 'atra i' quindici anni, liavi a vòiiiri 'jia lurii iiòggliia e un tri- mulizzu di tirrimotu, e 'uta la cilà si vidi spuntnri lu Grocu-Livanti sutta forma di (.JalLu Mauiuiuiii, : si min la guardati a sta picciridda (ma lu j^Miardalla è 'nùtili!), povira ligghia! lu iirccu-Li vanti si Ta^^j^aunfa e si la mancia „. A sta mala nova, lu poviru patri e la povira matri ficiru la morti cli'àppiru di lari, (.ilii si la ? chi ni::i sì fa ? nudda 'spiricnza piggliiavanu, e Tanni passavanu belU belli. Lu cuntu 'un porta tempu; la picciotta avia quattordici anni e se' misi, e li mischini patri e matri chiancianu, si pilavanu tutti, ma nun sapìanu chiddu chi fari e chi uprari: certu ca a 'n àutri so' misi la fig- ghia era persa. Un jornu lu Re cala a mari, ca vuh'a sfugari a chiànciri senza faricchmi sentiri nenti a la figghia. Pri cumminazioni vidi ddà 'na varcuzza senza patruni, senza rimi e senza vili: cci grapi la menti e dici: — " Ddiu fu chi la mannau : tutti cosi su' aggiustati „; e turnau a cursa a lu palazzu a pigghiari a so figghia. Comu di fattu, si la purtau a mari, a la ligghia. Dici: — " Senti, Sicilia, (cà idda, la giuvina, si chiamava Si- cilia), Ddiu mi detti lu menzu pri tu sarvàriti, e nun es- siri manciata di lu Grecu-Livanti; mettiti 'nta sta varca; oca cc'è tisori 'n quanti tati; ccà e c'è pani, vi^u e cum- panàggiu; Ddiu ti la manna bona, e unni voli lu mari e la fortuna ti portanu a sarvamentu „. La varca si partiu cu U primi cavadduna. Sbatti di LA SICILIA 341 ccà, sbatti di ddà, la povira Sicilia stetti tri misi supra mari, senza sapiri sutla quali cclu era, e senza vidiri ■ mai 'na facci di cristianu. 'Nflni, lu pani finiu, e idda cuminciau a sentiri la fami; dissi:^" Ora moru pri da- veru ! g e si jittau a lu funnu di la varca. Ma , a la pirutu pimtu, Ddiu cci duna ajutu. Veni un forti ma- rusu, e un cavadduni d'acqua tantu, si càrrtca la varca e la porta di bottu supra terra. Chi cummina la fur- tuna V ca sta terra era chista nostra, unni abitamu nui, e Sicilia si truvau fora di lu pìriculu di lu mari , e chidda ch'è cchiù, cu tutti li so' tisori a latu, Caminannu pri la terra, Sicilia attruvau lu vera beni Ddiu: fratti, meli, aceddi , furmentu, tutta sorta d'ar- mali, 'nsumma chiddu ch'addìsia la prena e la maiala: ma un omu nun cc'era, nun si vidia chiddu chi dicissi l'umbra di 'na pirsana. * E comu fazzu (dici) sula sala? Veru ca sugnu 'nta un paraddisu, ma 'nta un disertu manca l' armali stannu boni ! „ E mischlna, chiancia, ca, o di cricchi o di crocea, era sempri sbinturata. Idda si sintia persa, e stava veramenti dimisa. Ma , comu vosi Ddiu, a capu di In misi, mentri jiltata 'n terra si lamintava a vuci forti, si vidi cumpariri un oma, beddu, longu qaantu un stinnardu, — " Cu' si' ? chi hai {die'), o bella giuvina, ca chìanci ? „ Rispunni: — " E comu nun he chiànciri, (dici), ca la sorti l 'haj'u tutta eontra di mia? Sintiti... ,. E cci cunta tutta la so storia, Dd'omu allucehiu: poi tutta cantenti cci dissi: — " E bona, nun ti dubbitaii, ca tutti cosi aggiustati su', e nui saremo fi- ''ci. Ha' a sapiri ca 'nta sta terra vinni la pesti (lun- tana sia !), e mureru l'abbitanti tutti, tutti, finn all'ul- 342 FIABE E LEGGENDE timu; eu sulu arristai pri me' disgrazia, sula a cliiàn- dri , comu un omu cunnannatu 'n galera a vita. Ora bon' è ca vinisti tu, lu Celu ti cci mannau ! „ Sulu iddu , sula idda , picciotti e beddi tuttidui , la cosa nun si putia cumminari di meg^^hiu; e tuttidui uni fòru cun tenti quanti^ si pò 'mmaginari. Accussì si 'nguaggiaru, Sicilia e st'omu (mittemu ca si chiamava Pippinu), omu veramenti abilitusu, curag- giusu quantu mai , e un veru Cavaleri a li formi. E ddocu, patruni di tuttu stu Regnu, cu tantu massenti di tisori, sparti di chiddu chi la terra pruducia, lu Pip- pinu si 'ntisi filici , e a Sicilia la stimava quantu la pupidda di Tocchi soi; e pr' amuri didda a sta terra la vosi chiamar! Sicilia, e comu 'nfatti si chiama sem- pri accussì. Ddoppu, sti dui spusi filici àppiru 'n asèrcitu di fig- ghi, tutti putirusi, 'ncignusi e beddi comu lu patri e la matri; e di patri 'n figghiu lu Regnu si pupulau arre e megghiu di prima. Iddi camparu anni ed anni filici e cuntenti, E nui ccà nni munnamu li denti. Partinico ^. VARIANTI E RISCONTRI. Il Salomone-Marino nota : " A chi ben guarda, questo rac- conto non è in fondo che l'antica favola della troiana vergine ' Raccontata da Ninfa Lobàido e raccolta e pubblicata dal Salo- mone-Marino nella Tradizione e Storia; nelle Nuove Effemeridi sic.^ serie m, V. IV, p. 329. / LA SICILIA 343 Egesta, abbandonata dal padre Ippola su piccola barca alla fortuna delle onde, perchè non fosse pasto del mostro marino, che veniva a' lidi troiani terribile esecutore delle vendette di Nettuno sul fedifr^o Laomedonte. La favola è riferita da Ser- vio a illustrare quei versi di Virgilio, nel V della Eneide, ove si fa menzione di Àceste , figliuolo appunto di Egesta e del fiume Criniso o Cremissa; e gli scrittori siciliani dei passati secoli non hanno trascurato di registrarla quante volte han dovuto scrivere alcun che della famosa Segesta. , rf :m xciv. Sicilia sciurtunata ! *Na volii cc'era 'un iKilri u jiviii 'iiu lìggiu e 'na fig- gia, bioddii quaiitu lii suli e hi liuiu. Slu patri un'era gilusu di sta fìggia , e iiiaiicu viilia ca jia à missa. 'N juoniLi cci dissi la pie-ciotta:—" l^dri laiu, chi puozzu stari seuipri jintraV pirelil 'ii mi faciti 'sciri cu ma frati?, r Risposta di so patri:— "lu 'un ti mamiu a nudda parti: t sulu chi ti lazza jiri 'uà v(jta ogui tanta cu tò frati ,. f Eccu ca 'na juruata stu patri la liei 'sciri a cami- l' nata. Caminannu la scuutrarru tri j)ic(iuttieddi, H qua^i, cuoum la vìtturu, 'scioru fuoddi. Idda si un' accurgiu, ma 'n cci dissi neuti a so frati, pirchì osaimò so patri 'n la facia 'sciri cciù. ì 'Nti la casa sta giuviuedda avia 'na picciuttedda pi crìata, e 'a mannau nn'ù tri picciuotti ch'avia 'ncun- tratu e cci fici sapiri ca quannu vuliòvunu vidilia, pas- savuuu d* 'a so casa e la vidiùvunu. 'Na vota sti picciuotti cci passarru ; idda si nn' ad- dunau e abbiau 'n anieddu a chiddu d'ò miezzu. L'àutri dui s'affisuru, e dissuru: — " Vò' diri ca nui/n cci facìmu simpatia.... „; ma unu di li dui vosi vuTÌri dd'anicddu; Tàutru cci 'u musciau \ e vìtturu ca cc'era lu nouiu di lu picciuottu. Stu picciuottu puoi cci mannau un lazzu cu lu scrittu: " Mia cara, tu divi durmin cu mia; e si m'hai * L'altro glielo mostrò. f i SICILIA SCIURTUNATA 345 vieni aiHiiri, mi divi diri In tò iiomu ,. Idda cci rispuai e cci mannau a diri ca si ciaiiiav.i Sicilia scìurtunala e pirduta. E chiata ò la nostra Sicilia. liagum Inferiore ^ VARUNTl E RISCONTRI. Nulla ili cuiioso e di atlriieiito è in questa tradiziono, nella quale però bisogna vedere una allegoria. ' Raccolta dal prof. Carlo Simiani. r^ 346 XCV. Comu lu Papa livau la scuminica a la Cicilia. Dici chi ddoppu chi cci fu lu Vespri Cicilianu, lu Papa cci jittau la scuminica a la Cicilia; e nun cci la vulia livari cchiui. Li Giciliani allura fìciru di modu e ma- nera chi iddu cci Tappi a livari pi forza. S'appattaru cu 'napocu di Cardinali, e chisti cci dissiru a So Santità si vulia vèniri a vìdiri *na gran machina, chi cc'era 'nta un bastimentu. Lu Papa cci iju cu tantu piaciri. Men- tri chi stava cuntimprannu dda machina, ficiru cami- nari lu bastimentu. D^allura So Santità nun si nn'avia addunatu; ma poi capiu la cosa, e 'ncuminciau a gri- dari:— ** Tradimentu ! tradimentu ! „ Allura cci dissiru: — * Nenti, Santità 1 Nun aviti paura ! Èsti ^ chi vi vu- femu purtari 'n terra di Cicilia pi binidicila e iivàricci la scuminica „. Lu Papa arrispunniu: — " La binidiciu di ccà stissu „. Ma nonsignura , nun si cuntintaru. E lu scinneru a Pantiddaria. Comu fu 'nta ddr' isula, lu Papa appi a fari lu setti a forza, e livau la scuminica a la Cicilia. Dipoi cci ufifreru pi cumprimentu 'napocu di pàssuli. Lu Papa li accittau tantu, e vosi vidiri la chianta chi li facia, e la binidiciu. E pi chistu dici chi lu muscatiddruni di Pantiddaria * veni di ssa bella qualitati. Certuni però Tonnu diri chi pi scherzu cci avissiru prisintatu la » GU é. * E per questo (si) dice che il vino moscatello della Pantelleria. GOHU LU PAPI UVAD LA SCUmInICA 347 chianla di l'amareddl ', e chi lu Papa l'avissì bìnidi- ciutu e avissi ditta: " Chi pozza fruUari du' voti l'an- nu ! , Comu 'nfatti dici chi èsti accussì: chi l'amareddi fruttanu du' voli l'annu. Ma di sta cosa, s'è veni, metta la virità a so locu. Alcamo '. ' È il robus fruticosus di Linneo. ' Raccolta dal prof- Fr. M. Mirabella. r> 348 XGVI. Palermu. Guntanu li cchiìi granili ca a tempi antichi, ma an- tichi assai, cc'era un Signuri ricca 'n faniiu, chi jìa viag- giannu di ccà e di ddà pri so piaciri. 'Na vota cci suc- cidiu ca cci vinni mi forti marusii, e iddu s'attruvò sulu supra mari 'ntra 'na varcuzzedda. Sbatti di ccà, sbatti di ddà , lu mari nmi si 1' ag^diiuttiu pri miraculu ; e ddoppu tri jorna e tri notti di timpistiari, quannu chi iddu stava murennu di fami e di abbattimentu, veni un forti cavadduni e lu jetta cu tutta la varca supra sta terra nostra. Vota e giria, ccà nun cci abbitava ne- sciunu; ma cc'era la pruvidenzia di Ddiu di fratti e àutri cosi di manciari, e ddu Signuri, ch'era già menzu mortu, s'arricriò pi daveru. A stu fattu, ddu Signuri si 'nnamurò di sta terra, ca cci parsi lu veru paraddisu tirrestri; e pirchì nun cc'era nuddu assolutu, e iddu era riccu quantu mai, pinsò "** fari vòniri ccà 'na gran quantitati di 'ncigneri e capi- mastra e cci fici frabbicari sta bella citati di Palermu. Si chiamò Citati di Palermu^ pirchì fu iddu. chi la fici frabbicari, e iddu si chiamava Palermu. Li stissi 'nci- gneri e capi-mastra chi la ficiru, cumpuneru la statua di màrmura a stu Signuri riccuni , patri e patruni di la Cita, ca poi era fattu vecchiu; e ssa statua è chidda chi si trova 'ntra la Chiazza di la Feravecchia. Palermo \ * Raccontata da Francesca Buscemi e raccolta dal Salomone-Ma lino nella Tradizione e Stmna, loc. cit., p. 312. ^ 1 VAR'\NTI E RISCONTRI. Si ravvicini alla XCIII. È superfluo il dire che l'origine della statua in marmo del Genio di Palermo nella Piazza della Fie- ravecehia, non ha nulla da fare con la leggenda della origine della città, la quale dev'essere assai più antica. Questa statua raccolse sempre e tradizionalmente le simpatie del popolino palermitano. 350 XGVII. Gugghiermu lu Bonu e Gugghiermu lu Mala. 'Na vota si riccunta e si riccunta ca ce' eranu dui frati: unu si chiamava Gugghiermu lu Bonu e Tàutru Gugghiermu lu Malu. Gugghiermu lu Bonu era Re di Palermu e Gugghiermu lu Malu era Re di Murriali. Tuttidui pinsaru di fari dui tempii, unu 'n Palermu, 'n àutru a Murriali, e 'ncuminciaru a jittari li pida- menti. Gugghiermu lu Bonu fici 'n Palermu un tempiu bella di fora e làdiu di dintra. Gugghiermu lu Malu a Par- riversa. Pinsaru poi di fari di la siguenti manera: Gomu unu di li dui fineva lu tempiu , lu mannava a diri a l'àutru; e comu li dui tempii eranu lesti, si partianu unu di Palermu e 'n àutru di Murriali pi vidiri Gug- ghiermu lu Bonu lu tempiu di Murriali, e Gugghiermu lu Malu chiddu di Palermu, Gugghiermu lu Malu prima di vèniri 'n Palermu vur- ricò lu so tisoru sutta un pedi di fìcu chi si truvava 'ntra la via; e comu agghiunciu 'n Palermu , vidennu dda biddizza, scuppò 'n terra comu un mazzu di ca- vuli e arristò sutta la botta. Gugghiermu lu Bonu jun- cennu a Murriali e vidennu ca la chiesa di fora nun sirvla \ pi sfròggiu mancu si binignau di tràsiri; ma poi ^ Non valeva nulla. — Si noti che nello stato aituale, da un se- colo in (jua, dopo i vandalici ristauri fatti dall'Architetto napoj^tano Ferdinando Fuga, la Cattedrale di Palermo, bellissima airesterno e /. GDGGHIERMU LU BONU E GUOGHIERHU LU HALU 351 pinsò e dissi: — ' Ma lu tisoru di me frati unn'è ? , E stanca di lu camìnu, s'assìttau sutia ddu pedi unni so frati avia vurricatu lu tisoru, e si misi a dormiri. Mentri era 'ntra lu megghiu, ccì accumpariu la Madonna , e cci dissi: — " Vidi ca lu tisoru di tò frati è vurricatu ccassutta „. Gugghierinu lu Bonn accuminciò a diri: — ■ Olà ! olà ! , e chiamò li so' sirvitura dànnùcci 1' or- dini di svurricari li dinari, eli crìati ca li tìinmiina si purtaru tutti li dinari 'n Palemiu. Palermo '. VARIANTI E RISCONTRL ^ Questa legenda riunisce e confonde insieme i primi due Guglielmi normanni re di Sicilia sfiorando appena la tradi- zione comune sul famoso tempio di Monreale, che ha una leg- genda propria nelle mie Fiabe sic., n. CCVIII , come una ne ha tutta sua Guglielmo il Malo (n. CGVII). Alle illusiraziom di entrambe quelle legende potrà far capo il lettore che cer- chi delle notizie tradizionali e storiche sull'argomento. quasi nello stato primitivo dal lato del prospetto occidentale, non ha nulla di bello all'intemo. 11 tempio dì Monreale, niente bello al- l'esterno, è maraviglia d' arte antica all' intemo. ' Raccontsta da Domenico Ingrassia. I I 352 § • I f I J I . I - li XGVIII. : ; Lu gran tisoru di la Zisa. 'Na vota vinni di l'Urienti un Grecii-Li vanii. Stu (jic- cu-Livanti era amica di tutta la Signuria di Palermu; e comu lu Re di Spagna avia bisognu di dinari pi 'na guerra ch'avia, mannò 'n Palermu pi sti dinari. P'allura sti dinari coi li mannàru, ma quannu vìt- tiru ca lu Re lacia })iggliia-e-addumanna, pigghia-e- addumanna , 'un si la 'ntìsiru cchiù, e flniu. Eccu ca stu Grecu-Lìvanti cci ha dittu: — " Mentri lu Re voli pìc- ciuli ogni pizzuddu, veni a diri ca vi spussedi. Sapiti chi facemu ? arricugghiti tutti li vostri ricchizzì, e io If *ncumulu pi sipillilli 'nV ón suttirraniu „. Li signuri accussì ficinu. Comu stu Grecu-Livanti appi tutti li ricchizzi di li si- gnuri di Palermu, li flci purtari a lu palazzu di la Zisa; ddà chiamò un scarparu e cci dissi: — " Nn' aviti curag- giu?... Io vi lassù tutta la me casa com' è, abbasta ca comu io vi dicu d'ammazzàrimi, mi dati un corpu di pu- gnali 'ntalu cori „. Risposta di lu scarparu: — * Haju curaggiu pi vui e pi àutru ! „ Eccu ca 'na nuttata, a menzannotti, si pripara tutti cosi , pigghia lu libbra di lu 'ncantu , 'na virga e un lumi, e cumincia a fari 'ncantisimi. Quannu fu ura, cci detti lu signali a lu scarparu, e chiddu cci cafuddò 'na botta di pugnali accussì forti ca lu Grecu-Livanti quag- ghiau, si 'ncurpurau cu un turca e spiriu cu lu tisoru e tutti cosi. Lu scarparu arristò patl^uli di la casa. [ LU GRAN TISORU DI LA ZISA 35ìt ! Quannu passàm 'napocu di jorna e lu Grecu 'un si ■ vidia, li signuri misiru a circari. Cerca, cerca, v'mniru a sapiri di lu scarparu comu avia jutu la cosa, e 'ntra iddi accuniinzò la gran guerra; — E " tu fusti! , — e " fusti tu ! ». Scavaru , ma 'un pòttiru truvari nenti, • pirehj 'un si sapi lu Grecu-Livanti unni si li strapurtò ■ sti tisori. Sta guerra 'ntJstina la vinni a sapiri lu Re di Spa- - gna; e chi fici ? — ' Ah! (dici) io vulia 'mpristati pìc- , ciuli pi la guerra, e vuàtri fincistìvu ca 'un n'avìavu; ■; mentri ii dinari l'avìavu e vi li facìstivu ainmucciari. Ora ; vegnu io Ha vinutu 'n Palermu, e ha misu li gran ; pisi ali populi, e chiddu eh' 'un cci avianu datu pi fa- f, vuri, cci l'àppiru a dari pi forza „. Ora vonnu diri ca stu lisoru è 'neantatd i eamina: pi trentasé' mi^hia ■ suttaterra , pi sina a la Chianotta d'Arcamu. 'N Custantinòbbuli cc'è 'na scris- sioni a littri turchi, ca nuddu la sapi leggiri; e dici ca lu Gransignuri dumanna: — " Fu pigghìata la Banca di la Zisa ? , — " No. , — " Povira Cicilia ! , Palermo *. VARIANTI E RISCONTRI. 1 del tutto diversa da quella che col mede- simo titolo si legge sotto ÌI n. CCXCVl delle mie Fiabe sic, alla quale si lega pure la CCXVIr lA Diavvli di la Zisa. E non È questa sollanto la leggenda che il popolo palermitano, anzi tutto il popolo sicitian'), ha creata o applicata al famoso palazzo di Re Guglielmo il Buono, dove pare al popolo di ■ Raccontata da Domenico Ingrassia. G. PiTBB. — Fiabe e Legende. 23 354 FIABE E LEGGENDE vedere e di sentire fate, demoni e anime incantate d'ogni ge- nere. Su questo palazzo (1161-1166) vedi Amari, Storia dei Mu sulmani di Sicilia^ v. Ili, p. II, p. 491. La domanda del Sultano di Costantinopoli ricorre pure ne nn. GCXVI , GGXXX , GGXXXI delle mie Fiabe sic; nella leggenda del tesoro di Salvateste nel territorio di Novara se- condo il sac. S. Di Pietro Puglisi, Novara di Sicilia, (nelle Nuove Effemeridi sic., serie III, p. 144); nel tesoro di Cala Fa- rina di F. Maltese (Firenze 1873) ecc. a. «ic XGIX. Li tri donai marci -e-bbinnì. A Petrapizzia cc'è un castièddu anticu, ca 'u fabbri- cara li Saracini. Sutta stu castièddu cci sunu tanti cara- mari quantu li jorna di l'annu. 'Na vota tri donni vùtru scinniri 'ndi stu suttirràniu '; e accuininzaru a caminari. 'Ndi sti càmmari cc'era lu Jazzu pi nun pirdìrisi nuddu; e U donni cu 'na manu jivanu tininnu lu lazzu, e cu l'àutra jivanu tininnu la cannila. Mentri ca tallavanu 'na cosa, un sàcciu sòc- chi era, ardìru lu spacu, e si pìrsinu a mizzu li càm- mari, senza putiri nèsciri cchiìi; e pir chissu cci mì- siru a li donni lu nnomu di li tri donni marci-e-bbinni; marci, pirchì caminavanu, e bbinnl, pirehi cci abbinni stu fattu, Pietraperzia -. VARIANTI E RISCONTRI. il titolo di questa leggenda locale doiiebb esser questo Tu donni, e chi mali cci abbinni! sotto il quale cone una leg genda popolarissima in Palermo Cfr le mie Fiabe sic ii CGXGV. Qui si racconta una storiella che fa i pugni con la etimologia. Abbiamo un richiamo al laberinto di Creta nei Hlo che le Ire donne tengono girando il Castello di Pietraperzia. itrà) questo sotterra neri. . ^56 G. La Tavula di Baeli \ Signuri, cchiù a ddavia, sutta lu Gapu a mari, e 'est ui -scògghiu comu 'na ciappa bellu lisciu ^ e lu chiamanu Ja Tavula di Baeli, Ora dici: Pirchì sta nòmina ? — Ve- :gnu e cci dicu ' : A ddi tempi, va spijàticci ora quant'havi, cc'era 'ntra Milazzu un tali di Baeli, ca era lu cchiù riccuni di lu paisi, ed avia lu palazzu 'ntra lu chianu, unni ora sta lu Marchisi *. Stu Baeli, signuri, ca era daccussì riccu, si spassava finennu sempri cinati ^ a tutti li soi amici. A ddu tempu lu mari era cchiù vàsciu , e ddu scògghiu supraniava €chiù; stu Baeli, vidennu ddu scògghiu d'accussi chianu comu 'na balata , avia lu piaciri di fari ddassupra li ^oi pranzi, ddà cci mintia li beddi tavuli e tuttu lu restu e cci mandava cu li soi amici, A dd'èbbica sti signuri ^ avìanu tutti l'apparicchi dì 1 liR mensa di Baeli. — Questo scoglio leggendario è nel Promon- 4iorio di Milazzo. * Signor (mio), più in là, sotto il Capo (di Milazzo) a mare , e' è «mo scoglio come una lastra molto liscio. ' Ora dice (ella che mi ascolta mi potrebbe domandare) : Perchè ^questa denominazione? — ^Vengo e glielo dico (eccomi a dirglielo io). * Il Marchese Cassisi.— Questa piazza ha tuttavia il nome di Piazza Baeli. ^ Dando sempre delle cene. * A quell'epoca, a quei tempi, questi signori. LA TAVULA DI BAEU 357 la tavuia d'aj^entu. Ora dicinu, (signuri, s'iddu è veru nui nun lu sapemu), ca 'na vota , a la fìnuta di una cinata di chisti, lu Baeli 'ntra lu divirtimentu, 'ntra lu trippu, jittòi a mari tutta l'ai^ntaria. Di tanna 'n poi a ddu scòg^hiu lu sentina ' la Tavuia di Baeli. Ora chistu , signUri , coma era riccuni , era suvìr- chiusu, ed avia quarchi 'nnimicizia 'ntra la paisi; e co- ma fìniu ? ca 'oa vota, mentri era a cavaddu 'ntra la Marina, unu cci sparùa, sba^hiùa a iddu e piscòi a la so juraenta '; sta jumenta finita si misi a fùjri; iddu cascùa e rìstau 'mpìcciatu a 'na staffa, la jumenta sì la strascinòi p' ansina a lu palazzu. Davanti lu purti- catu ce' eranu quattru culonni, ca cci sunnu camorar lu sbatttu 'ntra una di ddi culonni, e l'ammazzùa. D'ac— cussi, signuri, fìniu BaelL Milazzo '. ' D'allora in poi questo scoglio lo intendono. ' Unu cci spirita, uno (sconosciuto) gli sparò, sbagliò e colpi la- aua giumenta. ' Raccolta dal sig. avv. Pasquale Prestamburgo. :{oS CI. Lu Passu di lu picuraru \ Havi a sapiri. siguuri, cu li crapara fannu 'nchia- nari seiiipri li crapi 'ntra li sipàli pri lavkvi nianciari quarchi lìlitta d'orba ^ Ora a stu puntii, ca lu cliiamanu lu Fcfssu di la pl^ chtrarii, cùntanu ca 'na vota , mentri 'nt'òn morsa di vigna ce' era un viddanu chi putava , passila na lu strìttu un picuraru * ; li pecuri cuminciaru a 'nchia- iiari 'ntra hi sipàla: iddu s' assittùa e si misi a inan- ciari. Sti pecuri manciannu manciannu si 'nlilaru 'ntra la vigna e si stramiaru ccavia e ddavia *; lu craparu però, Ccillenza, dicinu ca non n'avia vistu nentì. 'Nt'ón corpu lu viddanu vitti a li crapi, 'nchiana sa- prà la sipàla, chiama lu craparu e cci nni misi a diri quantu si nni miritava. Lu craparu pitulanti cci rispun- nia 'nsurtànnulu. Jamu ca lu viddanu strambila ^ avia 'ntra li manu lu runcìgghiu e si stava abbintannu sa- prà lu craparu; cliistu, si cridennu ca cu lu vastuni cu lu croccu non si facia arrivali, cci mmiscùa un corpu di ^ Questo passaggio è in contrada Archi in Milazzo. * Ha da sapere, pv/nor (mio), che i caprai fanno salire sempre le capre sulle siepi per far loro mangiare qualche filo d'erba. » Mentre in un pezzo di vigna c'era un villano che potava, pass^> per lo stretto un pecoraio. * E si stramiaru^ e si spai-sero di qua e di là. — Stramiarisi o striti minar isi^ sparpagliarsi, sparnazzaci. * Si esaltò. t LU PASSA DI LC PICDRARU 359 lif^nu '; ma lu viddanu fu cchiìi lestu d'iddu, timpera c'un corpu di runci^hìu e lu sbaccòi davanti; lu cra- paru mmiscùa 'n terra e muriu ". Ora pri chistu ddocu lu chiamanu lu Possm di lu pi- curar». Milazzo *. ' Gli die un colpo di legno. ■ Tintjxra, scaglia 'an colpo di ronciglio e lo spaccò (per lo mezzo) d'innanzi; jl capraio cadde per terra e mori. ' Raccolta dal sig..BW. Pasquale Prestamburgo. 1 3(>0 CU. La travatura di Beddumunti. A Beddumunti celèsti 'na truvatura, e pi spignalla cci voli ca s' havi a fari 'na sarbietta di tuttu punto, *n tempu 'na jurnata; s'ha a fari 'u filu, s'ha a tessiri, s' ha a 'bbianchiari, e s'ha a purtari .a BcddumuntL A Beddumunti chiddi chi fannu sta sarbietta e s' 'a por- tinu ddà, cònzinu 'a tavula, e ddà mancinu, e spigninu 'a truvatura. Ora sta truvatura non si poti pigghiari, pirchi la sarbietta s'havi a tessiri di suli 'n suli, s'havi a 'bbianchiari, s'havi a'bbiari ddà; e lu tempu non cci basta. La fata sula 'u pò fari, cà è fata; ma già ora sti fati non cci nni èsti cchiù; a tempi antichi èrinu li fati. A Beddumunti èsti 'na bedda cciappata ^ , ed èsti un beddu munti daveru. Comu unu s'assetta e mancia, jsi japri lu tirrenu , e si vidi lu gran tisoru di munita d'oru. Li dinari l'hannu 'ncantati li dimonii. 'Na vota successi ca 'na fimmina la fici sta sarbietta, e cci mancava a fari 'u ciliu ^; arrivòi a ddavia, e co- mu arrivòi, li diavuli cci dissiru : — * 'A facisti e non la sapisti fari : D'unni vinisti, ti nni poi annari ,. S. Lucia di Mela \ * Pianura. * La bollitura del filato per biancheggiare la tela. * Raccontata da Maria Scoglio. Munti Scud«rl. A Munti Srudcri re' ósli 'na finiti tnivatiira. Oiinii si trasi veni 'na intiutiijrna hUta s|i;i(vuta a loiijiu , e si cumunìra en hi citiinàni di In Ittvm di l.intinì. Ora 'nn vota si truvaii a pitssari un iiarriiui, o bar- dava sta muntafina; pi^iiliia *• |iif»rliia labatTii: allla- natu, ccicadi la taliaccliicra: " iHiI (dici) pirdii 'a me tabacchiera!... , K si niit aiiiiaii. Passati! 'iia pina di jonia 'luliiànunti tri sbannuti pi tràsiri 'nta sta iinintatrtia di Miiidr Sntdorì; fannu un ponti pi scìnniri 'iiti sia fiirlizza, <> pifi^biari li di- nari chi cci su', l^onin 'ntnini, di facci vitliru 'u dia- vulu. — " Unni annali, bona fronti?.., (cri dissi In dia- Tulu). Stu dinam non In piditi |ù}!};biari ,, Sintennu sta manora, li sbannuti fit uni annàni. Passati 'na picca di joriia, s' arriuiuTU tridici sban- nuti, pi pigg:hiari sii dinari: ma la ponti non ce' era cchiù, cà s'avia rnniputu. Ntì sti tridici cc'era unu ca l'àutri dudici non In vidcvarui: e pnisàru di jittallu 'nta la spacca di .sta ninntajrun, Coniu di fatti lu jìt- tàru, e scinnèru 'nta sta fui-ti/./.a. A la 'ntrata, 'ntraru libbiri. Coniu si fannn aviinli , cci cumpàrinu diavuli, e sèntinu li gran caununati chi sparavanu. Li sban- nuti 'un si persinu di curaggiu: si calanu e toccanu 'u dinaru; ma appena t occann iu dinaro nasci un sirpenti grossu, chi si nienti a ciaurari a tutti , e poi si nni 362 FIABE E LEGGENDE trasiu 'nt'òn mutu chi cc'era ddà, un mutu picciriddu \ cu cu' si menti V ogghiu 'nt' è buttigghi. A vidiri stu sirpenti 'ccussì grossu, chi si 'nlìlau 'nt'òn mutu 'ccussl picciriddu, si spavintaru e chiamaru a Maria 'Ddulu- rata. Sùbbitu fòru jittati fora sparpugghiati : cu' si truvò a 'Ntinnammàri *, cu' a Napuli, cu' 'nt'é Calabrii. Lassamu a chisti e pigghiamu ò parrinu, chi annau a Lintini. Cc'era ddà 'na lavannara chi lavava; mentri lavava , vitti 'na tabacchiera ; la pigghia. — " Bona donna (cci dici lu parrinu), lassatimilla vidiri. Ghista èsti 'a me tabacchiera „. La lavannara cci la proj, e cci eranu jintra tri dubbuluna d'oru. — " Eppuru, dici lu parrinu, staju vidennu cu lu fattu chi la spacca di lu Munti Scuderi currispunni cu sta ciumàra di lu Biveri di Lintini... „ Messina ^. VARIANTI E RISCONTRI. È comune credenza in quel dì Messina che la enorme fen- ditura che è nel monte Scuderi vada a formare una fiumara che fornisce acqua al Lago (Biveri) di Lentini; che questo monte abbia uno tra' principali tesori incantati di tutta la Sicilia; che il demonio ne sia il guardiano, ecc. Vedi, del resto, il mio scritto Tesori incantati, nel v. IV degli Usi e Costumi. ^ Un imbuto piccolo. * Dinnammare, la montagna più alta che sta a cavaliere di Messina. ^ Raccontata da Sara Barbiera, ragazza sui 30 anni , analfabeta, a' servigi della famìglia Crescenti. CIV. La storia di !u Gialanti e di la Gilantissa '. Gc* era 'na vota un Gialanti e 'na Gilantissa; la Gi- lantissa era cammarota *. Iddu niscia 'nt'è Cammàri e si manciava un omu 'u jornu. So mugghieri, com'era cristiana, non pretinnia di manciàrisi iddu òn omu ; sunava 'a campana : tatti mi si rritiravanu ', e 'ccussì 'u Gialanti non ccifacia mali. Idda, pi fallu manciari, coi priparava un boi sanu. Cu 'u tempu, appòi, cci ficiru 'a turri, (chi èsti 'a pri- senti, chìsta unni su' li càrciri). Lu Gialanti e la Gilantissa jucavanu 'nta sta turri, e sta turri si la fabbricau iddu stissu. Un jornu lu Gialanti annava caminannu p' 'i strati; e si truvava propria ò Chìanu di la Matrici. Pi cumminazioni si trova un figghiolu chi bucava c'un pezzu dì canna cu la petra dintra 'ngagghiata, e la gira- va '; a lu gìrari chi fici, scappa 'na petra, e lu 'nzir- tau 'nt' 6 sonnu, e cascali d' 'u cavaddu; e 'ccussì muriu. Idda poi di la pena nni muriu ddoppu tantu tempu. Messina ". ■ La storia del Gigante e della Oìgantessa. ' Del villaggio di Cammàro, a circa quattro chilometri da Messina. ' Sua moglie, essendo ctistiana, non permettea (che suo marito) maagiaase un uomo al giorno; (e che ti racera ì) sonava la campana (e cosi) tutti (coloro che si trovavano li vicino) si allontanavano. ' Accenna al giuoco fanciullesco consist^ite nell' incagliare alla estremità d' una canna fessa un sassolino, e nel lanciarlo. È una specie di (tombola. ' Raccontata da Sara Barbiera. r 364 FIABE E LEGGENDE VARIANTI E RISCONTRI. Questo ragazzo (figghiolu) che colpisce alla tempia (..:i- * Forte 1.WÌ S5>. Salviror^. al.* es:r».*:.i'> bra.vLo •iella L^ -Te :•!:-• •:: * Per cinuprenòriv .^ri^sra ■.'i:ri..'¥i:à bi'!4.-»i:i_i >a:'*?re jlit. >.•:■ -.ì" la ^'ivtLeriza pi^poìart-. li Sicilia e '^"•sCcfmLi «la :r»? et.-ùc.:»- s ■" r::ie. ohe ne :orjLi.i..> .\'.il«.i ">:é»so :=.::iè'«^ ^ M-^e. /«%;a tUy- Sdniua LiT^rl O:»-^- irriràu à-.i;if;s-i:tliu >i braciai! la raiiJ e si l^ *L:L,-.r.--:.. — * E:-:.!. Miìslii!, e coi prisinldu Ik l.ì:_ ì-"_.Aì:.-.. Rif;»:»^:.^! d: ^.i Rr: — •Non so' cuLifiiLÌ dii'.'O.-i. Tj; hi' i iTÀ^ih jlntra di la ca- • Riaii J4il=-;i ... 1 io sfiriiiTi. r.o 'noliia- nu cchiii -ui*r:i: :-iJ -i* ?::-ira - uV Cola l^>cì ini eoi parravi in cori t. L u Rr pi fcii^n jà^^jrhiarì lii puiitu, ocì dissi Chi un oL^u v:ilen:: nc.n havi nìai paura di nuddy. — * T'bli ac'CiLi^.r io ju lazziu hìa io ocì perdii la vita ,. Mi si pigghiii 'na ferra: — ' Si sta fornì ^lììcìf 'iìoIii;uia bruciati, oli diri su^u mortu; si non è bruoiatiU su- ^u vivu ,. Scinniu e Irasm. cu sta ferra nta la manL j intra sia caverna. 'A ferra si bruciau e vinnì *n sunuua. Cola Pisci arristau bruciatu e non nehìanau oohiÌK Lu Re fici chistu pi vìdiri si oni voru ohi la caverna currispunnia cu suttaterra, ed era unu di lì suslo^nì di la Sicilia. M^ssifia \ VARUNTl E mSCONTRt Cola Pisci. A Missina ce' era un omu cliì lu cliì;unav;uìU /V>nyi f Wii, Chistu aveva h jìdita junciutì : elùdili dì lu pi>dì puru ooiuu chiddi di h aceddi d'acqua : e lì gargì conni li pìsci ; o ogni jornu si jittava 'nV ò Portu dì Mìssìnu » pi dìvìrtìrìsi, Vinni a Missina la Riggìna« e ccì cunlaru o« co' era st' omu purtintusu, chi stava a mari comu un pìsci. \a\ Ilìggìua uuu « Raccontata da Sara Barbìern, G- PiTRÈ. — Fiabe e Leggende. ti /> r I r • 370 FIABE E LEGGENDE cci vosi cridiri 'n principiu, tantu ca lu chiamali a la prova e cu 'na lancia riali si lu purtò a lu Garofalu ', a lu Faru; t cci dissi: — •* Gcà cc'è sta coppa d'oru; io ti la jettu a mari; s tu ddoppu un'ura la va' a trovi, è tua ^. Ghiddu aspittau un'ura, e si jittau 'u funnu; ddoppu du' ur assummau cu la coppa d' oru è manu. La Riggìna cci du mannau ch'avia vistu nta lu funnu di lu mari , e Cola ce dissi ca cc'eranu dui grannissimi ca verni, chi sucavanu l'acquj di lu mari, e avevanu comunicazioni cu lu Muncibeddu. Ddoppu jorna, prima di pàrtiri, la Riggina lu chiamò arreri e cci dissi : — ** Io ti jettu 'n'àtra coppa d' oru cchiìi grann di la prima, a pattu ca tu ha' a vìdiri sina unni arrivanu st cavami „. Rispunni Gola : — " Maistà, sì „. Lu 'nnumani matina la Riggina iju supra locu; jittò a mar la coppa; ddoppu du' uri si jittò Gola Pisci , e fmu a st' un s'aspetta clii torna 'n sununa. S. Agata di Mllitéllo, Cola Pisci. I Gola Pisci era unu mezzu omu e mezzu pisci. Gliistu avia sunmiuzzatu nni tutti li gurfi di lu munnu , e ddoppu avilli firrVatu tutti, vinni a Siculiana. Gcà piglia' amicizia e' un arginteri, e ddoppu 'na pochi di jorna misiru 'na scummissa, ca Gola avia a pigliari funnu nni lu gurfu di Siculiana. Gola accunsintlu e cci dissi accussì : — ** lu scinnu ddà jusu; si ddoppu mezz'ura affaccia una scocca di sangu, ti nni va' pi l'aflari to', cà i' nun vegnu cchiù „. E daccussì successi. Lu puntu unni Gola Pisci muri' è vicinu lu Scogliu d' '« russeddu. Sicidiana *. * Torre di Garofalo, * Raccontata da Giuseppe Atanasio. COLA PISCI Lu mariiiBra e In Sirena di la mari. 'Na vota s'arrieciinLT ca un marinara trasfu 'n cunfìdenza cu la Sirena di lu niari, e misi scummissa, 'un sàcciu di ehi, ca idda 'un si fidava dì jiri piscina 'n (unnu < a pi^hiari 'n aneddu. Lu marinaru lu sapfa ca la Sirena sull'acqua 'un cci pò slarì assai, cà cci ammanca lu ciatu : e sta cosa ccì l'a- via cuiifidatu idda stisaa, "na vola. Misa sia scummissa, la Si- rena cci dissi a lu marinaru : — " lo ora summuzzu '. Ma si 'n capu a nienz'ura 'un cumparisciu, e al!ocu di mia tu vidi assummari ' quarchi slizza di sangu, ritfcni ca sugnu morta e ti uni vai ,. Eecu ca lu marinaru cci jiceò Taneddu elfavia a lu Jìditu : e la Sirena summuzzò; ma 'un si vitti cchiù. Ddoppu menz'ura si vitti l'acqua russigiia : e lu marinaru caplu. Palermo *. Presso Io Urogliu d' '« russeddu, detto cosi perchè una volta vi fu ucciso un fn.weiiii* quanto un bue ' (1), l'acqua è chiara, e si scorge in fondo una pietra lucida coni ; madreperla. Presso a questa si annegò Cola Pesce, e in direzione di quesla specie di madreperla si vide X'anello di sangue di lui. (SiciUiana). In Siculiana, nella contrada Gialunardii, sotto la torre delle Pergole, c'è una casetta a pianterreno, a forma di capanna sviz- ' E Misi scuntìiiissa, e mistì scommessa, non so (per) che (cosa), che esai non sarebbe stata buona di andare in fondo al mare. * Io adesso soppozzo. — Kotiai che un posto dulia marina di Palermo con la vìa che ad esso conduce ò lUiaiuato Saini>tu:iii (:= Buììv- mMzzu), dove i Palei'uiUaui vanno a b:ignai-ii in estato. * E in vece mia tu vedi venire a gala (ossuiHìnarU . ' Raccontata da Giovanni ITinii fu e, i)esuatorc del sestiere del Bor^o. La medesima tradizione ho anche da l^iiuuliana. > liusscddu, ranocciiiaia, ardea purpurea L. a \ y72 FIABE E LEGGENDE Zeni, elio guarda il inaic Nella lacciaia ò rappresentato in cocci (li tegoli allac(;ati alla calcj.' (»<1 alla sabbia Cola Pesce, la mela d' un uomo comunt?. La mela superiore del corpo è di uomo, con le dita delle mani imile come (fuelle delle oche; la iiKìlà inferiore tulla di j)es(re, (ron is< piarne. N<'gli stabilimenti di bagni cIk' annualmente si ra])bricaiio in- torno nella marina di Messina, uno ha sempre nome di Gola Pesce. Un marinaio messinese testò nominava indilleren temente al mio amico T. Cannizzaro Cola VUcl e Pisci Nicolosi^ dandogli a vedere che entro V acqua Clola fosse un pesce , e fuori un uomo. Li tutta Sicilia Gola Pesce è chiamato Piscicola, o Pisci Cola, e si ritiene un uomo-pesce misterioso ed anche pauroso. In una poesia di Andrea Pappalaido , poeta illetterato di Gala- tania, si dice {Raccolta ainpliftsitna, n. 4111): E iu cci vegnu conni Piscicola Ppi salutari a Stefana La Sala \ In Palermo mi fu additata come figura di Piscicola un Orione inquartato in uno stemma gentilizio entro l'atrio del palazzo della Piazzetta G. Meli, in Palermo. Per la storia bibliografica e tradizionale della nostra leggenda rimando il lettore al mio studio sopra Cola Pesce, nell' Ar- chivio delle tradii', pop., v. VII. * St. La Sala, il più famoso de' poeti illetterati viventi deUa Sicilia. Vedi i miei Studi di Poesia 2)0p.^ p. 102. La storia di Don Giuvanni d'Austra. Don Giuvanni d' Austra era un valenti virreri cri- stianu antica. So patri era saracinu, e curamattia cen- tra la cristianità. 'Xta 'na verrà chi cci fu, lu figghiu livau l'occhi ó Celu, o cci dumannau grazia a Ddiu di fari 'n' àutra ura di jornu, e Ddiu cci lu cuncidiu. Ac- cussì ha vinciutu 'a battaggliia, e lu figghiu mi si mintiu la testa di so patri sutta li pedi. E chissà è la statua di Don Giuvanni d'Austra. Messina K VARIANTI E RISCONTRI. Cosi iiilei-prela il popolo la positura della statua in bronzo di D. Giovanni d'Ausfria, figtio di Carlo V (in via Corso, Piazza Nunziata), opera di Andrea Calamech da Carrara, la quale rap- presenta il vincitore di Lepanto (1571) in atteggiamento di schiacciare la testa al Turco, secondo la descrizione che ne troviamo in G. La Farina, Messina ed i suoi monumenti, p. 26; in Salomone-Marino , Belanione delle feste della città di Pa- lermo a D. Giovanni d'Austria, dopo la vittoria di Lepanto, neUe Xtwve Effemeridi sic, serie III , v. I , pp. 20-60 (Paler- mo 1875) e in altri scrittori. Abbiamo anche qui un nuovo esempio di demo -mitologia iconogi'aiica, a proposito del quale giova leggere G. Paris, La Legende du mari atix detix fem- mes, p. 6 (Paris , MDCCCLXXXVII) : Salta poi agli occhi il richiamo a Giosuè col suo Sol ne movearis (Josuè, 10, 12), che pure si riscontra in altra novellina siciliana: Peppi spersu pi lu iHunnu di Salaparuta, n. XXVII delle mie Fiabe sic, v. I, p. ^0. ' Raccontata da Sara Barbiera. 374 CMII. 1 Cientu Puzzi. Si canta o sì raoi.unta . ca 'mi viì-v.ciii. in lisJru di scola, liiii.i i iliaviili nni la tabb-.i cli'/ra, v li cuuian- nava coma valla i.Ulu. Fatta sta • i na vìt i ìu inai- stru si nni iin ;i --.ola o si siurdri la taMia-ih».Ta à casa. C-jiva e riv-t/r-ja nna tatti li sno-.-ht-tti J" i làasi, d* ò cilecca e d" *a raorliinu, r.u la i.».'**i travari. Allura pinsaa di b^>ni di iiiaui.-iiì à «-asa : ciaina a 'n picciuotta e coi di:i : — " Va' à casa a p:j:-:iàriini 'a tabbacchera; ina r::*api ì*''iix«.i a i:u la ;^'r-;piri .. *U sculara :;u a oasa d' 0 niais-.ru, e si ilei dari 'a tabbacchera. Oiw inerr.ri oa caiiii:: iva. vi vi:.:.! *u disiu "i gràpiii sta taL'i'v^chvra. e a"v;:i si vì:ti i.:rs.i:i *na picca di diavvi!:. :à 'j-jì dissinu : — " Cuinaniia oliildu ca vuoi ,. T' p:.::!::o::.i si spavì:.':ìu: e pireh: ssi i jca èrinu scarsi d"d;;j-i.;, e ji dissi : — - VaOjr^'iU ■:!■>:. tu puzzi .. Accussl ÌLppuiiu origini *i CUìitt4 Puzzi. Iìa^i4^'.i L.f'.r'-.r-. '. V.IFOANTI E RlSCLLNTFd. Intoni.' i '^i-E:?:: pizzi dt-I terr::>r:.' i Rigisa. -;.: zi^\ che mi >:rlTr . in-.r.-r^^it.' in prop.-^s:::' . il D." Riii^rl-r fila- rino. iH^iTi'.irr ITO IO Ilio d-ri oc-muiL d-r-i C.-i.:-^^ li M. ilia; m un Cinipi -1. pxni ectàr- staimi iisìcni-n^i: ':^ nirjutà *I CIENTP PUZZI 375 ^ pozzi manufatti, in parte interrati , in parte pieni di acqua bellissima., ed in vicinanza ai pozzi grandi mucchi di pietre grezze, disposte a fabbriche senza cemento e d'un'arte primi- tìva, che potrebbero avere qualche somiglianza ai monumenti descritti da Pellouttier. La leggenda popolare dice che quei pozzi furono scavati da un esercito di diavoli , che , scappati dall'inferno non si sa per quale avventura, dovettero rien- trarvi per quei buchi. La tradizione vorrebbe allribuire quei poni all'esercito cartaginese, che si fermò in quelle contrade «Spettando i Siracusani e scavando il terreno per averne ac- qua. Per noi la leggenda e la tradizione si equivalgono nella loro inattendibilità: giacché non è presumibile che un esercito ffl accampi in un luogo sprovvisto d'acqua, e non è credibile che si sia risolto a rintracciarla nelle visceri della terra in un punto e ad un'altezza in cui non c'era alcuna presunzione di trovarne. È più logico il ritenere che ivi solvesse qualche cen- '^tro di popolazione, al periodo greco e pregreco , di cui sono vestigia i pozzi, i ruderi di fabbriche e alquanti sepolcreti posti a breve distanza di là, nei fondi di Buttino ,. *'Siif^ ''''^"i'ji, <'''C allora ora cliiiR^ „. ^jj^^i -^J disiu %i ''^y';\'/,denza di quei mulino. - nièsciri 'na '""* ''ó'^una quindicina di giorni il mugnaio e&jje'Mi-iV-^ 1/1 di aver salvato la vita di un voctchio , elio forse era un ebreo, e se ne confessò con un eremita di quei contorni; e V eremita gli disse : — ** Prima dovrai ve- rificare se sia ebreo, o pur no. Tu di questi giorni hai scannato il porco; portagli un po' di salsiccia. Se non vorrà mangiarla, è giudeo di sicuro „. — "E nel caso che è un ebreo , che debbo fare V ^ — " Scannarlo, mentre dorme „. — "E i tesori che ha con lui ? „ — ** Ne farai una grande e ricca chiesa alla Madonna Santissima „. L'Ebreo ricusò mangiar la salsiccia, e allora il niu- ' Questa e le tre leggende che seguono mi vennero comunicate in forma italiana. La CX e la CXI sono sacre e partecipano di quelle della serie seconda di questo volume. • In uno scavo occidentale, pochi anni addietro, vi si trovarono i vestigi d*un mulino. 376 GIX. L' Ebreu di la Gratta d' 'i Funnacazzi ^ In una notte tempestosa d'inverno, un vecchio spau- rito e con barba lunga picchiò alla porta d'un mulino vicino alla grotta dei Fondacazzi '. li mugnaio apri, e il vecchio inginocchiandogiisi innanzi, lo pregò di sal- varlo dai persecutori, che lo cercavano a morte, e che erano per sopraggiungere; se lo salvava, sarebbe rimu- nerato largamente. Il mugnaio lo condusse nella Grotta dei Fondacazzi, che allora era chiìifcJa^ chiave, ed era una dipendenza di quel mulino. Dopo una quindicina di giorni il mugnaio polo di aver salvato la vita di un vecchio , che forse era un ebreo, e se ne confessò con un eremita di quei contorni; e V eremita gli disse : — " Prima dovrai ve- rificare se sia ebreo, o pur no. Tu di questi giorni hai scannato il porco; portagli un po' di salsiccia. Se non vorrà mangiarla, è giudeo di sicuro „. — "E nel caso che è un ebreo , che debbo fare ? „ — " Scannarlo, mentre dorme „. — "E i tesori che ha con lui ? „ — " Ne farai una grande e ricca chiesa alla Madonna Santissima „, L'Ebreo ricusò mangiar la salsiccia, e allora il mu- * Questa e le tre leggende che seguono mi vennero comunicate in lorma italiana. La CX e la CXI sono sacre e partecipano di quelle della serie seconda di questo volume. * In uno scavo occidentale, pochi anni addietro, vi si trovarono i vestigi d'un mulino. l'ebreu m lA tiiìirrA n" i fuxnacakzi 377 gnaìo si nasropif' m'Ha j.'rotlii, i' ;i])|ii'nii vide ('he il vec- chio si era addoniicnliiln, ^11 riiii|)0 il fi-anio con un martello. Ai.t.',sc la l;iiilcni;i («-in- i-ra di iinttc) e ve- rificato prima clii' il vi-cr-liio l'ra innrlc» , si diede a voler traspoptiirc !■' ltimihII vu-c\iro, picchiola terra col pindc: e quella ^i aprì iii!,'liiolton(lo l'ebreo, il ml^;naio e i tesori. ChUimmonte '. < Raccolta ,>.":.» Mirt^hirni me, che porlo ì! voslrv» nonio I . E 2*. _ parve al inomonto, iHirtaiuloiii mann \ la quale uociso il eulului». Intanto j porcai, altrui li dal lorrihilu' grido 4 lora S". Miii-Klii'i'ilii onliiu'i in i la grotta, rliiiNa ^ FIABE E LEGGENDE Le ossa de' bambini erano sparse sul pavimanto , e mandavano un odore di paradiso. Quella grotta per opera di porcai fu convertita in una chiesetta, dedicata a S'. Alarghorita; ma prima che la Santa tornasse in Cielo, incantò il diamante. Questo non può trovarlo nessuno , altro che colui il quale faccia a piedi scalzi il pellegrinaggio ai Luoghi Santi , e tre giorni e tre notti digiuno pianga sopra il Monte Calvario. Tro- vato il diamante, Io porterà al Granturco, perchè egli restituisca Gerusalemme ai Cristiani. Chiaramonte '. • Raccontata da Giovanni Fomaro, di'tto loia, tegolaio, e l'accolta ■*■-** frw«f-**i* SERIE QUINTA. CXIII. 'U Lupu ch'ammazzau 'a Jìmenta e 'a Mula. 'U Signuri, quannu fici a tutti rarmali, a ognunu cci dissi quantu dannu putia fari ppi manciari, e ò lupu cci dissi ca putia fari quinnici grana di dannu 'u juornu. 'U lupu accussì fici : ogni juornu facia quinnici grana di dannu e mandava, e puoi, 'a sira, 'u Signuri cla- mava a tutti l'armali, e cci facia diri tuttu chiddu dannu eh' avièunu fattu 'nt'à jurnata. 'Na vota 'u lupu, mentri ca caminava, vitti 'nta 'na ciusa 'na jimenta flggiata, cu 'a mulicedda.Tira 'n sàutu, afferra 'a jimenta p'ó cuoddu, e 'a scannarozza ^; puoi tira ^n àutru sàutu, e scannarozza 'a mula; si manciau chidda ca si vosi e si potti manciari; e puoi si fici 'u cuntu : " 'N carrinu 'a jimenta , cincu grana 'a mula, * ^ Una volta il lupo, mentre camminava, vide in una chiusa una giumenta figliata, con la muletta. Fa un salto, afferra la giumenta pel collo e la scanna. 38t HAbE E LEGGENDE f siiiiitu (iLiiiiiiiii irranii „ : moiitii i-a ';i jimuiita putia valili 'lui liiiiimiilina d'unni, e 'ii mula sciupìi 'navìn- tiaa d'uiizt fci jia. 'A sira si inisiiilariu tulli rariuali davanti ò Signuri, o 'u Siijtiiuri ciaiiiau ù lupu e tei dissi: -" Tu eli' ha' falUi, lupu':- , 'U lupu ccirispusi:— *■ Nenti, Signìm: quin- nici t'i'iii'ii di daniiu ,. 'U tìignuii lìu sapia cli'avia ain- mazzatu 'a jimuiita e 'a mula; chi ce' ora bisognu ca i'avia a'viri ditlu d'àulni'? o cci dissi:— * Ma chi è eh' ha' faltu y dimmillul , 'U lupu 'n prima imn cci 'u vuiia diri, puoi cci dissi: — " Ellu ', Siguuri: ammazzai 'na jiraenta e 'uà mula; 'a jimenta 'n carrinu, 'a mula ciiicu grana; e sunnu quinnici grana. , — " Guonìu ! cci dissi 'u Signuri: 'na jimoiita e 'na mula quinnici grana? Va vatijxni: chiddu ca vuoi fari fai; ma iu nun ti vardu cciui: si li tocca 'na parata di ciummu, t'ha' a piggiaH; 'n cuorpu di palu, e t'ha' a piggiari; si ti ciàccunu 'nta 'na ciàncula, cci ha' a phisari tu a sprùggiàriti; cu mia 'n ti cci ha' a vutari cciù ' ,. 'U lupu sì nni iju, e chiddu ca cci ammattia di fari facia. E pi chissu lu lupu la cciù danni di l'antri ar- mali. Bagusa Inferiore *, ' Si ti locai, se ti toccherà una scarica di spiombo (una adiioppet- tata), te l'Imi n pigliare (te la porterai); uà colpo di palo, e t« l'tiai a piRlìnro ; se ti flacolieranDO un Hanco, cci avi'aì a pensare tu a cavartela; a me, non ti ci avrai a rivolgere più. — Sprùggiàrisi = spidagghiàrisi, ed ajiche shntgghiàrisi , uscir d' Intrigo , d' ìmba- • Raccolta dal D.' Raffaele Solarino e dal prof. Carlo Simiaiii. 385 » CXIV. La Vurpi malantrina. 'Na voto ce' era 'na vnrpi , chi v.ili.i .".i.I ììh liadi- mentu a 'lìupocn (Vnniiali. 'Mniil:') In .4^ . ■ 'i.i^.d u laii- t'àutri armaluz/i cu dìricfi ca 'iila la su ^riilui avia a tèniri baiichettu. Puntò la juriiala; (.m-cm ca la juniata stabilita, alPnra di la tavula, tulli l\ii.iivii >i juLsiru a ricògglìii-i 'nta la grulla. Ouaiiuu la . ^.' wJl ca tutti eranu ddà, si nielli davanti la grulla di^T'unu: — " Ora di ccà nun nesci nuddu! „ e si li misi a ^ [ìizziiiiari a- dàciu adàciu. Quannu arrivò a lu sp^^rr-irr ^j^ ],i j^oviru armaluzzu la misi a prigari coiivi )■ "-■ ■ "•■ >' ^^i carità, cumraari vurpi, nun mi faciti ^*:v' '^ '!i di l'àutri, cà io sugnu accussì nicu ra '- ^ .'"* ■':.■: niancu un vuccuni „. La vurpi si uslinò. — " 'Xca rJluj'a, dici lu sperciagai, facemu accussì: vui yì grapiti li vucca , e io mi 'nfilu; quannu sugnu 'nta li ca:r:.v:\o:^za, a-uì mi agghiuttiti „. La vurpi accunsintiu, e ^^-ipfu la \aicca. L'acidduzzu cci flci eh! e si uni r^^-v;,;*:-. e la vurpi ar- risto cu la vucca aperta. Cu' buffuniò 'na vurpi Tr!nA\:i*j';];i? 'N aceddu quantu un còccia 'i papariiia. Palermo \ * Raccontata da Rosa Brusca, cieca. G. Pitrì — Fiàfje e Leggende, 25 1 -V*' \ 386 FIABE E LEGGENDE VARIANTI E RISCONTRL Questi due versi fanno supporre una forma poetica deliaci favola. Richiama alla conclusione della CCLXXK delle mie Fìàht sic/.Zff lupu e lu cardidduzzu,e si avvicina aUa GGLXXVHI: Uacidduzzìi, Qualche cosa di analogo ha il principio de La lodala j n. LUI , e molto II gallettOy n. LFV delle mie Novelle toscane. «eau-^ 387 CXV. L'Acula e la Cucca. Cc'era 'na vota un'àcula, chi si pasceva di jìrisi man- ciannu l'acidduzzi chi truvava 'nta li nidi. 'Na jurnata la scontra la cucca:—** Gummari acula bedda, dici, nun mi tuccati li picciriddi mei, pi carità !„ -— " Gnimò cummari cucca; dicìtimi quali su' li vostri picciriddi, e stati sicura „. Arrispunni la cucca:—-" Li cchiù beddi chi viditi, cummari acula: chissi su' li me' picciriddi „, L'acula allura critti ca eranu li pàssari canàrii li fig- ghi di la cucca , e li lassò, vivi. Li primi chi si man- ciò chi fòru? li cucchiceddi. La povira cucca, quannu s'arricugghiu, e 'un truvò li cucchiceddi, curriu uni l'acula: — ** Cummari acula, chi facìstivu ? vi manciastivu li me' picciriddi ! „ — " Gnirnò, cummari cucca. Vui mi dicìstivu ca eranu li cchiù beddi, e io li lassavi: li pàssari canàrii. ,— ** Chi cci trasi li pàssari canàrii ! Chi su' chissi li me' figghi ! , — " 'Nca r avìssivu dittu ca eranu li cchiù làdii, e no li cchiù beddi. „— " Cummari acula mia, a mia li me' figghi mi parìanu li cchiù beddi di tutti; pirchì si soli diri ca Ogni scravagghieddu A so matri pari beddu „. Palermo ^ * Raccontata da una donna, che rapprese in Vittoria. r 388 CXVI. Lu Riiddu \ 'Na vota tutti ranriddi ^ dissiru ca cu' vulava lu ccliiir àvutu avada a ossiri chiamatu Re. Tutti r anciddi vularu , ma lu rllddu *, essinnu pie- ciddu picciddu , pinsà' di mittìrisi supra V ala di Ta- cula ; e r acula acruminzà' a vulari. Lu cravàcchiu * àvadii a bìdiri cu' iera lu ccliiù àvutu. Quannu l'a- cula si vitti avuta assà\ si firma'; e allura lu riiddu» coma la 'iitisi firmari, satà' di supra l'acula, vulà' tan- ticcliicdda, e daveru lu cchiu àvutu si vitti ca iera iddu. Allura lu cravàcchiu dissi: — " Lu re è iddu * „. E accussi^ cumu auciddu lu cchiù picciddu, lu riiddu è chiamatu He, ma l'acula, cumu lu cchiù 'rranni di 1' anciddi, è cliiamatu lìr mmidè. Pietraperzkt *. VARLVNTI E RISCONTRI. L* A cula e lu Bilddu. 'Na vota l'acula e lu riiddu mìsinu pi scummissa cu' tu- lava cchiù gàutu. Lu riiddu chi fici? s'ammucciò sutta Pali 1 Lo scricciolo, ììwtacilla troglodytes di Linneo. ' Anciddi^ della parlata, per acieddi, uccelli. ' Altri dicono lu cacamarrùggiu, * Scarafaggio. s Da ciò il popolo vuol trarre la origine riiddu =^e iddu, re lui. « Raccontata da Antonino Tortorid. Ltl RODDD 389 ■di l'acula , e coniu idda yuIò , si Iruvò a tulari puru iddu. ■ Vola, vola, l'acula stancò; allura lu riiddu nesci di 'mmenzu li pinni di l'acula e si melli a vulari cehiù gàutu di l'acula. e viiiciu la scummissa. Palermo '. La medesima favoletta col medesimo titolo fu poetizzata da G. Meli: L'aquila e lu riiddu. Questa Tavoletta si racconta in Piemonte pel basilisco e l'a- quila. Vedi De Gubernatis, Zoóloglcal Mythologi/, 11, pag. 1^; e ili Toscana per l'aquila e lo scricciolo; ma si racconta an- che di un lupo e di un graiiciiio che corsero insieme, e il granchio aìTcrrandosi al lupo vinse per astuzia il lupo stesso. Vedi la prima delle CinceUe da bambini del Nebucci: Far' e patti, e a pag. 613 della Nonetlaja fiorentina dell' Ihbreani, se- conda edizione. ' Rnecontata da Francesca .\mato. La Musca e lu Lapuni. Cc'era 'na vota un viddanu ; stu viddanu arava la terra. Mentri arava, supra lu cornu di lu voi si cci pusò 'na musca, e si stava a l'ucchiddu ài lu suli. Passa e passa lu lapuni; cci dumanna:— " Cumraarl, chi faciti ? , — " Araniu „, cci rispunni la musca. — " Cummari mu- sca, si stassi a vui 1' arari, lu mulinu 'un putissi ma- cinari ,. Palermo '. • Raccontala da una donna, elio l'apprese in l'ittoria. So mal non ini appongo, la foiina siciliana primitiva e forse arti- Htica di questa Civolctta dovrclib'csscro una ottava; e no è argomento la concluaiunc, elio io traBci'ivorci eosì : ^Cummari musai, chi facili? >—« Aramu». —* 0 Cutnniari, si stasai a vui l'arnri, Lu mulinu 'un pulisci macinarì ». dei P'-oc. sicil. voi. IV, p. 331, 391 cxvm. Lu cunsigliu di li Surgi. 'Na vota 'na picca surgi ^ tìnniru cunsigliu e dissirur — "Pi nun fàrinni mangiari di lu gattu cci àmmu a 'ttaccari la campanedda ^ „. — " Giustu è, giustu è „, dissi- ru tutti. 'Ndi stu mentri rispunni 'u surgi vicchiu, eh' ava ^ntisu tutti cosi, e dissi : — " La pinzata è bona, ma cui cci Tappènni la campanedda a lu gattu ? „ Tutti li surgi ristaru alluccuti, e lu cunsigliu si sciuglì'. Pietraperzia '. VARIANTI E RISCONTRI. È una delle favole, esopiane che pur venne raccontata in prosa e in versi dal Faerno nelle sue favole latine, n. 63;. ediz. 1564; dal Verdizotti, Cento FavolejU. 32;Venetia,Zileti 1570; dal Pa VESTO, Il Targa , c7te contiene 150 favole , n. I ; Vene- zia, 1576; da G. B. Fagiuoli, da Lorenzo Pignotti, da Vene- rando Ganci (in siciliano) ecc. Una versione è messa in bocca al Piovano Arlotto, ed è la 93 delle sue Facezie, ediz. Baccini. Vedi, del resto, Ristel- HUBER, Les Contes et Facéties 6/ Arlotto de Florence avec in- troduction et notes, n. LXXIV. Paris, MDGGGLXXIIL * Un certo numero di sorci. * Dobbiamo legargli (al gallo) il campanello (al collo). * Raccontata da Antonino Tortorici. 392 CXIX. Lu Surci e lu Oaddu. 'Na vota ce' ora cumpari gaddu e cumpari surci. Dici cumpari surci a cumpari gaddu : — "Si uni jemu ó minnulitu ^ V „ — Jemusinni „, cci lìspunni cumpari gaddu. Jom ó minnulitu, e cumpari gaddu acchianò ò pedi 'a monnula -; iddu scutulava; e cumpari surci si man- ciava li mònnuli e cci diceva : — " Datimi tempu, cà a picca a picca vi spirtusu ^ Lu cumpari gaddu qnannu finiu di scutulari scinniu e comu \dtti ca tutti li mènnuli eranu vacanti , aacu- minzò ^ 'ssicutari a cumpari surci. Cumpari surci 'un si nn' addunau , e cadiu nn' òn puzziteddu *. e lu gaddu cci cadiu di supra; e mòr- siru tuttidui. Marsala ^ ^ Ce no andiamo al mandorleto? — Andiamvi. * E comparo gallo sali sul mandorlo. = Iddu^ egli (coni par gallo) abbacchiava, e compare sorcio se le mangiava le mandorle, e diceva ad esse: Datemi tempo, che a poco a jìoco vi fòro. — Probabilmente da questo aneddoto e da questo motto ha origine l'affabulazione nostra (cfr. Prov. sic. v. HI, p. 362). Dissi lu surci a li nuci : datimi tempu^ ca a picca a picca tutti vi spirtusu, * Compare sorcio non se ne accorse, e cadde in un piccolo pozzo. ^ Raccontata da Maria Cancelliera. 393 GXX. Lu Scravàgghiu e la Fretta. 'Na vota lu scravàgghiu avia a jiri a 'na banna: ed era troppu luntanu. Gamina, camina, avia primura, e vulia arrivari prestu. Ora curreiinu, cederà un fossu cu l'ac- qua; cu la fretta, 'un si iin' addunò, e cadiu ddà din- tra. — " Mmaliditta la fretta e io ca la fìci ! „ dissi lu scravàgghiu; e muriu ddà dintra annijatu. Ora pi chissu vonnu diri ca la fretta la fìci lu scra- vàgghiu. Palermo ^. VARIAiNTl E RISCONTRI. Lai Prèaoij. 'Na vola 'u scravàgghiu java ima la zita, e avia fretta. Ar- rivaimu a cerlu puiitu, cc'era un fossu cu 1' acqua : lu scra- vàgghiu satau, e arrislò annijatu. La zita era affacciata e dissi: ** MmaUdittu tu, la prèsela e cu la 'mmintò puru * 1 „. Palermo ^, In una versione di Borgetto riassuntami dal Salomone-Ma- rino, il motto Mmaliditta la prèsela ! dissi la Tartuea , è messo in bocca a questa quando , ita da mammana per un parto, e arrivata dopo 21 anno, capitò tra la folla della caval- cata che accompagnava come prete novello il figUo unico della donna , per il cui parto essa Tartaruga era stata chiamata. Pigiata, rovesciata e pestata dalla folla , essa uscì nel motto in parola, perchè (aggiungeva) se non fosse stato per la pre- mura di arrivare, non si sarebbe trovata a quel parapigha e a que* malanni che le capitarono. 1 Raccontata da Agatuzza Messia. • Maledetto (sii) tu, la prescia ed anche ^uruj chi la inventò. » Raccontata da Domenico Ingrassia. 394 CXXI. Pirchi lu Signuri manna' li puoi \ 'Na vota ce' era ^na vecchia chi facia la filatura di cuttuni, e nun avia mitatcdda *; e prijava a lu Signuri dicènnucci : — " Signuri, datimi travagliu, cà 'un haju chififàri „. Lu Signuri cci mann.V tanti pùci, e chidda vecchia ad ogni muzzicuni chi ricivia, li azzuffava ' e li scacciava *. Scàccia ora, scàccia dumani, cci 'mmardunà' ^ e cci dissi a lu Signuri:—" Signuri, nun mi nni dati cchiù! „ Ma lu Signuri cci rispusi: — " Cosa disidirata, 'un ti pin- tiri „. E cci li lassa'. SicuUana ^ VARIANTI E RISCONTRI. Li Purci. 'Na vota ce' era 'na vecchia , eh' 'un avia ehiffàri ; si vota cu lu Signuri e cci dici: — ** Ah ! Signuri, e mannàtimi ehiffàri! macàri mannàtimi quattru purci „. Lu Signuri 'un vosi àutru, e cei mannò tanti purci ea la vecchia si eunfusi e cci dissi: ^ Perchè il Signore mandò le pulci (nel mondo). » Mitatedda, qui canape da filare. Dari a mitatedda, dare a fi- lare una data quantità di cotone, dividendo poi a metà il filato. ^ Azzuffarti della parlata, acciuffare, prender con le dita. * Scacciarla schiacciare. * "" Mmardunari, della parlata, seccare, venire a noia. * Raccontata da Giuseppe Attanasio. PIRGHl LU SIGNUHI MANNA' L! PDCI 395 — ' Ah 1 Signori, e tutti chisti m'avislivu a mannari? , Ma si l'appi a purtari "n santa paci. E pi chislu vìnniru a stu munnu li purci; e quannu cci su' purci assai, e nun si ponnu pigghiarì, si soli diri; MinalidiUa dda vecchia magàra ehil'addiaiau! Palermo '. 'Na vgfii 'na vecchia vitti un pillici, e lu piglia', e dissi: — ' Clic bcllu ! 6 lu picciddu di tutti l'armali !... , E cumminzà' a prijaii notti e jurnu a lu Signuri pi mannariccìnni 'na picca. Lu 'nraimani si susi' d' 'u litfu, e truvà' tanti pillici, e tutti ca la muzzicavanu. Idda smtiimusi muzzicari accumminzà' a diri:—" Signuri 'un ni 'ugliu cchiti 1 , Chista l'ammiscà' a l'àutri adenti, e ora l'hannu tutti '. Pidraptrzia *. Una variante palermitana è nei miei Usi e Costumi v. Ili: Zoologia, alla voce Pulce; una di Borgetto in Salomone- Ma- RLNO, Aneddoti, n. VII: Li purci e li pidocchi, neW Archivio delle tradizioni popolari, v. II, p. 555. ' Raeeoiilata da Rosa Minaft, moglie d'un pescatore al rione del Borgo. » Costoi lo attaccò (le pulci) alte alti* persone , e adesso le han tutti. ' Raccontata da Antonino Tortorici. 39G CXXII. Pirchi si chiama cacamarrùggiu. 'Ndi Pàutri anciddi cc'è 'n ancidduzzu, ca li viddani lu chiamanu cacamarrùggiu : e lu chiamanu accussì, pirchi 'na vota 'na picca viddani spiddìru di travu^'liari e jiru e mangiari lassannu li zappuna. St' ancidduzzu si jè a pusari supra lu marrùggiu di lu zappuni, e cci caca' : e pir chissu cci miitìru cacamarrùggiu. Pietraperzia \ Percliè si oìiiaraa cacamarrugrgìu (=forasiepe) ( Versione letterale). Tra gli altri uccelli v'è un uccolluzzo, che i villani chiamano cacamarrùggiu : e lo chiamano così, perchè una volta alcuni villani, finito di travagliare, andarono a mangiare lasciando gli zapponi. Quest'uccelluzzo andò (jè) a posarsi sopra il manico del zappone {marrùggiu), e vi cacò (sopra) : e per questo gli misero (per nome) cacamarrùggiu. ^ Raccontata dal contadinello Salvatore Coglinivì, soprannominato lu Canalaru. / f ■f 397 cxxm. Pìrchì la Taddarita havi la 'friggi di lu diavulu ^ Qiiannu lu Signuri criò tutti V armali, lu diavulu si pigghiò di 'mmidia, e nni vosi criari puru iddu; e chi fici ? pigghiò un pezzu di crita, e nni furmò un armali, aceussì comu veni veni , e lu jiccò all'aria. Dd'armali pigghiò allura lu volu, e addivintò taddarita. Difatti, la taddarita havi sta mala 'frijrgi , pirchì fu fatta di lu diavulu ^ Palermo ^ ' Perchè il pipistrello ha l'effigie del diavolo. * Di fatti, il pipistrello ha questa bi'ut!:i ^fTl^ic (fornia), perchè fu fatta (venne formata) dal diavolo. ^ Raccontata da Francesca Amato. 398 CXXIV. Pirchi lu sceccu havi la cuda. 'Na vota lu sceccu taliànnusi la cuda dissi : ** Ora pirchi he 'viri sta cuda ? A chi mi servi ?...„ ìju uni lu Signuri, e si cci iju a lamintari, diceimu : — '* Signuri, e chi nni he fari di sta cosa 'nùtili ? Livatimilla „. Lu Signuri cci la livò. Jamu ca lu sceccu, comu fu senza cuda, li muschi si lu jeru a 'Uappari pi darreri ^ Lu sceccu 'un avennu la cuda pi cacciarisilli, si cuminciò a tirari, a tòrciri, a muzzicàrisi di mala manera. Ma chi cci avia a fari ! li muschi si lu manciavanu, Poviru sceccu, si strincia tuttu, jiccava càuci, bistimiava lu suli e la luna. Allura s*addunò pi chi cci sirvia la cuda; e a cursa a cursa iju nna lu Signuri e lu prigò : — " Pi carità, Signuri : mit- titimilla 'n'àtra vota la cuda, cà staju murennu cu li muschi „. Lu Signuri nn'appi piata, e cci detti la cuda arreri. Ora pi chistu si dici ca lu sceccu capiu chi era la cuda quannu 'un Tappi cchiù. Palermo *. VARIANTI E RISCONTRI. Questa novelletta forse si racconta un pò* dappertutto; certo però che il proverbio finale corre popolarissimo, come può ve- dersi nelle varie versioni che io ne diedi nei miei Prov, ^ Le mosche gli si andarono ad avventare al didietro. » Raccontata dal capraio Benedetto Tutone. - -"•r>}r»*rfr' . -UT- ■- ^' ipi»-'-.' m^k 399 CXXV. Pirchi lu Sceccu havi l'aricchi longhi. S' arriccunta ca quannu lu Signuri criò lu munnu, ci puru tutti l^armali, e cci misi a ognunu lu so nno- lu. Fici e fici puru lu sceccu. Dici iddu: — " Signuri omu mi chiamu io ? „ — " Tu ti chiami sceccu ! „ Lu seccu tuttu cuntenti si nni iju. Gaminannu caminannu i scurdò lu so nnomu: aggira nni lu Signuri: — " Sl- nuri , comu mi chiamu ? „ — " Sceccu ! „ Camina amina: ddoppu un pezzu aggira arreri: — " Pirdunati, lignuri, comu mi chiamu io ? „ — " Sceccu, sceccu ! „ iU sceccu vota e si nni va. Gaminannu caminannu si a scurdò ^n' atra vota; aggira : — " Signuri, chi vuliti ! li scurdai comu mi chiamu. „ Lu Signuri 'un ni pu- ennu cchiù, Tafferra pi l'aricchi, e ddocu si metti tira hi ti tira: " Sceccu ! sceccu ! sceccu !! „ Cu lu tantu ti- àricci Taricchi, l'aricchi cci allungaru; e pi chissu è ca X sceccu havi l'aricchi longhi, e p' ^un cci fari scurdari i cosi a unu si cci stiranu l'aricchi. Palermo K ^ Raccontata da Rosa Brusca, cieca. 400 CXXVI. Pirchi lu Sceccu ciara lu pisciu ^ Quannu lu Signuri fici a l'armali, a cu' lu fìci bcddu ed a cu' bruttu, a cu' cci detti li corna, a cu' cci detti l'ali, a cu' cci detti l'ugna, a cu' cci fici la bona vista, e accussì cu' appi 'na cosa e cu' nn'appì 'n'àutra. Ma, a £(tu munnu, cu' è cuntenti ? E accussì fòru l'armali : e tutti jeru ognunu nni lu Signuri, e cu' cci adduman- nava li pinni , e cu' vulia la forza , e cu' pritinnia di essiri gammiolu '^ pri cùrriri, 'nzumma tutti vulianu es- siri rifurmati a modu so. 'Ntra l'àutri, va lu sceccu davanti a Dominiddiii, e cu vuci airata cci dici : — ** Signuri, pirchi mi facìstivu st'aricclii longlii, ca su' pisanti e mi fannu stari cu la testa a piiinuluni , e nun mi facìstivu 1' ali ? Eu 1' ali vogghiu; pirchi un armali chi havi sta bella testa e stu ])ellu pirsunali , nun è dignu d' aviri l' aricchi longhi, ma diva aviri 1' ali e jiri vulannu pri tutti li celi „. — " E bonu ! cci rispunni lu Signuri : pri chissu si' sid- diatu ? Ora , chiddu eh' è fattu è fattu , e nun pozzu rimidiari. Tu raggiuni hai, pri tia l'ali cci vonnu; ed eu ti li darrò^iu. Ma sai quannu? quannu lu pisciu di vuàtri scecchi, chi fa funtaneddi 'ntra li trazzèri, sapi di acqua nanfa ', tannu eu vi fazzu la grazia, ed altura ' Perchè l'agino odori il piscio. • CrammioliP^ acid., di gambe lunghe : gamberone. * Quando il piscio di voi asini, che suol ftir delle posze ne' viot- toli, saprà di acqua nanfe. PlUGHt LO SCECGU GIARA LU PÌSCIO 401 v' accurzanu Y arìcchi e vi nascimi 1' ali comu li vu- iiti vuàlri ,. Lu sceccu , arragghiannu pri la cuntintizza , si nni iju. E di tannu 'n poi, ogni vota chi 'ncontra 'na fun- tanedda di pisciazza 'nta li trazzeri, o punì piscia iddu, la ciara pr' un pizzuddu, e po' jisa lu mussu a lu celu aminustrannu li denti. Vonnu diri l'antichi, ca cu sta fattetta lu sceccu (pirchì vidi ca lu pìsciu fa fetu, e no ciàuru d' acqua nanfa) , cci senti dumannari a lu Si- gnuri : " 'Nca, Signuri, quann'è lu tempu chi pisciamu acqua nanfa ? „ Ma, avògghia di ciarari ! lu sceccu sempri sceccu è, e cu' nasci di natura mancari nun pò. Borgetto '. VARIANTI E RISCONTRI. 'Na vota li scecchi si junceru tutti 'naèmmula e disairu : — ' Avemu a parrari a lu Signuri e cci àmu a diri : 'Nca pir- ohl li jumenti e li cavaddi sunna cchiìi grossi di 'n àtri ed hannu a'viri l'aricchi ccliiìi picciuli; e 'd àtri, ca semu cchiù nichi, avemu a'viri l'aricchi cchiù longhi ? „ Risurveru e cci jeru a parrari dicènnucci ca siddu nun cci cuDcidia sia grazia di gricci accut'zari l'aricchi, avianu a fari 'na causa ', < Raccontata da Oiuseppe Valenza, villico, e raccolta dal 0.' Sal- vatore Salomone-Marino. * Avrebbero intentata una causa se egli , il Signore , non avesse fìktto a loro, agli asini, le oreccbie più corta di quelle de' eavalli. O. PiTRB. — Fiabe e 402 FIABE E legge:?de Lu Sigiiuri cci dissi : — " Va beni : taìiiui i'u vi cuncedu la grazia , qnannii vi junciti tutti e po' pisciati ; si la vòscia pi- sciazza arriva a mari, iu v'accurzu Y aricchi ; si no , arristati comu siti,. Eccu ca li scocchi si juncoru tutti e pisciaru: ma siccomu lu tirronu s'assurhiu la pisciazza, nun potti arrivari a mari. Ed è pir cliissu ca li scoccili, quauuu piscianu, ddoppu chi liiiiscinu, affunciaiiu ni l'aria, sintonnu significari ca siccomu la pisciazza nun pò arrivari a mari, accussì è 'mpussibuli ca lu Signuri cci accurza l'aricchi. Sicuìlana '. Con notevoli circostanze diverse cfr. con La congiura de- gli asini di Archi, delle Novelle pop, abruzzesi del Finamore, ueW Archivio delle tradizioni pop,, v. V, p. 20G. Il Guerrazzi , nell' Asino ricorda un consimile aneddoto. L'asino domandava a Giove l'immortalità, e Giove la promise^ e come segno della concessione volle che uno pisciasse acqua rosata. L'aneddoto è tolto da un Autore incerto della Ra^:- cólta di poesie bernesche, t. II; Venezia, e. I, v. 29, il quale conchiude : E qui nasce che rAsino che ha ingegno Fiuta ogni piscio, che per terra trova Poi alza il CI pò, e dice : È questo il segno ? 1 Raccontata da Giuseppe Attanasio. 403 CXXVII. Pirchi la Scecca sta prena tridìci misi. Lu Sìgnuri , ddoppu chi fici V armali , si chiamau a li fimmini^, e cci dumannau chi tempu vuhanu pri putiri fari ognuna li so' figghi. Ogni armaluzza dissi lesta lu tempu chi cci bisugnava, a secunnu di lu statu so, e lu Signuri cci Taccurdau subbitu. Vinni l'urtima la scecca , tutta mutriusa, cà si sintia cosa granni , e vulennu essiri la cchiù curta di tutti Tarmali 'ntra la prinizza, si misi 'n testa di dìricci a lu Signuri ca idda vulia essiri prena e figghiata 'n tempu tri misi. Lu Signuri cci spijau : — " E tu chi tempu vói ? „ Rispunni, 'mparissi ca s'affruntava ^ e cu la lingua 'mmenzu li denti : — " TriiL.. misi ! „ ma lu dissi tantu adàciu e tantu strascicusu, cu lu Signuri 'ntisi Tridici misi; e perciò arrispunniu : — "E beni, tridici misi ti sianu accurdatil» La scecca spinci Taricchi e dici : — ** Signuri, eu tri misi vi dissi ! „ — " Nun cc'è cchiìi chi fari ! (rispunni, lu Signuri) : zoccu è dittu è dittu. Tu pirchi parrasti vàsciu, cu la lingua 'mmenzu li denti ? Eu tridici misi 'ntisi ! „ E accussì fu ca la scecca sta prema tridici misi, lu cchiù assà' di tutti Tarmali. Borgetto ^ * *Afpari5si, fingendo che si vergognasse. * Raccolta dal Salomone-Marino. AMr CXXVIII. Pirchi la Porcu havi la fùncia. Si cunta e s'arriccunia ca quaiinu lu Signuri fici lu munnu e fici tutti l'armali, cri nn'eranu certuni ca e- ranu senz'ali. 'Xta chisti cc'era punì lu porcu. Lu porcu vidènnusi senz' ali , accuminzò a laniintàrisi cu lu Si- gnuri, ca facia a cu' figghi a cu' figghiastri *. Lu Si- gnuri, p'attuppàricci la vucca -, cci fici Tali, ma di chi eci li fici ? di eira. Vulistivu vìdiri lu porcu comu si vitti Tali ! vola cuntintuni , pi fàrisi vìdiri di tutti ; e 'nta Tarla si java friccichiannu tuttu, cà tutti lu talia- vanu '. Vola, vola, si nni iju a li parti di menzijomu, -e lu suli cci picava di fittu. L'ali cci squagghiàru, e lu porcu s'agghiummariau, e scuppau 'n terra. A lu càdiri 'n terra detti lu mussu, e si fici 'na fùncia tanta *. E pi chistu lu porcu è senz' ali e havi dda gran fùncia. Palermo ^ * Fari a cu* figghi^ a cu* figghiastri^ usar particolarità con uno più che con un altro. É frase presa dal buon trattamento che si fa ai propri figli e da quello cattivo che si & ai figliastri. » Per turargli la bocca, per non farlo più lamentai'e. ' E neiraria si andava ciondolando tutto, perché tutti lo guardavano. * E lu suli, il sole lo sferzava diritto. Le ali gli squagliarono, ed il porco cascò improvvisamente , e piombò per terra. Al cader per tarra, diede il muso, e si fece un grifo tanto ! * Raccontata da Rosa Brusca, cieca. La favola richiama ai miti d'Icaro e di Fetonte, ed alla favola: La ■testuggine e i due uccelli d'acqua del Firenzuola. 40& CXXIX. Lu Sceccu e lu Porcu. Ce' era 'na vota un viddanu, eh' avia un seeceu e un poreu: lu seeceu pi travagghiari , lu poreu pi fallu 'ngrassari e poi seannallu. Li seeeehi, si sannu, hannu a earriari ligna, fumeri, virduri , petri , ea maeàri eei nn'è lu muttu: Travagghiari quantu un sceccu^ e poi ehi nn'hannu ? tantìeehia di pagghia , du' trunza di vròe- euli, tantìeehia di eanigghia, ed è festa quannu man- cianu du' favi. Li porci, a lu euntrariu, mancianu centu voti megghiu: eanigghia, favi, manciari arristatu, ea si fannu tanta di panza. 'Unea lu seeceu a vìdiri com'era trattatu iddu e co- m'era trattatu lu porcu, nn'avia un so' ehi di 'mmìdia, dieennu: " Taliati ! Io travagghiu di la matina a la sira, stancu mortu, pi dari a manciari a lu patruni , e poi nn'haju pagghia e trunza di vròcculi; e stu porcu fitusu, eh' 'un fa nenti , ehi si striea 'mmenzu la rimarra e tutti li fìntizii , havi megghiu manciari di mia !... „ E, poviru seeceu ! nun eei putia appàciri ^. Vinni e vinni lu Carnalivàri. Lu poreu era fattu gros- su e grassu ea maneu si putia guardari. 'Na jurnata (criju ea era lu Jòvidi Grassu) lu viddanu chiama un cumpari so, pripara un cuteddu di uccèri; pigghianu * E, povero asino, (riflettendo, alla maniera, com'era trattato) non si sapeva dar pace. f ■ i»»^. ■■ 406 FIABE E LEGGENDE l I tultidiii lu porcu, r attaccanu beddu pulitu \ e lu scàn- nanu pi fàrisi lu Carnalivàri. Lu sceccu, ca era ddà davanti, 'n vidennu sta scena, capiu chi eranu li gran trattamenti chi si facìanu a lu porcu, e 'nta d'iddu stissu flci: Megghiu sceccu ca porcu ! E nn'arristò lu muttu. Palermo ^ ^ Lo legano perbene. * Raccontata da Agatiizza Messia. t 407 GXXX. L'Apa. Lu Signuri fici V armali e fìci puri 1' apa. A chista cci fìci fari lu meli; e cci dissi ca nn' àvada a fari tan- ticchiedda ogni jurnu ^. L'apa cci ij' 'nd'ò Signuri ar- rìri, e cci dissi: — "E pirchì accussì picca, Signuri, mi nni facili fari ? „ Piglia lu Signuri e cci dissi:—" Pirchì lu meli è duci , e jè la meglia cosa di lu munnu „ ^. V umini, ca li primi voti nu nn' avànu vistu mai meli, - accuminzaru a pigliariccillu. Piglia' Papa e accumminzà' a muzzicari a tutti. Lu Signuri la chiama' e cci dissi: — " li' ti detti la facnltà di fari lu meli, ma però ha' a fari beni a lu prossimu, no ca tu mùzzicchi a tutti. E pi chissu ii' ti dugnu pi castiju: ca quannu tu mùz- zichi, tu ha' a muriri „. E pi chissu jè ca l'apa, ddoppu ca mùzzica, mori. Pietraperzia ^. 1 A questa (all'ape) fece fare (dio virtù di produrre) il miele, e le disse che ne avea a fare un tantino ogni giorno. * Perchè il miele è dolce , ed è la miglior cosa di questo mondo. — Notisi particolarità della voce rìiegghiu o megliu nel dialetto di Pietraperzia, dove diventa aggettivo variabile, mentre nel dialetto comune è invariabile. ' Raccontata da Antonino Tortorici. _..^-rf.M*^iV '■ -•-■■•-'■ :-".-"^Tl'» ;. ,-' - ■»-■"'- -^ -■•:••■• ■ .-#*-* 408 CXXXI. La Pecura e la Lapa. Quannu lu Signuri fici 1' annali, a ognuni! cci detti lu so 'ncaricu, e Tobbrigau a stari suggettu all'orau. Ora siccomu nuddu ò cuntentu di lu so statu, la pe- •cura e la lapa si jsru a laniintàrisi nni lu Signuri. Coma arrivaru, la pecura cci dissi: — " Signuri, pirchì mi dà- stivu stu pisu , ca he essiri munciuta ogni juornu di Tomu ? ed liaju a sentiri ogni juornu stu duluri ? Jè mi cuntentu pigghiàrimi Taratu e jiriraìnni a lavurari ^ comu lu voi, lu mulu, lu sceccu, e no furimi mùnciri ogni juornu „. Lu Signuri arrispunniu: — "Tu 'un ha' chi lavurari: tu cuntèntati di cliistu chi ti detti , pirchì lì cosi fòru disposti giusti; e tu ha' a stari soggetta al- Tomu „. Si vota la lapa e cci dici: — " Signuri, (dici) jè mi cun- tentu fari un cantàru di meli ò juornu, basta chi chian- tànnucci lu chino vu alFuomu, iddu muori ^ „— " No^ cci dissi lu Signuri: tu ha' a fari 'na sputazzata di meli lu juornu: e chiantannu un chiovu, ha' murìri tu „. E pecura e lapa si nni jeru cchiù torti ca dritti *. Roccapalumba *. ' Io mi contento (meglio) di farmi attaccare air aratro e andar- mene ad arare. * Jè mi cuntentu, io mi contento (son disposta a) fare un quintale di miele al giorno , purché quando io pianto il chiodo all' uomo (pungo Tuomo), egli muoia. * E se ne andarono mortifìcatissime. * Raccontata da Antonino Di Chiara. J CXXXII. La Cicala e la Furmioa. 'JVa furmica 'n timpu di 'sta nun facia gàutru ca jiri caminannu 'ntra un viulu , e jiva ricuglinnu IÌ ci- viddi di pani e di frummintu ca jèranu 'n terra; e, pu- viridda , jera pidlata di tutti li cavaddi e l' umini ca passavanu di ddà. Tutta a lu rivirsu faciva 'na cicala, ca jera a la giru di ddà : nun facia gàutni ca cantari tutta la jurnata senza fari nenti. Vinni lu 'mmimu, e la cicala nun avinnu chi man- ciari ij' 'ndi la furmica, e cci dumannà' quarchi cosa di liianciari. La furmica cci rispunnì'; dici: — " Jè sta La cicala e la Formloa {Versione letterale). Una formica in tempo di estate non facea altro che andare camminando in un viottolo, e andava raccogliendo le briciole di pane e di frumento che erano in terra ; e , poveretta, era scalpitata da tutti i cavalli e gli uomini che passavano dì là. Tutto al rovescio (al contrario) faceva una cicala, ch'era là presso : non faceva altro che cantare tutta la giornata senza far nulla. Venne l'inverno, e la cicala non avendo che mangiare andò (if) dalla formica, e le domandò qualche cosa da mangiare. La formica le rispose, diceCndo): Io (jè) questo pochino di cosa (cibo) che ho (ffaju) la raccolsi a sudore di sangue nel- l'estate, scalpitata da ^jtti; e ora tu vieni da me, tu che ti di- 410 FIABE E LEGGENDE tanticchiedda di cosa ca gaju l'arrìcuglivu a suduri di sangu 'ndi la 'sta, pidiata di tutti; e ora tu, chi ti di- virtivi a cantari tutta la jurnata, vini ^ndi mia !„ E men- tri ca cci diciva accussi, cci scava* l'ucchi a la cicala. La cicala, cumu annurvà*, carrinnu currinnu, ij' 'nd' 'u Signuri , e cci cuntà' tuttu lu passatu. Lu Signuri cci arrispunnì'; dici: — ** Fici giustu la cicala; pirchì tu nun vò* travagliari; e a la furmica, ca travaglia notti e jurnu, cci dugnu lu piaciri, di jìrisi ricuglinnu lu man- ciari; e quannu è 'rranni, e nun pò caminari cchiù, cci dugnu l'ali, e si va ricuglinnu lu manciari „. E pi chissu la cicala è senza ucchi , e la furmica quannu è 'rranni mitti rali,ma pu' mori,pirchì si soli diri: Quannu la furmica mitti Tali, Ghistu è lu signu ca voli muriri. Pletraperzia \ verlivi a caulare lulUi la ^^ior j;;Iìi I K mentre le diceva così, cavò gli ocelli alla cicala. La cicala , come accecò, andò correndo dal Signure , e gli raccontò tutto il fatto. Il Signore le rispose, dice(ndo): — L^ece giusto (bene) la cicala, perchè tu non vuoi travagliare (lavo- rare); e alla formica, che lavora notte e giorno, d') il piacere (la facoltà) di andarsi raccogliendo (procurando) da mangiare, e quando è grande (quando invecchia), e non può più cam- minare, le dò le ali. E per questo la cicala è senz'occhi, e la formica quando è (diviene) grande, mette le ali , e si va raccogliendo (procu- rando) il mangiare; ma poi muore, perchè si suol dire: Quando la formica mette le ali , questo è segno che (essa) vuol mo- rire. * Raccontata da Antonino Tortorici. LA CICALA E LA FURMICA 411 VARIANTI E RISCONTRI. E una variante della GGXXX delle mie Fiabe sic, ma la seconda parte, che dà l'origine della cecità della cicala e delle ali della formica, e che forse dovrebbe costituire una favo- letta da sé, è affatto nuova e senza riscontri. Alle versioni da me notate a p. 198, v. IV delle cennate Fiabe aggiungasi l'a- bruzzese del De Nino, Usi e Costumi, v. II, p. 46. Il proverbio finale è nei miei Prov, sic, v. Ili, p. 181. 412 CXXXIII. La Maruni e la Cira '. 0 'Na vota la eira cci dissi a lu maruni: — " Pirchì si' accussì duru ? Io ^uru vurria addivintari comu a tia; com'haju a fari ? „ Rispunni lu maruni: — " Haju «tatù tantu tempu 'nta li cucini, vicinu a lu focu; e accussì haju addivintatu duru comu 'na ciaca. Cchiù cci haju statu, cchiù duru haju addivintatu. „ Allura la eira curriu 'nta 'na cucina, e si iju a mèt- tiri davanti lu focu cu la spiranza d'addivintari dura; ma sì ! ddoppu menzu minutu squagghiò e spiriu. E chistu cci vinni pirchì 'un era cuntenta di lu so statu. Palermo \ » Il mattone e la cera. * Raccontata da Rosario Dottore. ^ . w-^ .•<' 413 GXXXIV. Lu Sensiu ^ di V omu. *Na vota cc'eranu 'n campagna du' cumpari galanto- minì: unu era attrumintatu ^ e unu stava viglianti. Ghid- du ch'era viglianti vitti nèsciri 'n apuneddu di lu nasu di so cumpari. SV apuneddu cci firriava tutta la pir- suna, e po' si partì' e si misi a svulazzari luntanu lun- tanu. Dopu un pezzu torna l'apuneddu, e si va a ficca arre nni lu nasu di lu galantomu attrumintatu. Chistu po' s' arribiglià, e cci dissi a so cumpari :— * 0 cumpari, nenti sapiti ? m'haju divirtutu assà', e m' haju 'nsunnatu ca haju firriatu tanti càmmari e tanti campagni „. Lu cumpari viglianti 'un cci detti cunfidenza di 'nzoc- cu avia vidutu supra d'iddu; ma si pirsuasi ca l' apu- neddu era lu sènsiu di l'omu, chi va luntanu luntanu. Cianciana ^ * Sènsiu, senso, qui pensiero. • Attrumintatu, della parlata, per addurmintatu, addormentato. ' Raccontata da Gaetana Piazza, servetta, e raccolta e pubblicata dal Comm. Gaetano Di Giovanni , Venticinque Canti e Novelline pop, sic, n. XXIV; Palermo 1888. #• 414 cxxxv. Ltt Vecchiu e la Morti. Un vicchiaroddu avia un figghiu unicu, malatu, spi- nm/atu di li modici. Puvireddu! 'un cci putia paci pin- «annu va sta (li(^hiu cci avia a mòriri. E chianeia a rhianlu rutlu prijannu o straprijannu alu Signuri p' 'un cci fari Htti torlu di livàricci stu figghiu, ch'era lu va- stuni di la so vicchizza:— ** Criscitìcci li jorna ad iddu, e* livalinìilli a mia, Sigiuun; cà io sugnu un essiri 'nù- lìli, 0 la lìiò morti 'un fa sconzu a nuddu ! Ah Morti Morii, 0 arrì(*ògghimi a mia, o 'un mi livari sta gioia dì llKtflnii !... n K chiancfa o chianeia. A stu puntu cu' vv\ uccunipuri V la Morii cu la so fàucia 'n raanu, e cci dici: -• SuiTim ocù; jamuiiìnni l\ Lu vecchiu 'mpatiddiu 0 *\m sappi cclìifi spicoicari la lingua. Quannu potti spi- Jari parola dissi:- * A cu* vói ? „ — * A tia, ca mi chia- n^asli, JammOnui! • Lu vecchiu si misi a trimari comu 'm ftwlda, pìusaium ch*avia a mòriri; ma puru si fici dì cura^ijtìu e eri dissi:—* Mò flgghiu è malatu, no io; H Iddu» ihmea» t'ha* a pijrghiiiri, cà io sugnu bonu \ , K ohlssì su* cldddì cJu chìaiuanu la Morti, e poi si \\\\\ j4puvo\duuu.,,* Palermo \ YARLVNTI E RISCONTRI^ Vm \i'mK^w di CSaiu^ìm^ ^ La fp^ee^kh ^ ìa MarHy XXI dei <\éM^^ViMi iii m^ mffHHiè de) Maho. Una Yersione« abruzzese .--ft».vs.-MN(»i LU VECCHIU E LA MORTI 415 di Gessopalena è in Finamore, Nov, pop, abruzzesi , nelP Ar- chivio delle tradizioni pop,, v. V, p. 208. Una letteraria, con qualche diversità, è in Pio notti: E vecchio e la Morte; una in Gasalicghio, L'utile col dolce, dee. I, arg. IV: La morte conti- nuamente ci avvisa della sua venuta; un'altrn. siciliana V. Gangi Lu lignaloru e la morti. Ne VKore di recreatione di M. Lodovico Guicciardini pa- tritio Fiorentino. Nuovamente ristampate e con somma dili- genza ricorrete (sic) (In Venezia, M.DC.LV), p. 190, si legge: " Un vecchio, et povero portando dal bosco un fassel di legne straccho, et infastidito di viver sì miserabile, lo gittò per terra, chiamando per disperato la morte, la quale subito comparita, il domandò quel che ei voleva. A cui il vecchio veggendola tanto horrida, tosto ripentino disse : che tu m' aiuti di gratia ripor questo fascio in su le spalle „. Costo, Il FuggUozio, giorn. VII , p. 435 , racconta " D' uno che brama la morte, e poi gli dispiaceva il morire. ^ • : l'i ! 'ili ■ i M (■ r li; f 416 CXXXVI. Marza e la Vecchia. Gc'era 'na vota *na vecchia. Sta vecchia si vulia ma- ritari e vulia un beddu picciottu. Un jornu cci va Marzu , e cci dici : — " Vui v' ali a maritari ? Si vuliti a mia, stanotti àti a dormiri supra *i canali, e dumani nni maritamu „. Idda pi la smania di maritàrisi cci dissi sì. Eccu ca sta vecchia la sira si nn'acchiana, pi jiri a dormiri, supra li canali, e dici : — "Pi stasira comu fazzu fazzu, Dumani assira e' *u beddu picciottu m'abbrazzu ^ „. Marzu chi fici però? chiamò ad Aprili, e cci dissi : — " Aprili, Aprili, 'Mprestami un jornu di li toi gadiri ^ Quantu a sta vecchia la fazzu muriri „, Aprili cci h 'mpristau, e Marzu fici mòriri a la vec- chia; e prì chistu si dici : Marzu Scórcia la vecchia 'nta lu jazzu. Montevago '. ' Per questa sera come fò fò (vada come vuole andare; non m'iuì. porta de' disagi) ; domani sera mi abbraccio (me ne starò abbrac- ciata) col bel giovane. ' Di II toi gudiri, dei tuoi godimenti. 5 Raccontata da Giuseppa Sparacino, contadina, ragazza a 18 anni H 417 CXXXVII. Marzu si flci ^mpristari tri jorna d'Aprili. 'Na vota ce' era 'na vecchia , e comu ritti finiri lu misi di Marzu, cci sputò e dissi :— " Fora, Marzu cani ! „ Marzu di sta cosa si nn'affisi; dici :— " Ah chistu cc'è ? Ora cci pensu io „. Si nni va nn' Aprili e cci dici: •— " Aprili, in' ha' a fari un favuri : m' ha' a 'mpristari tri jorna, ca mi servinu, quantu fazzu mòriri a sta vec- chia „; e cci cuntò tuttu lu Mtu. — " Pigghiatilli „, cci dissi Aprili. Marzu si pigghia ddi tri jorna e si nni va. La vecchia avia 'napocu di pecuri ; comu vitti lu primu d' Aprili, 'na bella jurnata veru, si li para da- vanti, e si li porta, comu dicissimu, a Muntipiddirinu ^ Mentr'era 'nta lu megghiu , spunta e spunta mi gran nuvulatu; crisci, crisci, lu culu addivintò 'nta un mu- montu nìuru comu la pici. La vecchia pigghia e si parti pi turnari a la casa; ma chi ! ^n tempu eh' 'un si dici cumiiicia a chiòviri e a sdilluviari ca fu un spaventu. Nun cuntentu di chissu, nivi, grànnuli tirribbiliusi. 'Un passò mancu un quartu ca pecuri e vecchia morsiru sutta la gran nivi. E Marzu facònnusi li gran risati dicia :— " E chistu è lu Marzu cani ! » Palermo ^ ^ Vedi a pag. 202. ' Raccontata da Domenico Ingrassia. G. PiTRE ~ Fiabe e Leggende, 27 » ': .'- .'. ■.->- mexì>.s^. :-■=• t J SkÌ^A'^"* '^'^^ f 418 FIABE E LEGGENDE VARIANTI E RISCONTRI. Marzo. (Girf/enti) Una volta una vecchia, col rigore di Marzo , non avea po- tuto morire; e Marzo n'era dolente; sicché pregò Dio che gli concedesse un altro giorno: e Marzo fu di 31 giorno. Ma la vecchia rimase viva, e Marzo si rivolse ad Aprile pregandolo di tre giorni di rigore e di temporale. Aprile accondiscese: e i primi tre giorni d' Aprile sono, come la gente sa, rigidissimi. Vedine una versione italiana nei miei Prov. sic, v. III, p. 40. Abbiamo di questa leggenduola e della precedente , num. GXXXVI, parecchie versioni insulari e continentali. In Sardegna la cosa si attribuisce ai mesi di Gennaio e di Febbraio , ed i pastori, Tultimo di quel mese , dicono, come il pastore della leggenda : Bessidu que ses, Ifeiinarzu, Qui m' liaias ininatadu, Qui mi dias haer dadu Sa morte ad su primu nie; Non tiiiiu pius a tie, Qui comò timo a Frearzu. (cioè: Finalmente, sei terminato , o Gennaio, che mi avevi mi- nacciato di dar morte [al mio gregge] con la prima neve; non temo più te, come temo Febbraio). Ed anche : Bessidu qu' est Bennarzu, Né arzone, né arau; Né arzu né arzone, Mane' unu toppigone. Al pastore della leggenda però il mese di Gennaio avrebbe risposto, rivolgendosi al suo fratello Febbraio : Prestami duas dies, Qui ti las hap' a torrare Quando dea oenner innanti. * v-«V f -v-sr **È!*< MARZU SI FIGI 'MPRISTARI TRI JORNA d'APRILI 419 (Prestami due giorni , che te li restituirò quando dèi venire prima [di me] ). Vedi Spano, Proverbj sardi, nuova edizione (Cagliari 1871), p. 62. Ortoli, Les contes pop. de V ile de Corse, parte I*, § I, sotto il titolo •• Il pastore ed il mese di Marzo, ha questa versione: Un ricco pastore pregò ed ottenne la benignità dei mesi, di Marzo sopratutto. I mesi gli risparmiarono il gregge; ma egU inorgoglito del buon successo, finendo il mese di Marzo, ardì insultarlo e schernirlo. Marzo indispettito andò dal fratello Aprile e si fece dare tre giorni per punire V ingrato e petu- lante pastore. Ed ecco addensarsi grandi nuvole, e turbini e procelle , che in quei tre giorni distrussero pecore e montoni del malaccorto pastore. (Si ricordi in proposito la fiaba dei Dodici Mesi), Per la Calabria, Padula, Il Bruzio, Giornale politico lette- rario, 2* ediz., voi. I (Napoli, 1878) , p. 337 , racconta : ** Di un pecoraio , la felice memoria di tata mi raccontava che avendo detto : Ah ! mulo di Marzo, non ti curo più un corno: le mie pecore son tutte, e già siamo al trentuno. Marzo si tenne offeso, uscì di casa e fu da Aprile. Fratello , gli disse, son venuto a trovarti; siamo di Pasqua, sai? Vuoi fare ad are buse ? {zàcculu). — Facciamo; mi che si perde, e che si vin- ce ? — Tu hai, disse Marzo, trenta giorni: giochiamone tre; se tu perdi, resterai con ventisette, se perdo io te li darò l'anno venturo. — Son contento, risponde Aprile. Si mette la lippa a terra; Aprile percuote con la mazza, e non coglie. Marzo, mulo ch'egli è, percuote, e la Uppa vola a quaranta passi. Hai vinto, dice Aprile. Ho vinto , dice Marzo , e padrone dei primi tre giorni del fratello li carica di tanta neve e di tante burrasche, che il pecoraio, il quale già si tenea sicuro del fatto suo, per- dette tutte le pecore ;,. Lievi modificazioni di particolari offre V altra versione ca* labrese notata dal Dorsa: La Tradizione greco-latina, ecc. 2* ediz., p. 47. ♦ I I 420 FIABE E LEGGENDE Neil' Alta Italia il pastore è sostituito da una moria , e la tradizione bergamasca, secondo A. Tiraboschi, Raccolta di Prov, bergamaschi, p. 98, riferisce: * Nel tempo, in cui i merli eran di color bianco , si ebbe un gennaio mitissimo : si era alla fine del mese, e già si presentivano gli zefiri primaverili. Una merla ne prese audacia e scherzando disse; Zenèr, Zeneró, Te n' incaghe, chp ó scùdit ol me merlòt. (Gennaic , mio bel Gennaio, te ne incaco, poiché il mio mer- lotto è già al sicuro). Gennaio indispettito le rispose : U gho r ó e du e' impresterò Bianca tó séret, nigra t' farò. (Uno ce l'ho, e due lì prenderò ad imprestito; bianca eri, nera ti farò). Non fu vana minaccia : in quei tre giorni il freddo fu così rigido , che la merla dovette cercare salvezza nella gola di un camino, donde uscì nera „, Dante ricorda questa medesima versione di leggenda nel Purgatorio, e. XIII, dicendo che Sapia senese Levò in su Tardità faccia, Gridando a Dio : « Omai più non ti temo ; » Come fa il merlo per poca bonaccia; per cui il Landino ebbe a notare il proverbio volgare messo in bocca al merlo al venire della primavera : " Non ti curo, domine, eh' uscito sono dal verno „. Una variante spagnuola riportata dal Tiraboschi cit., p. 99, somiglia in parte alla siciliana nostra. Per altre versioni estere, vedi P. Meyer , Les joiirs d^ em- pruni, in Romania, v. Ili, p. 294-297, e Prato, Gli ultimi la- vori del Folk-Lore neo-latino, p. 36; Parigi, 1884. - r«* f -.-j' .a*^ 421 CXXXVIIL La stìdda dì lu vujàru. 'Na vota ce' era un vujaru , chi stava guardannu un paru di vuoi ; cci spuntaru 'i latri e ce' ieru a 'rrubbari 'i vuoi. Curriu 'u vujaru e iju a chiamau 1 patruni pi jirieei a livari 1 vuoi. Gomu fu, comu nun fu, ristaru 'ut' ó cielu , e su' misi : 'u pam d' 'i vuoi davanti, 'i latri darrieri chi li caceianu; 'u vujareddu e' 'u bastuiii ehi cci 'nsigna 'a via 6 patruni, e dar- rieri, 'i patruni d' 'i vuoi. Nossoria ^ VARIANTI E RISCONTRI. la stidda di lu vujàru {Naso), Un boaro avea due buoi, che costituivano la sua ricchezza. Una notte, mentre tutti dormivano, senti rumore alla stalla e chiamò il servo per andare a vedere che fosse. Il servo Si alzò e uscì fuori, ma, sonnacchioso com'era, invece di pensare ai buoi, si sedotte e s'addormentò. Il boaro vedendo che il servo non ritornava, corse alla stalla e trovò che i ladri gU avevano rubato i buoi, e se li stavano portando. Allora cominciò a chiamare aiuto, e si mise ad inseguire i ladri. Alle sue grida accorsero la moglie, una sua figliuola, e da ultimo il servo. Ora in ciclo, nella stidda di lu vujaru^ le due prime stelle a destra sono i buoi, le due seconde, i due ladri, la terza il padrone, la quarta la moglie con la figlioletta vicina , e 1' ul- tima il servo. Vedi Usi e Costumi, v. Ili, p. 7. * Raccontata da Rosalia Cocimanno, campagnuola, e raccolta dal signor Mariano La Via-Bonelli. 422 CXXXIX. Fra Cola \ Fra Gola era un rumìtu , eh' avia 'na grutta supra 'a Giaganta ^ Ora 'na 'ota, n' òn filu di vespri di Giu- gniettu , mentri 'u càudu cadia a pezzi , vinni i bota d' 'a grutta 'na pòvra fimmina prena, ch'a malapena putia strasciniàrisi Tanchi, e cci dissi : — "0 Fra Gola, m' 'a faciti 'n' opra di carità? Datimi 'na stizzidda d' acqua, cà mi pari ca muoru!... „ Fra Gola l'acqua r avia , ma n' avia picca , e 'un vulia scìnniri sina ò vadduni pri gìnciri 'u 'nziru ^ e pricciò cci arrispusi: — ** Acqua nu nn* haju „. — " Facitimillu pi li dulura di la Bedda Matri ! scinnìticci sina ò vadduni ! „ — * Git sta sorti di càudu? Mancu si murìssivu ddocu ! „ 'A pòvra fimmina muriu daveru, e Fra Gola fu cun- nannatu di stari a menz' aria , 'mmienzu li nìuli e li timpesti. Modica *. * I villani (li Modica danno il nome di Fra Cola a una nuvola, che ha una goffa somiglianza con un frate incappucciato , e che dà in- dizio di una ruinosissima pioggia. Questa leggenduola è tradotta in italiano nei miei Usi e Costumi, v. Ili, p. 4(3. » Montagna di Modica. ' Per riempire la brocca. * Raccontata da Maria Jacono, servetta, e raccolta dal Guastella. ■ -•l f »,• i*s*i -r"- ■- -— SERIE SKST^ CXL. Fidi mi caccia, no lignu di varca. Ce' era 'na vota un malatu, un malatu-'nfirmu. Stu malatu avia 'na frevi ca 'un cci putia passari mai. Li medici, unu java, 'n àutru vinia, e la malatia sicutava sempri. 'Na vota va 'n amicu di stu malatu e cci va a fa 'na vìsita; dici : — Ora , cumpari, nn' aviti fattu tanti rimèddii : facìtinni 'n àutru, ca speru a Ddiu ca v' havi a giuvari „. — „ E qual' è , cumpari ? ;, — ** È 'na scagghidda di lignu di la Santa Cruci. Chista si vugghi, e si nni vivi l'acqua : ca è un'acqua biniditta, e si nni cuntanu 'spirienzi granni „. — "Gnursì, cumpari. Ma stu lignu unni si trova ? „ Rispunni 1' amicu : — " Haju 'ntisu diri ca si trova 'nta li Lochi Santi , a certi parti luntani dintra terra. Ma cu' cci va ? „ — *" Ah ! cumpari, si mi vulissivu fari la cantati di jìricci vui, arrifriscàssivu l'arma di li vostri morti, e livàssivu di pinari un puvireddu :... „ Chistu pinsò , pinsò , poi dici : — ** A mia!... Chiddu chi voli Ddiu! Cci vaju „. 42i FIABE E LEfir.ENDE Lu malata tira lu cascinni, pig^^liìa 'iinporn di pezza di dudici: — " Giimpari, 'un v' affi;i!iili: cliisii vi ser- vimi pi lu via^giu... „ Chiddu sì pig^j^hia li dinari, si.li- cinzia, e si nni va. Quannu fu fora o sì vitti ddi belli pezza di dudici; " E cu' ccì havì a jiri pi stu lignu di Santa Cruci? (dici) Ora vaju a tagghiu 'na sragjjfhia di varca e eci la portu... tantu pir tantu chi nni sapi iddu ca è lignu di varca ? : „ Couiu di fatti,va a inari,'ncugna 'nta 'na varca e cci leva 'na scagghia; V ammogghia nn' ón pizzuddu di carta bedda pulita e cci la porta a lu inalatu. (dia avia fattu passari 'napocu di jorna). Lu malatu suspirò; piggliia ddu pizzudilu di riliquia e si lu misi a vasari : vasa clii ti vasa, vasa chi ti vasa. Ddoppu cci lu proj a la mugghieri e si fa fari V acqua cu stu lignu. Si lu pig- ghia, e, mancu passàru tri jorna, stetti bonu. Ddoppu tempu, lu cunipari cci dichiarau tuttu lu passaggiu: ca cliiddu 'un era Hgnu di la Santa Cruci, ma lignu di varca. Lu malatu cci rispusi bottu 'ntra bottu : — ^ Fidi mi caccia, no lignu di varca ! „ Palermo ^ VARIANTI E RISCONTRI. Un' altra versione siciliana dice die un giorno dovendosi cacciare un demonio da una creatura, si pose su di essa un pezzo di legno di barca in forma di croce. Il demonio andò via dicendo : Fidi mi caccia. Una versione del tutto simile è fra le Iradizioni popolari veneziane del Bernoni, p. 5 : Siropo de harcazza la freve de- scazza, ' Raccontata da Rosa Brusca, cieca. 425 CXLI. • Pr' un puntu Martinu persi la cappa. 'Na vota s' avia a fari un Cardinali, e cc'era un ciaciar- dotu chiamatu Martinu. Stu Martinu cci cuncurria. Ora a 'na dimànnita ^ chi cci fici So Santità e li Cardi- naia, iddu sgarrau d' un puntu. — " Eh ! Martinu, cci dissi lu Papa, pr' un puntu pirdisti la cappa !... „ Lu Martinu pi currivu si nni iju fora di Roma, jennu pridicannu contra la liggi di Ddiu; e facia parrari'a la Divinità a vogghia sua *. Unnicchì, vidennu la so fau- sitùtini , la pupulazioni lu pigghiò e lu jiccò *ntra un puzzu. Palermo '. VARIANTI E RISCONTRI. Con questa storiella si spiega ed illustra lo stesso prover- bio , che altrimenti è spiegato ed illustrato neUa GCXGIU delle mie Fiabe sic. Non so a qual personaggio riferiscasi essa; ma, certo, un ac- cenno a Martino Lutero ed alla sua riforma c'è. Vedi Prov, sic, v. II, p. 59. z * Dimànnita^ interrogazione, quesito. * Intendi che spacciava come legge di Dio, come precetti della Chiesa, ciò che piaceva a lui. ' Raccontata da Domenico Ingrassia. ■^ +26 CXLII. Ddiu nni scanza di peju ! dici la crozza di mortai 'Xti volii mi galiintomu iju a firrìari 'na sepuytura, coiim (licissimu chidda dì li Cappuccini *. Firria di ccà, fìrria di ddà, cci vannu l'occhi supra 'na crozza di mortu, eh* avia scritta 'nta la franti: Ddiu nni pranza di peju ! Dici : — ** Cosa cariasa !... e peju di crozza di morta clii cci pò essiri?... „ Sta un piz- zudda : — ** Ora io mi V liù piggliiari sta crozza » dici e si la pigghiò. Torna a la casa. Coma la mugghieri vitti dda crozza, una fu e centu si fici ^ cà lu maritu cci purtava sta bellu cumprimontu; ma lu maritu era rivirsuliddu , e; la mugghieri s' appi a zìttiri *. 'Unca lu maritu sta crozza la misi supra un canta- ranu, e la povira nmgghieri ogni vota chi passava Tavia a taliari, ca si sintia siccari Tanna ^\ 'Na jurnata, 'un ni putonnu cchiìi, Tafforra e la jetta nna lu focu. E accussì la crozza iju a fmiri abbruciata. Avia dunca raggiunì cu' cci scrissi di supra: Ddiu nni scanza di peju! Palermo ®. ' Dio ci guardi da peggio (che (luesto) ! disse il teschio. • Fuori Palermo, dalla parte occidentale, è il cimitero detto de' Cap- puccini, tanto celebrato da I. Pindemonte nei suoi Sepolcri, e va- riamente descritto e giudicato da A. Dumas, T. Dandolo, M. Les- SONA e altri. Vedi i miei Spettacoli e Feste, p. 393. ' La moglie a veder quel teschio andò su tutte le furie. • Ma il marito era un po' bisbetico, e la moglie ebbe a tacere. ^ E la mugghieri , e la moglie tutte le volte che passava (per quella stanza, sul cui cassettone era posato il teschio), si sentiva morire. • Raccontata da Agatuzza Messia. 1 t 437 GXLIII. Finfu lu tempu chi Betta filava. Sta Betta era 'na fimminedda di nenti: una di 'mmenzu la strata , ma sapia filari megghiu di qua- lunchi fimmina. 'Na vota sta Betta scuntrò a lu Re Niruni , e cci dissi : — " Ddiu ^A duna saluti , Maistà ! chi putissivu campali miir anni ! „ Niruni, ca era un gran tirannu e sapia ca 'nta lu so regnu 'un lu putianu né sentiri né vìdiri , cci dissi : — " Comu ! tutti mi odianu e mi mànnanu gastimi , e tu sula m' addisii saluti ?... „ — " Maistà, sì ! Io canuscivi a vostru nannu, ed era tintu assai ; canuscivi a vostru patri , ed era tintuni. Vinì- stivu vui, e passàstivu e juncìstivu a vostru patri e a vostru nannu. Si muriti vui, veni 'n àutru cchiù tintu e cchiù tirannu; pirchì a lu peju nun ce' é fini„. Lu Niruni a sta Betta 'un cci fici nenti, nni la lassò jiri pi li fatti soi. A ssi tempi ce' era Re Salamuni, e sappi sta risposta di Betta; e la vosi canusciri. Eccu ca la sira Betta cci iju, e Salamuni cci pigghiò spassi a sintilla parrari. A la finuta, sapennu ca era l'unica pi filari, cci detti 'na manna di linu pi filalla la notti. Betta, turnannu a la casa , filò tutta la nuttata. Lu 'nnumani Niruni la iju a vìdiri, e vosi lu filatu; e chi fa ? lu fa sténniri supra lu tirrenu , 'n campagna , e tutta la terra chi stu filu misurò, cci la detti a Betta pri cumprimentu. ■m 42S FIABE E LEGGENDE (!ii stii Unni sua, lietla arriccliiu e 'un filò cchiù, e 'un fa( ia ìinini chi diri: Finfu In inupu chi Betta filava. Palermo K ■ VAIlIAxXTI E RISCONTRI. Qiiosla leggenda, che confonde due nomi di re lontanissimi r uno (la ir altro , abhraccia due motivi. Il primo cfr. con la CCLXI delle mie Fiabe sic. (riportala in italiano nei miei Pror, sir,, V. IV, p. 3iG), per la quale vedi pure a p. 448, voi. IV e Casalicghio, U utile col dolce, cent. Il*, arg. I'. Il secondo la famosa storiella di Berta, della quale si hanno versioni in Minucci, note al Maìmuìttile, e. II, st. 6, riportata dall' Imhmiam, Xovellaja fiorentìtut , "ìt edizione pag. 250 , e riassunta dal Pauli, Modi di d i re y \). li); in Zv sic a. Ricreazione de' curiosi j voi. II. p. 10; Dalmkdico, La fratellanza dei po- poli ìMe tradizioni comuni y I. p.; Pico Luiii di Vassano, Modi di dire procerbiali, n. !28i, p. 1 iO; D'Ambra, Proverbi italiani, p. \rl\ ; Faxfani, Vocabolario ddru.^o toccano alla voce Filare, Nel Giornale degli Eruditi e dei Curiosi, voi. IV, pp. 83-85, 154-15(), :234, 15 Giugno, 15 Luglio, 15 Agosto 1884, sono varie versioni e citazioni bibliografiche relative a questo pro- verbio. ' Raccontata da Domenico Ingrassia. •t 429 CXLIV. Lu gabbu junci. 'Na vota un parrinù diceva la missa, e comu si vutà' pi diri : Dominu sapiscu * , vitti ca tutti eranu cu li corna. " Gesù ! dissi 'nta d' iddu,. tutti cu li corna su' st' aggenti sta jurnata !» e si nni maraviglia' assai fina chi trasì' 'nta la saristia. Va pi nèsciri di la chiesa e chi si trova 'n testa ? un paru di corna cchiù longhi di tutti Tàutri. E sti corna cci nasceru pirchì s' avia fattu gabbu di V àutri. SicuUana K VARIANTI E RISCONTRI. Il proverbio significa che il farsi maraviglia o beffe dei difetti altrui (fàrisi gabba) fa cader subito nei medesimi difetti. Il prov. corre più comunemente cosi : Lii gabbu junci , la ga- stima no ; ed un altro proverbio : Cui si fa gabbu Cci cadi lu labbru. ^ Dominus vobiscum, * Raccontata da Giuseppe Attanasio. /• 'm ■-r*.r««ir*-9ll -Vkvihn«M«^ ■-.i.i -■ r fra ■ I ■ 430 GXLV. Soni e canzuni s\C comu lu ventu. Petra Fudduiii, cu tutti li so' fuddii, era curazzu, e a lu spissu dava a manciari a quarchi amicu e canu- scenti so. 'Na jurnata 'ncuutrò un amicu, ca avia un bellu pezzu ca 'un lu vidia, e lu 'mmitò 'nta 'na taverna. Fra tantu 'n sacchetta mancu avia un guranu, e pinsò di cuniminari la siguenti cosa. Chiama a lu tavirnaru e cci dici : — " Oj haju 'mmitatu a st' amicu, ma 'un haju, chi si dicissi, un pezzu di tirdinari \ Vi cuntin- tati, allocu di dinari, di canzuni ? ,^ (Era pueta 'stim- puraniu, e puisii nn'arruzzulava quantu la rina). Lu ta- virnaru si nni cuntintò, e cci detti a manciari a iddu e a Tamicu sò.Finutu di manci iri,Petru Fudduni accuminzò a fari puisii : una lassa e 'n' atra pigghia , tutti una cchiù megghiu di 'n' àutra. Lu tavirnaru 'un arristava sudisfattu, e cci dicia : — " Ghista 'un mi piaci : 'n' àutra megghiu „. E lu Petru Fudduni a'rruzzularicclnni quan- tu cchiù nni putia; ma quannu cci scappò la pacenzia, cunchiudiu cu sti furmati paroli: — "He manciatu e vivutu a cumprimentu, Binchì m'aviti fatta piniari, M'aviti fatta parrari a lu ventu, E 'un v'aviti vulutu cuntintari. Io nun haju né picciuli, né argenta ^ E si nn'avissi, nun vi nn' haju a dari „. * Ma non ho neppure un quattrino, un centesimo. • Io non ho nò rame, né argento. <■ A SONI E GANZUNI SU' GOMU LU VENTU 431 Lu tavirnaru però cunchiudiu cu diri : — " Soni e canzuni su' comu lu ventu : Lu tavirnaru voli li dinari ,, Palermo. VARIANTI E RISCONTRI. Vedila in italiano nei miei Frov, sic., v. II, p. 245. Una ver- sione, probabilmente napolitanesca, dev'essere, se mal non ri- cordo, in Gasalicghio, Untile col dolce. Su Pietro Fullone vedi i miei Studi di poesia popolare, p. 109, e il nostro aneddoto a p. 135 di essi. ■^■i'^1^ ••; 432 CXLVI. Si scanta di lu bicchi-bacchi, e nun si scanta di lu tira-e-stocca. 'Na vota muriu un signuri, unu dì chisti pezzi grossi^ ca quantu nn'hannu ^ mancu si lu sannu iddi stissi. Muriu, e li parenti lu ficiru purtari a la chiesa pi fa- ricci r assèquii. Lu visteru cu li megghiu robbi, e cci lassaru a li jìdita tutti l'aneddi ch'avia misi. La notti certi latri si 'mpustaru 'nta la chiesa pi livàricci sti aneddi. Quannu cci parsi ad iddi, unu nesci zittu zittu, e va pri jìricci a scippari st' aneddi; tira, tira, 'un si nni putianu vòniri , cu tuttu ca li jìdita avianu addi- vintatu sicchi sicchi sculati (ma era, ca li jìdita Pavia menzi chiusi). Dici : " Ma com'he fari ?... „ Arrispunni unu di li cumpa| ; .-■.■' ^^^'^>^^'-^'^-: *i •-.-■. ^ =< ■^ ^ • ' .j-.t «• . 434 GXLVII. Dintra Maria !... Fora Maria !... A tempu ca cc'eranu li Turchi 'n Sicilia, quanmi li fimminì turchi avianu a parturiri, si facìanu purtari la Madonna dintra p' aviri fatta la grazia di parturiri prestu ; e dicianu: — '^Dintra Maria di li Cristiani/ Dintra Maria di li Cristiani! „ Quannu poi parturianu, la vulianu nisciuta fora , pirchì la grazia era fatta e 'un n'avianu cchiù di bisognu. E allura dicianu: — ''Fora Maria di li Cristiani! Fora Maria di li Cristiani! „ Accussì nni vinni lu muttu: Dintra Maria! e Fora Maria ! e si dici quannu prima si vulia bèniri a unu e si cci facìanu cosi granni, macàri troppu; e poi 'un si pò vidiri cchiù ^ e si sdegna comu la carni grassa. Palermo *. ^ E poi, e poi si prende in odio. * Raccontata da Francesca Amato. ^ < : • 435 CXLVIIL Cu lu viddanu mancu lu diavulu coi potti. Gc'era 'na vota un viddanu burgisi ^ Stu burgisi avi^ la so terra, e avia li gran chiffàri ^; 'un cc'eranu omini e tempu chi cci bastava. 'Na jurnata, dispiratu, si misi a chiamari a lu diavulu. Lu diavulu, pronti ^ si misi a so cumannu e cci fici stu pattu: ca iddu cci facia di gar- zuni, ma lu viddanu, finuti li chiflfàri di la staciuni*, vinennu lu 'mmernu, si nn'avia a jiri tantìcchìa cu iddu a lu 'nfernu. Lu burgisi pii^sò, pinsò, poi accittò. Eccij, ca lu diavulu si metti a travagghiari : va di ccà, va di ddà; carria di la campagna a lu paisi Ugna, fenu, fir- ramenti, petra, sempri carricatu comu un sceccu. Li sirvizza , unu nni facia , e 'n àutri centu nni spunta- vanu ^ : e lu diavulu senza vutari facci a nenti. Quannu propria propria 'un cc'era cchiù chi fari, lu diavulu cci arrigurdò la prumissa : e si lu vulia purtari cu iddu. — ^ Chista eh' è ura di prumissa ? „ cci dissi arrab- biatu lu viddanu. Comu ! ancora ce' è lu tirrimotu di lu chiffàri, e tu mi veni a dici ca 'un cc'è cchiù nenti ?! „ E ddocu cci cumincia a diri zoccu s'avia a fari ancora : cosi ca mancu un annu cci putia abbastari pi finilli. * Un villano agiato. * Àvea il gran da fare. — Qui chiffàri, da fare, è un nome plur. * Pronti o prontu, add., pronto, sollecito. * Staciuni, s. f., estate. * Altri cento (servizi) ne venivano fUori. 436 FUBE E LEGGENDE Lu diavulu spirdau h sàta comu un tappu di màscuhi e spirìsci mmalidicennu Y ura e lu mumeatu chi cci vìnni la tintazioni di mittirìsi e' un viddana scartu e maliziusu* E pi chissu si soli diri ca cu lu viddanu manca la diavulu cci polti, Palermo *. VAIUANTI E RISGONTRL Vedi i Prov. sic, li, 419. Una versione ciancìanese fii poe- tizzata da S. Mamo, Li Cuniiceddi di me nanna, n. I : Lu dior rubi 'ngannatu da lu viddanu. ^ n diavolo spiritò. * Raccontata da Agatozza Messia. * 437 CXLIX. Cu' la voli cotta e cu' la voli cruda. Gc'era 'na vota un cummentu, e cc'eranu 'napocu di monaci. Sti monarci, quannu scinnevanu a rifittòriu, 'un eranu mai cuntenti: la pasta a cu' cci paria sfatta, a cu' cci paria 'ngridda ^. — ** Fra Giuvanni, dicia unu: chi- sta 'un è pasta; chista è codda di scarparu. E pinsà- ticci a scinniila 'n puntu ^ cà 'un si uni pò cchiù di manciari pasta sfatta !„ — ** Fra Giuvanni, dicia 'n àutru; mia chista ch'è manera ! cordi di citarra pi maccarruna ! ca nni scrùscinu 'nta li denti ? E facitìcci darì 'n àtri du' vugghi 'n'àutra vota ^ ! „. Sta storia era ogni jornu : e lu poviru cucineri 'un nni putia cchiù. 'Na jurnata chi fa ? comu la quadàra jisò lu vùgghiu, Fra Giuvanni pigghia 'na purzioni di pasta, e cci la cala; ddoppu un pizzuddu , nni pigghia 'n'àutra pur- zioni, e cci la cala ; ddoppu 'n àtru pizzuddu, pigghia lu restu, e cci la cala punì; dici: — * Ora videmu comu finisci... » Quannu cci parsi a iridu, scinni la quadàra, cci jetta l'acqua frisca, la cula, la conza e la 'mpia^a *, * Non ben cotta, tosta. * E pensate a levarla dal fuoco a punto. > E fatela (la pasta) bollire un poco ancora! ^ Quando parvd a lui (opportuno) , leva dal fuoco la caldaia , vi versa dell^acqua fi*esoa, la passa nello scotitoio, la condisce e la sco- della. FIABE E UEGGCniE e la fn passar!. Comu li monaci cuihinciaru a manciaiì^ ] casa di diavulu tutti ! Lu Patri Prìurì si siisi e ordini àlcnziu. Ma chi '.... cci vosi un pizzuddu e un pizzazza ! pi falli zittirì a tutti '. E ddoou si metti a fari 'na spa- rata a Fra Giuvannì , ca chista 'un era la manera di | tratttri li religiui;i, ra 'un eranu armali ca s*aTÌanu a manriari stu schifiu di pasta. Fra Giavanni 'ntisi, 'ntisì, quannu rei parsi ji iddu :— " RivirinnÌ3simu,ìo 'un sàcda corn' Ilo fari cu sta pasta Cu' la voli cotta e cu' la Toli cruda. Io la calavi a picca a picca, e accussi ognuna si pi^^hia chidda chi cci piaci ,. E di ddocu nni vinni lu muttu. Palermo *. VARIANTI E RISCONTRI. n motto corre anche cosi : Cu' la voli eotta, cu' la roti cruda, Ct^ la voli 'ntra la cìnniri atturrata, e ricliia[nerebl>e ad una origine od un aneddoto un po' diverso. ' Ci volle un bel [iezw> (deL bello e del buono) a (arli lacere tutti. * Raccontata da Fià t'raQcesco Pecora, cuoco del Convento de" Mi- nimi di a. Francesco di Paola in Palermo, e già prima calzolaio. 439 CL. Capu di Gàddu e Muntipiddirinu, Miati l'occhi chi vi vidirannu! 'Na vota partiu un bastimentu pi 'n America. A lu sbuccari di la Lanterna \ si sapi, si pigghia la rutta di Tramuntana, e si va custiggianu la muntagna diMunti- piddirinu. 'Nta stu bastimentu ce' eranu dui passag- geri, chi jàvanu fora regnu pi fari furtuna. Votasi una dlddi; vicinu a Capu Gaddu: — ^ Capu di Gaddu e Muntipiddirinu, Miati rocchi chi vi vidirannu ! ^ A ssi tempi pi jìri 'n America si cci stava misi e misi ^. Ddoppu tempu, arrivaru, e si misiru a niguziari. Passati 'napocu d' anni , sti dui palermitani arric- cheru, e pinsaru di turnarisìnni 'n Palermu. Lu viaggiu era longu: s' allianavanu cu li carti ^. Joca oj, joca du- mani, unu d'iddi cuminciò a perdiri; joca e perdi, joca e perdi ; s'arridduciu senza un guranu, cu li suU robbi eh' avia di supra. Lu bastimentu era già vicinu a Munti- * La Lanterna del Molo di Palermo. * Difatti, il primo a prendere mia rotta diversa dagli altii siciliani andando in America (New-York), fu Stefano Stabile, capitano della marina mercantile di Palermo; il quale col suo brigantino nominato Attivo compi in meno di tre meti il viaggio che fino allora (1840) s'era sempre fatto in cinque o sei. ^ E si divertivano giocando a carte. 440 FIABE E LEGGENDE piddirinu; comu si vota e vidi Capu Gaddu, stu pas- saggeri, cu li làgriini airocchi, dici : —- * Capu di Gaddu, capu di guai ! „ L'àutru, ca la sacchetta cci cantava, arrispunni : -— * Muntipiddirinu, alligrari mi fai ^. E sta cosa arristò pi muttu quannu li nostri marinara pàrtinu e poi tomanu 'n Palennu. Palermo ^. VARIANTI E RISCONTRI. Vedi questa tradizione in italiano nel v. IV, p. 353 dei miei Prov, sic, e nelle Nuove Effemeridi sic, serie IH, v. X, p. 315. I versi proverbiali variano così : Capu d'Orlannu e Muntipiddirinu, Cu sa si 'n' àutra vota nni videmu ! ^ Raccontata da Giuseppe Carini, nostromo. kL.^"-'«-« • ■■ f. t^'^»*tf% 441 GLI. Tanti nenti ammazzanu un sceccu. Ce' ^ra 'na vota un viddanu, chi java spissu spissu a carricari Ugna e* un sciccareddu fora lu paìsi. Stu scìccareddu era nìcu, ma lu viddanu si crìdeva ca putia purtari qualunchi pìsu. Lu carricava, e ddoppu carri- catu juncia 'n àutru fasciu di Ugna e dicia :— *" E chistu è nenti „ e tanti fasci juncia , tanti voti dicia ; — '^ E chistu è nenti „. Ora 'na vota carricò lu poviru sceccu ca facia piata, e, a lu solitu, ognu fasciu chi cci mittia di supra, dicia: — '^ E chistu è nenti „. Lu sceccu però 'un potti cchlù risìstiri, e scunucchiau \ E pi chistu si soli diri ca Tanti nenti ammazzanu un sceccu, Palermo *. VARIANTI E RISCONTRI. Vedi i miei Prov, sic, v. II, p. 150; e IV; p. 342. * Si dinoccolò, od anche, venne meno per debolezza. • Raccontata da Francesca Amato. f I l * « « , 442 f ) CLU \ La varca. 'Na vota ce' era un veccliìu, eh' abbitava ceà a Si- culiana, 'nta 'na easuzza vieìnu a lu Gurfu di Gìalu- nardu *. Stu veeehiu avia euniglia, gaddini, pii e gad- du d*Innìa \ Lu puvireddu campava cu li gaddineddi, li puddasci e li gramuscedda chi vinnia \ *Na vota cadi' malatu e nun potti fari lu menu di cucìrisi lu brodu. Ammazza' 'na gaddina, la cucì' e ddoppu chi la cucì' s' assittà' pi mangiari. Livà' di mangiari, piglia' l'ossa e li jittà' nni lu mari. Di tutti st'ussicedda la parti di lu pettu rista' a summa: ce' era 'na vavieedda di punenti friseu, e appuppà' a livanti \ Lu veeehiu, a sta vista, seinnì' di la finestra, e piglia' sta curazzedda d'ossa, nni fiei una eguali di lignu, e la jittà' a mari. Ghista cu 'u vintareddu ehi minava, si nni ij'. MaravigUatu di sta cosa, lu veeehiu nni fiei una echiù granni, cei detti lu versu di dd'ossa, e dac- cussì nasci' la varca com'è a lu prisenti. SicuUana \ * Questa e le seguenti tradizioni non si fu in tempo per allogarle alle debite serie. * Presso Siculiana. » Tacchine (piij e tacchini. * Il poverino aveva delle galline, delle pollastre e de' conigli pie- colini, che vendeva. ® Livà' fini di mangiare, prese le ossa e le gettò in mare. Di tutti questi ossicini, la parte (Posso; del petto restò a galla; spirava (cecero) un venticello fresco di ponente, e (l'osso) s'avviò verso lavante. ® Raccontata da Giuseppe Attanasio. "^♦•?f **^ 443 CLIIL La Lavannera di S. Giuvanni. Dici ca a tiempi antichi cc'era 'na lavannera , chi avia 'na cummari vattiata \ e *na 'ota, comu fa, comu nun fa, ppi mutivu di 'ntressu, sta lavannera si misi a 'nciuriari 'a cammari ('u Signari nni nni pozza^can- sari, cà piccata comu a chissu *un cci nn'è! ^) di latra piggiànnula e di latra lassànnula. 'A póvra cummari cci dicia : — " Pinsati ó San Giuvanni ! „ — " Chi San Giuvanni e San Giuvanni ! „ e 'n sàcciu chi e 'n sàcciu comu '. — " Viditi ca 'u San Giuvanni è gilusu ! „ — " Chi gilusu e gilusu !... „ e cci linzia la facci ccu V ugni *. Duoppu aviri fattu sta bella prisa , si càrrica 'a trù- scia, e sì nni va ò sciumi ^; ma a malapena accumenza a bàttiri 'a tila, tuttu 'nsiemi si ferma. L'àutri iavan- nieri cci dicinu : — " Chi fu ? ch'avistivu ? „ Vannu ppi taliari, e s'addunanu ch'era morta. Vmninu 1 bicchini, e nun cci fu viersu di putilla li vari. L'alliazzaru tutta * Cummari vattiata, comare di vattiu, di battesimo. * La novellatrice si sente venire la pelle d'oca al solo raccontare di offese tra comari. Secondo il popolo, una parola ingiuriosa lan- ciata da comare a comare , da compare a comare , ecc. non è per- donabile : e S. Giovanni la punisce severamente. ' Letteralmente : E non so che, e non so come. Ma significa che cominciò a dirle delle parole indecenti, qui molto ingiuriose per San Giovanni, protettore del comparatico. * E le lacera con le unghie il viso. * Si càrrica, si carica il fardello (del bucato) e se ne va al fiume. M I : 444 FIABE E LEGGENDE di cordi e 'napuocu di pìrsuni si misuru a tiralla; ma nun la puòttiru tirari, cà paria 'na muntagna. Finar- menti àppiru a vèiiiri 'i parrini ppi scunciuralla ^, e ac- cussì sulu si lassau tirari. Ora ogni notti si nni veni n' ó sciumicieddu , e si metti a mazziarì 'a tila; quannu canta \\ jaddu , ap- piccica n'ó tettu d' 'a eresia di S. Giuvanni e sa idda unni spirisci *. « Modica *. VARIANTI E RISCONTRI. Da riportarsi al ciclo delle leggende di S. Giovanni Battista, p. 180; pel quale vedi II Comparatico, negli Usi e Costumi^ V. II, p. 255. ^ Finalmente ebbero a venire i pi'eti per esorcizzarla. * Ora ogni notti, or tutte le notti se ne viene al flumicello, e si mette a battere la tela, e, quando canta il gallo , s'arrampica f^ap- piccicaj sul tetto della chiesa di S. Giovanni, e sparisce, non si sa dove. > Raccontata daUa lavandaia Antonina, intesa Auriccedda, e rac- colta dal Guastella. 445 CLIV. Lu Chiancheri \ 'Na vota ce' era un chiancheri. Stu chiancheri avia tanta vinnita *, pirchì tutti li genti jàvanu nn'iddu p' accattari. 'Na jurnata cci va a la chianca 'na iBimmina, gravita grossa ', e tutta piatusa cci dici : — ** Mi la faciti la ca- ntati : mi la dati tantìcchicf di carni, quantu mi fazzu tantìcchia di vrodu, cà haju li dulura di supra? * „. Si vota lu chiancheri cu so mugghieri (comu dicissimu): — ** Nina, cònzacci lu lettu e la fa' curcari, puviredda ! „ La mugghieri la fa tràsiri, la fa curcari, cci fa un bellu vrodu cunsumatu, e manna a chiama la mammana pi assistilla a lu partu. Ddoppu 'na para d'uri, sta donna figghiau e ilei un beddu picciliddu. Stu picciliddu lu vattiò lu chiancheri e so mugghieri ^, e cci misiru lu nnomn di lu chian- cheri. Stu picciliddu java criscennu ad ura ed a puntu , e comu criscia, allocu di chiamari matri a la matri vera, chiamava matri a la mugghieri di lu chiancheri, 1 n macellaio. s Questo macellaio area molto spaccio di carne. * Una donna agli ultimi mesi di gravidanza, < Li dulura di supra, qui i dolori del parte. * Questo bambino fpiccilidduj lo battezzò il macellaio • la moglie di lui. r" 1 t 1 ■ } ,'• 446 PUBE E LEGGENDE 'Na jurnata si vota la mairi di lu picciliddu cu so cumpari e cci dici : — " Pirchì 'un V avvilinamu a tò mugghieri, e uni maritamu tuttidui? „ Lu cliiancheri cci dissi di sì; e quannu fu ura di mauciari, coi mi- nistrò un piattu di pasta a so muggliieri, 'mmilinata. Povira donna, muriu; e lu chiancheri si maritò cu la cummari. Arristò lu picciliddu. La mugghieri, ddoppu f joma, cci dici : — " Lu sai chi facemu ? Livàmunni di ! 'mmenzu puru a lu picciliddu ^; accussì arristamu suli [ e beddi cujeti „. Lu maiìtu si lassò li vari d'idda, e senza tantu scrùsciu 'mmilinau puru a lu picciUddu ; e ma7 ritu e mugghieri arristaru suli. Ma ddoppu jorna, a la mugghieri cci vinni lu rimorsu; si vota cu lu maritu : — " Ora io mi vogghiu jiri a cun- fissari di stu gran piccatu, cà 'un mi pò sonnu ^ ,. Nesci e a lu primu parrinu chi trova s' addinòcchia pi cunfissàrisi. Lu parrinu, a sentiri sta gran sorti di pic- catu,— " Ih 1 (cci dici), figghia mia ! cc'è lu San Giu- vanni pi lu menzu ^, e io 'un vi pozzu assòrviri „. Sta fimmina si susi, e va uni 'n àutru parrinu; si cun- fessa, e comu cci cunta lu fattu, ddu parrinu spirdau , e nni la mannò senza assuluzioni. 'N àtru parrinu, la stissa cosa. 'Nsumma cu tanti si cunfissau, tanti nni la mannàru cu diricci ca chistu era un sarilèggiu, ca sulu lu Papa la putia assòrviri. Gunfusa, si iju a jit- tari a li pedi di lu Gardinali *. Lu Gardinali cci dis^: 1 Leviamo di mezzo anche il bambino. * Cày che (dal rimorso) non pqsso prender sonno. ' Quel prete spiritò (a sentire la grande offésa fatta da questa donna a S. Giovanni Battista, protettore dei compari). * Qui allude all^ÀrciTescovo di Palermo, tradizionalmente chiamato ..•• LU GHIANGHERI 44F — • Figghia, io mancu ti possu assòrviri; ma pi ora fa' sta pinitenza : ca pi tri jorna ha' a 'cchianari addinuc- chiuni supra lu Casteddu Supranu ^ „. Pi ramuri di livàrisi ddu gran piccatu di Tarma, lu 'nnumani matinu si misi a 'cchianari a dinòcchia nudi la muntagna; e tutta la jurnata 'un fici àutru ch^ ac- chianari. Li dinòcchia cci chiuvìanu sangu , e d' unni passava, lassava 'na striscia russa. Arrivannu ddassu- pra, q'iantu vidi passari un catalettu cu 'na prucissioni vistuta di niuru, e 'nta lu catalettu, so cummari, la mugghieri di lu chiancheri. Gomu la vitti cci dissi a la morta : — " Cummari, mi pirdunati? „ — " No, nun ti pirdugnu né io, né Ddiu, né S. Giuvanni ! „ Lu 'nnumani cumincia la pinitenza arreri. Li dinòc- chia cchiù di cchiù cci jittàvanu sangu, e chiancia chi era 'na piata. Juncennu supra lu Casteddu, vidi ar- reri lu catalettu cu la morta e la prucissioni vistuta di russu. — " Cummari, (dici) mi pirdunati ? „ — " No, nun ti pirdugnu né io, né Ddiu, né S. Giuvanni ! , La terza jurnata cci acchianò arreri, e li dinòcchia 'un si putianu guardari di lu tantu chi cci mannavanu sangu ,; e idda chiancia a chiantu ruttu. Arrivata ddas- Cardinali, Molti degli Arcivescovi della diocesi di Palermo, infatti, hanno avuto il cappello cardinalizio. 1 Per tre giorni hai a salire a ginocchi nudi il Castello Soprano. Casteddu Supranu è il nome volgare della maggiore delle due a- sprìssime rupi che da levante a mezzogiorno chiudono il comune di Cor- leone, e sulle quali poggiano due fortezze. Nelle lettere dell'Arcive- scovo di Palermo, ai tempi di Guglielmo II, Corleone è chiamato Castello. a: '; I ■ t : l1" j . e 448 FIABE E LEGGENDE supra vitti la prucissioni tuttu vistuta di biancu. — *Gum- mari, mi pirdunati ? „ — " Né io, né Ddiu, né S. Giu- vanni ti pirdunamu „ (ma cu lu fattu poi la pirdunò). •^j Affritta e scunsulata si nni scinniu di lu Gasteddu ; I i e iju nni lu Cardinali, e cci cuntò tuttu lu passaggiu. Lu Cardinali cci detti 'n'àutra pinitenza :— " Lu primu mortu chi mori ^ a lu tò paisi, cci ha' a jiri a guar- dallu tu, tutta la nuttata, sula „. Juncennu a lu paisi, la prima iBimmina chi scuntrau si 'nfurmò : — " Mi sapìssivu diri cu' ha murutu sta- notti 'nta lu paisi ?*„—** Muriu (comu dicissimu) Don Pippinu, lu chiancheri „.— " Don Pippinu? ! „ arrispun- niu sta fimmina, e si 'ntisi 'na fitta di cori. Va, ac- chiana nna la casa di lu mortu, e cci dici a chiddi chi lu stavanu arripitannu * : — " Vuliti ca stanotti cci fazzu tutta la nuttata io a lu mortu ? „ — " 'Unca picchi no ?..., A menzannotti 'n puntu, si susi ddu mortu di 'mmenzu la càmmara^ e la va a'flferra; dici :-—" Lu vidi, scilirata, ca pi causa tua mi nni jivu a lu 'nfemu? !...„ La pigghia e Taflfuca. Idda muriu bottu 'ntra bottu; ma pi IsL pinitenza chi avia fattu di tutti li so' piccati, si nni iju 'n paraddisu, e lu chiancheri si nni iju drittu tiratu a lu 'nfernu. Corleone *. * La prima persona che morrà. * Mi sapreste dire chi è morto stanotte in paese? 8 Arripitari, fare il corrotto che im tempo faeeano le prefiche sopra il morto. Su questo argomento vedi i miei Usi e Costumi^ v. II, p. 212. * Raccontata da Marianna Bordonaro, ragazza a 18 anni. 449 CLV. Birbunazza ! ti la manciasti la pasta cu li linticchi ?... Si cunia e s'arricunta ca ce/ era 'na vota 'na nanna e *na niputi, ca si chiamava Pippina. Sta nanna filava, e ogni jornu niscia e java a cun- signari sirvizzu \ 'Na jurnata , prima di nèsciri , cci dissi a so niputi: — " Pippina, vidi ca io vaju a cunsignu: tu coci la pasta cu li linticchi, cà comu vegnu nni la manciamu *^ „. La nanna nisci'u, e Pippina si misi a còciri sta pasta cu li linticchi. Quannu fu lesta, la misi di latu, pirchì so nanna nun vinia ancora. 'Nta la cucina ce' era 'na finestra, chi spuntava fora, 'nta un jardinu. Trasi un gattu nìuru, e si mancia la pasta cu li linticchi. 'Nta stu mentri junci la nanna: — " La cucisti la pasta cu li linticchi? r, — " Sissignura, nanna; havi un pezzu eh' è lesta, e haju aspittatu a vassia chi vinia. „ Pippina va nna la cucina, va pi pigghiari la pasta, e trova la pi- gnata vacanti :-t-" Mischina mia ! e comu fazzu ora cu me nanna!... Chi cci cridi ca appi a essiri lu gattu ca si la manciò ?..... Si figura ca mi la manciai io.... „ La nanna la chiama; e la niputi, cunfusa. Trasi la nanna 'nta la cucina , e vidennu la pignata vacanti, pigghia 1 Intendi che questa vecchierella andava a consegnare il filato. * Io vado a consegnare ^ filato); tu cuoci la pasta insieme con le lenti, che, appena io ritornerò, la mangeremo. G. PiTRB. — Fiabe e Leggende. 29 ii"*r".r-1hniM 450 FIABE E LEGGENDE un lignu: tirìtinghi e tiritanghi supra li spaddi di Pip- pìna ! * dicènnucci: — * Birbunazza ! ti la mandasti la pasta cu li linticchi ?... ^ Mentri cafuddava e gridava, passa e passa 'na car- rozza. 'Nta sta carrozza ce* eraSòMaistà;sintennu sti vuci, — ** Ferma (cci dici a lu cucchieri); subbitu, (cci dici a lu criatu) va' darreri sta porta unni cci su' sti battarii, e vidi chi cc'è. , Lu criatu attenta, e 'un senti àutru: Birbunazza! ti la mandasti la pasta cu li lintio chi ? E cci porta sta nutizia a lu Re. Ordini di lu Re: — * Subbitu, fa' gràpiri, e vidi chi cosa è. „ Lu criatu tuppulia; cci gràpinu la porta, e sta vecchia cci cunta tuttu lu passaggiu di la pasta cu li linticchi. Comu lu Re senti sta cosa, si fa pigghiari a dda povira picciot- ta^ si la metti 'n carrozza cu iddu, e si la porta a pa- lazzu. Comu arriva a palazzu, cci fannu im billissimu ba- gnu, e la vèstinu 'na galantaria. Idda bedda ce' era: cu st'abbiti, paria 'na Rigginedda; ed era cuntintuna. Avia passatu 'napocu di tempu: eccu ca 'na jurnata trasi un criatu nna lu Re : — ** Maistà, ce' è 'na vec- chia, e voli parrari cu la Signurina ».— * Dumannati cu' è sta vecchia „ dici lu Re. Risposta di la vecchia:— * Io sugnu la nanna di Pippina; sìceomu havi assai chi 'un la viju, haju disidderiu di vidilla. , — • Facìtila tràsiri „, dici lu Re. E la vecchia trasiu. Pippina, comu la vitti, cci misi a fari tantu preu; ma la vecchia, allocu d'abbraz- ,«arisilla, la prima cosa chi cci dissi fu: — • Birbunazza! 1 DàlU e dàUi sidle spaUe di Beppina. BIRBUNAZZA ! TI LA BtANGIASTI LA PASTA ECC. 451 ti la mandasti la pasta culi linticchi ?... „ — ** Vassa si zitti (cci rispunni Pippina), cà si la senti So Maistà, eh' havi a diri? „ E la yecchia a ribbricari ^ arreri la stissa cosa: — ** Birbunazza !... „ Si vota lu Re: — "Pippina, chi havi tò nanna, ca fa accussì ? „ — "E eh' havi ad aviri, Maistà ! siceomu è riddutta povira e pazza ", vurria quarehi eusuzza di dinari. „ — ** Gei sia concessu! Ccà ce' è stu sacchitedda di munita d'oru: dunaecillu a tò nanna. „ Idda, comu si vidi ddu saeehiteddu davanti, si lu 'nfila 'nta lu pettu *, e cci torna a diri:—" Birbu- nazza ! ti la mandasti la pasta cu li linticchi ?... „ e si nni iju. Ddoppu jorna, cci turno arreri, e la prima parola: — ** Birbunazza ! ti la mandasti la pasta cu li linticchi?... „ Lu Re, sintennu ca era senza dinari, cci fici dari ^n àu- tru saeehiteddu; e la licinziau ; ma idda a lu jirisinni cci ribbricò la stissa canzuna: — " Birbunazza!... „ Passàru 'n atra pocu di jorna, e cci vinni lu disid- deriu dì vìdiri arreri a sta niputi. Va, e lu criatu cci porta la 'mmasciata a lu Re. Lu Re , pi rispettu di Pippina, la fici tràsiri; Pippina cci fa lu gran preu; id- da, la prima parola: — ** Birbunazza ! ti la mandasti 1^ pasta cu li linticchi ?... „ Rfspunni lu Re: — *" Pippina, chi havi tò nanna ca fa accussì ? „ La niputi 'un ni potti cchiìi, mischina: — * E eh' havi ad aviri, Maistà! ' Ribbricari per riplicari, replicare, tornare a dire. • Povera e desolata. • Si ricordi che il seno, è per le donne del popolo il luogo più si- curo, nel quale esse conservano carte monete, quattrini, carte d'o- gni genere ed altro. Vedi Usi e Costumi^ v. I, p. 13, n. 1. r AÒi FIABE E LEGGENDE voressiri jittata d* un finistruni , lu cchiù gàutu clii ce' è. , Si vota lu Re: — ' Gei sia cuncessu I... Olà olà !... (chiama lì criati) ; pigghiati a sta vecchia, e jiitàtila di lu finistruni cchiù gàutu chi ce' è. » Lu finistruiii ccliiù gàutu spuntava supra la fniretta di lu Re. Cornu la jèttanu, sta vecchia, scuppannu 'n terra, fa un gran fossu \ Ddoppu jorna , nta stu stisau lucali nasci e nasci un bellu pedi di tribbotu -. Passannu 'n atra pocu di joraa , lu Re chiama a Pippina e cci dici: — *" Pippina, assettati e cercami la testa 'nantìcchia * „. Pippina s' assetta a lu finistruni chi spuntava supra la fruretta , chidda stissa unni fu jittata la nanna, e lu Re si cci appujau la testa di su- pra. Idda lu misi a pittinari. Mentri cci circava la te- sta, un còcciu di tribbotu cci metti a satariari di su- pra a idda *, e cci dici: — " Birbunazza I ti la manciasti la pasta cu li linticchi ?... „ Idda, sintennu accussi, si fa *na gran scaccaniata : Ah hachch chuckch .'... ^ Lu Re, sintennu sta gran risata, si jisa la testa e cci spija: — " Ciii hai, Pippina, ca ridi accussi ? „ — *" E eh' he ^ Ltt finistruni^ il balcone più alto dava sulla fioretta del Re. Ap- pena la buttan giù, piombando per ten-a, questa vecchia fa un gran fosso. * Dopo giorni in questo stesso sito (fosso) vien fuori una vite. — Tribbotu o tribboti s. in., vite che fa tre volte {tri voti) Tannò Tuva. ' Siedi, e cercami il capo un poco. * Un còcciu^ un chicco d'uva (della vite da tre volte) comincia a saltellare addosso a lei. * Imitazione della sghignazzata {scaccaniata)^ che riscontriamo tale e quale in Buonarroti , Giorn. 2, att. 4, se. 27., dove pure sono altii suoni imitativi. birbunazza! ti la mangiasti la pasta ecc. 463 'viri, Maistà... ? ca la scupa di me nannu è cchiù bella di la vostra varva!... (mischina, 'un appi chi scusa pig- ghiàricci). Rispunni lu Re: — " Ebbeni: 'nta sti jorna tu m' ha' a fari vìdiri sta scupa. „ Comu difatti, 'n capu a 'na simana, lu Re chiama a Pippina, e cci dici: — *" Vestiti, ejamu nni tò nannu pi la scupa. „ La Pippina a sta cosa si misi 'n cun- fusioni: — "E unni V he purtari a So Maistà!... Io eh' haju nannu !... „ Ma 'un appi chi fari: s' appi a ve- stiri , si misi 'n carrozza cu lu Re, e nisciu. Camina, camina, ^un sapia unni avia a jiri. Passa vòscura, passa chianuri, e 'un sapia unni jirisi a tèniri. A certu puntu cci vinni 'na pinsata di scìnniri : e cojnu arrinesci si cunta. — ** Maistà, (dici), accussì, 'n carrozza , io 'un viju lu palazzu di me nannu. Lassatimi scìnniri un pizzuddu, quantu viju uon' è. „ Scinniu e misi a ca- minari a pedi: e lu Re 'n carrozza. Gammannu cami- nannu, a cu' va a 'ncontra ? a ddu gattazzu nìuru chi cci avia manciatu la pasta cu li lin ticchi. Stu gattu cci dumanna: — " Pippina, e tu comu si' agghiriccà ? „ E idda, mischina, cci cunta tuttu lu passaggiu. Lu gattu nn' appi piata , e la vosi ajutari. — " Senti eh' ha' a fari: lu vidi ddu palazzu ddà luntanu? Ghistu è mio. Vacci cu lu Re, trasi fina a la càmmara unn' è lu lettu; trovi un lettu ; ddà cci sugnu io curcatu , ca mi pari la sula testa cummigghiata cu 'na scufia e li granfuddi' di fora ^. Comu tra^i, mi vasi la manu: ' Ssabbinidica, nannu, Vasski cmn^ è ? Poi mi spij: Chi cci 'nsignò lu medicu ? Io ti rispunnu e ti dicu: 'Nantìcchia di ràdica, ' E gli zampini di fuori (le coperture del letto). r • 7" ■ ■ ■ *i : 454 FIABE E LEGGENDE Tu mi fa' tràsiri un criaiu cu la ràdica; io mi la Ijipphiu, e mi laiizu ^ Accussì tu fa' tràsiri a 'n àutru criatu cu la scupa , ca è ccliiù bella di la varva di lu Re. „ E lu gattu spiriu. Pippina, adduttrinata, acchiana 'n carrozza cu lu Re, e cci dici a lu gnuri: — " Caccia pi ddu palazz' e cci lu 'iisignò. Comu arrivami , acchiananu e vamiu drittu tiralu una la cammara di lu lettu. Lu Re al- luccutu a vìdiri stu gran palazzu. Supra lu lettu ce' era curcatu lu gattu cu la so scu- lìedda, e li granfuddi fora la robba -. — 'Ssabbinidica, nannu: vassia coni' è V (cci dici Pippina, e cci vasa la manu). Vassia chi havi eh' è curcatu ? „ — " Sugnu nialat\i ^.— " K lu modicu chi cci 'nsignò? „ — "" Nan- tìcchia di ràdica ^. Idda chiama ^ubbitu:--" Olà, olà I purtàticoi la ràdica a me nannu I , Lu criatu cci porta la ràdica; la Pippina cci la duna a lu gattu, é lu gat- tu, ddoppu un pizzuddu, cci vinni lu gran lanzu „. — ** Olà , olà I dici Pippina; purtati la scupa. „ Lu criatu trasi cu 'na scupa tutta diamanti e petri pri- ziusi. Lu Re allucchiu a vìdiri sta scupa, e dissi 'nta iddu: " Havi raggiuni Pippina, ca la scupa di so nannu è cchiù bella di la me varva I... ., Lu gattu, ddoppu jorna muriu, e tutti li ricchizzi di ' Comif trnsi\ apjìcna entrerai mi bacerai la mano (dicendomi): — Klla mi benedica, nonno. Come sta ? Poi mi domanderai: — Che cosa Jo prescrisse (nsignò) il medico ? Io ti risponderò e ti dirò: — ^Un po- chino di radice d'ii>ecacuana. Tu mi farai entrare un ser\itore con la iiH?cacuana: io la prenderò e darò di stomaco (/ar'-»i« BIRBUNAZZA ! TI LA MANGIASTI LA PASTA ECC. 455 ddu palazzu cci arristaru a Pippina. Idda cu lu Re si pigghiò chiddi chi si potti pigghiari, e si nni turno • a palazzu riali. Ddà, senza perdiri tempu, iBiciru li capi- tuli, e si maritaru lu Re cu Pippina. Iddi arristaru filici e cuntenti, E nuàtri semu ccà senza nenti. Palermo Raccontata dalla Qiovannina di Monreale. >&!'v; 456 CLVI. 'U scarparu *. 'Na vorta ghiera e ghiera *n scarparu. Stu scarpara avia dui figghif? e 'a mugghiò; se redusgìttu 'n bascia fortuna, o siccomu 't'ò so paisu nen pudia campò, se n'andà paìsg' paìsg'. Andava bandiandu pe desperà : — Cunzhna scarp' ! ma nuddu ghie guaciava. Stava muirindu de famu , e se cumenzà a girò c"a Sortu: — " Sortu mia, dum' aiutu ! „. Ghie spunta 'a Sortu, e ghie dà 'na bursa : — *" Tien zza sta bursa, e chiù clie ghie dumand', te duna : pan, vin e tuttu chiù ch'ai de besognu „. Pigghià, 'a scira, mangia, bevìttu , se 'mbriacà e se Lo scarparo (Versione letterale). Una volta c'era e c'era uno scarparo. Questo scarparo avea due figlie e la moglie : si ridusse in bassa^ fortuna, e siccome nel suo paese non potea campare (vivere) , se n' andò paesi paesi. Andava gridando per disperato : Racconciamo (accomo- diamo) scarpe ! ma nessuno gli affacciava. Stava morendo di fame e si cominciò a rivolgere alla Sorte: — Sorte mia, dammi aiuto. Gli apparve la Sorte e gli diede una borsa : — Tieni qui que- sta borsa , e quello (ch'in) che le domandi ti dà : pane , vino e tutto che hai (avi-ai) di bisogno. La sera pigliò, mangiò , bevve; s'ubbriacò e se ne andò in ' Conservo la gi'afla seguita d'.il mio amico signor M. llk Via- Bonelli, e vi aggiungo una versione. Le e corsive son mute. Ivsr**^ ■^ 'U SCARPARU 457 n'anela 'ta 'n fundé^u. Se durmìttu. 'A iiuoitu 'a funda- ghiera andà, glnV ddé'và 'a bursa e ghie ne metìttu 'n'àutra. Coniu se Yesveghiìi 'a mattina, 'u scarparu se 'ntan- tia; vedìttu ch'avia 'a bursa, ma nen talià se iera chidda stissa. Partìttu p'und' 'o figghie, alegru e cmitintu, e, isa ch^ cicca *nfrnntu d'unda stava, cmnmzà a dì : — ** Elii, mugghiè mia, sima ricch' ! „ E 'a mugghiò de soi fig- ghìe : — ** Sta vrnindu 'u loccu de vostru padi u ; ura ghie 'a duna 'na fila, che partìttu p' andò a procure 'a spisa, e ncn porta nientu „. Isa che riva nintra, 'u scarparu cumenzà : — ** Ehi, bursa mia, niescu grai, pan, vin quantu basta ! „ Nen nescìttu nientu , e 'a mugghiè e 'i figghie 'ji gaddanu a corp' de gisc', un fondaco. S' addormentò. La notte la fondacaia andò , gli levò la borsa e gliene mise un'altra. Come si risvegliò, la mattina, lo scarparo si tastò; vide che avea la borsa , ma non guardò s' era quella stessa. Partì per (andare da) le figlie, allegro e contento, e appena giunse di fronte (al luogo) devastava, cominciò a dire : — Ehi moglie mia, siamo ricchi ! E la moglie alle sue figlie : — Sta venendo lo sciocco di vostro padre ; ora gliela diamo una fila (di ba- stonate) , che partì per andare a procurare la spesa , e non porta niente. Appena che arrivò dentro , lo scarparo cominciò : — Ehi, borsa mia, esci quattrini, pane, vino quanto basta. Non uscì niente, e la moglie e le figlie lo pigliarono a colpi di gessi. Lo scàrparo si prese di nuovo la sporta e sdette (diede per i paesi): — Racconciamo scarpe ! Nessuno gli affacciava. Si ri- 468 FUBE E LEGGENDE 'U scarparu se campa arriera 'a sporta e sdunà : — CHmìmu warp' ! Xuddu ghie guacìava. Se gira c"a Sortu. Gliif cunipanttu una cu 'na mazza e ghie dìssu : — " Tien zza sia mazza : chiù che ghie dumand' te duna ,, E*igghià e se n'andà n' 'a fund^hiera. Como riva d»??.- — ■ Ehi, mazza mia, niesciu grai, pan, vin quanta ba- sta , . Mangia , bevìttu e a l' urtenm : — " Elii, mazza mìa, battu fimmeni, locandiera e tutt' ,. Una che straf... da fundaghiera, se n'andà o d' 'a so mugghiò nen ghie se fi vidu echiù. Nicosia '. volse alla Sorto. Gii comparve una (donna) con una mazza e gli disse ;— Tieni (prendi) questa mazza : quello che le dima- dferaji ti d[ar]à. Prese e se n'andò dalla fondacaia. Come .arrivò là ; — Ehi, maitza mia, esci grani (denari), pane, vino quanto basta. Mangiò, hovve e ali" ultimo: — Elii, mazza mia, batti femmine, locan- diera e tulli ! Appena che rovinò (quando ebbe fluito di stra- pazzare la fondacaia) , se ne andò e non si Te' vedere più da sua moglie. VARIANTI E RISCONTRI. È una versione della XXIX delle mie Fiabe sic, ma vi manca il terzo dono e qualche circostanza. La pubblico per la im- - portanza del dialetto, del quale non è nessun sa^o nelle mie Mabe. n contadino sui 50 anni, e raccolta dal signor •*'^»:«HMMt U SCARPARU 459 Per il tipo, aggiungi i seguenti riscontri a quelli notati alle pp. :2G9-70 del v. I di dette Fiabe : La Via Bonelli, 'U sear- parittu , siciliana di Nicosia , nell* Archivio delle tradizioni pop, V. VI, fase. I; Gomparetti, Geppone, n. Vili delle Novel- line ^ e Giovanni senza paura di Jesi (in parte) , n. XII ; De Nino, Janne, n. VI delle jPiaòe abruzzesi, e Fin amore, Lu fatte de lu mattarèlle, n. XXXVII delle Novelle abruzzesi; Neruggi, La scatola che bastona , n. XXXIV, e II citéchino caca-zecchini, Ili XLIII, delle Sessanta Novelle montalesi; La fava, n. XXIX delle mie Novelle tose; Pellizzari, Lu cuntu de lu nanni Orcu, n. 19 delle Novelle e Canzoni di Maglie; Orioli, Bastuncedu dirida, n. XXIII de' Contes pop, de Vile de Corse, 4€0 CLVIL San Binirittu di S. Frareu \ San Frareu si rbilaa. I surdei si partili di Miscina p' fer sacc e fuoaeh. Cam arrivaen au paunt d' Santa Hicra, s'inciintraen cu 'na fonina e un maunih, chi ghi dumanaen ana anavu. — ** A San Frareu », arpunon. — ** Pireo ? , — " P' amazzér tucc i ribiell. „ — " Turnavnu, eh' in San Frareu gh' è pesg ,. Ma viràin eh' cuoi pas- sa\^i avant, addàura la fomna arbì u mant e spunzò la man. Roi virain ch'era l'Argina, s'abbien tucc fece p' terra, e ghi dumanaen pirdaen. S. Benedetto di S. Fratello {Versione letterale). San Fi-atello si ribollò. I soldati si partirono di Messina per fare sacco e fuoco. Come arrivarono al ponte di Sant'Agata, s'incontrarono con una donna ed un monaco, che gli (loro) di- mandarono dove andavano (andassero). — A San Fratello; rispo- sero.— Perchè ? — Per ammazzare tutti i ribelli. — Tornateveue, clic in San Fratello v'è pace. — Ma vedendo, die quelli passavano 1 Conservo la «^ralla del Vasi, boncmorito illustratore del suo dia- letto natale e della storia di quella colonia, che fa parte delle così dette lotuharde in Sicilia. Parlare a dlumbard per i Sanfratellani, l)ei Piazzesi ecc. significa parlare nel loro dialetto, come parlare a ddntin, parlare in siciliano. Vedi , oltre le monografie del Vasi , i miei Studi di poesia popolare, p. 203. Le ce di sacc (sacco) , tucc (tutti), fece (faccia) hanno il medesimo suono della e nella voce ciò, Vh di fuoaeh (fuoco), ma?cnih (monaco) sta di mezzo alla ^ greca ed al eh tedesco nei pronomi 7nich, dich, sich. - '■'*»:»*•***■ ^-« SAN BINIRITTU DI SAN FRAREU 461 Gusci San Frareu pi mezz du sa paissaen San Bini- rittu, chi prihiea l'Argina, ni suffri nudd man. S. Fratello \ avanti , allora la donna aperse il manto e spinse (alzò) la mano. Essi, vedendo ch'era la Regina (dei Cieli), si gettarono tutti con la faccia per terra, e Le dimandarono perdono. Così San Fratello per mezzo del suo paesano San Benedet- to, che pregò la Regina, non soffrì nessun male. VARIANTI E RISCONTRI. Questa leggenduola, nella quale S. Benedetto il Nero , cit- tadino e patrono di S. Fratello, libera la sua patria dal ferro e dal fuoco, è esclusivamente tradizionale in quel comune; e non ha nessun riscontro nella sua leggenda scritta. ' Raccolta dal Sac. Prof. Luigi Vasi , Vice-Rettore del R. Colle- gio di Musica in Palermo. -4-. ju. « --■ "ti—ii^tfc^giw^inwa GLOSSARIO r^ " ^-^ ■"••-■*'.■ V-.r M --r ■ ^■■*>vi«Mi»i«...pi?55cai'i, V. tr., appcmlt're, at- tacca n*. !| Pfnlore. -A.i>pulÌ5C55Ìai'i , V. tr., pulire, ri- pulir*». -A.ppunìi'ÌHÌ, V. rifl., opporsi. -A.pl loi, (S. Lucia), avv.. |m>ì, poscia. ^i*ia, ». f., aria, aere. I| Aia. -Ai'ic'oUia, i, ri. f.. orecchia. Gl'ina, i, s. f., anima.] Armi di In priaforiu, anime del purgatorio, a. purt^anti. -^^rrnaluiSTsa, i, s. f., animaluccia, bestiolina, animale. An*ancari, (Ragusa), v. intr., an- dare. A.ri»ÒKKÌT'i» V. intr., resistere. A-rrei'i , avv. , di nuovo , nuova- mente. A.rTÌoÒ2:<2:h.iri o arrionKJJclii- l'i.^-si, V rin., rientrare in casa, rin- casare. ; I Tr., raccogliere. A-ii'icriarisi, v. rifl., consolarsi, confortarsi. A.rrìcliri, v. intr., ridere. Ari'iiTiinari , v. intr., dimenare, agitare. Arrinè.scii'i, v. intr., riuscire, in- tervenire. ArrÌHbÌKf;h.ià.rÌRÌ, v. rifl., risve- gliarsi. jA.rrivÌROÌri, v. intr., rivivere, ri- suscitare. A-rrTispiggiari, (Ragusa), v. ar- rishigghiariai. A-rtari, o A-rtaru, a, s. m., altare. -A.HSÌT*a, avv., iersera. A.ssittà.i»isi, V. rifl., sedersi. Astittari, per aspittari, v. tr., ^ aspettare, attendere. àti, avete. Atorna o a torna, v. torna. Atria, contr. da àutru, add. e pron., altro. ■A-ttintari, v.intr. e tr., origliare, stare ad ascoltare. Àutu., add, alto. A. viri , V. tr. , avere. Pres. haju o he, hai o hn*^ havi o ha; avemu o a- vitnu o à,nH o àmnin . aviti o àti o iVit (Francofonte), hannu o Aanw (Caltag.). Imp. aveva o ttvia o ava o limila (Pietraperzia) , aoivi, aria o arerà o arira , avèvamn o avìamu, art'raru o arlaru o arìrit, aviattu o arevanu o avèunu (Ragusa). Pass. - r ^ i'»r»V nelle forme: he 'eiri , ho ad avere. -A.v<>{;Kliia, non fa nulla, non im- porta. I Nella frase, p. e., Avogghiadi rirrari, vale : per quanto si cercasse. A.v\'ld.iri, V. tr., vedere. B Uabbu, add., babbeo, sciocco, min» chione. J balata, i, a. f, lastra. Hanna, i, s, f , parte, lato. || Banda musicale. lianmi, i, s. m., l'affissar dei nomi degli sposi , che si fa al municipio prima delle nozze. 3 bardar i, (Messina), lo stesso che guardavi, guardare. J iard-TiiriTi, i, s, m., asino. 'J^bl•ì^soiri, (S. Lucia), v. intr., sve- gliarsi, levarsi, Ueinineésiia I ben venga ! benve- nuto. Bèniri, per paragoge, bene.. iJid.d.'un.a, add., molto bella; accr. di bedda. IBìdiiT., per vìdiri. Hirlanti, s. m., brillanti. I3omi, add. buono II avv. , bene II guarito. Bottu, i, s. m., botto, colpo. || Bottu *ntra hottu^ lì per li, subitamente. Bu.ffu.n.iari, v. tr., corbellare, can- zonare. IButtio«d.d.a, i, s. f , dim. di botta colpicino. iButtiggliiuni , a , s. m., botti- glione. e C nella forma e' un vale con, pre- posizione. Oa» che || ripieno. Cà, cong., perchè. Cabbedcla, i, s. f., gabella. Oafuclclari, v. tr., zombare, tam- bussare. Cammarinu, i, s. m., camerino. Càmmira, o oàmmara i, s. f.» camera. j..jr. ■-- »t*r»*»* GLOSSARIO 467 Oampanaini, a, s. m., campanile. Canali, i, s. m., tegole. Oannarozasii, a, s. m., gola. Cannata, i, s. f, boccale. Cantarli, a, s. m., quintale, pari a chilugr. 80. Canus^sca, i, s. f., cagnolina. Cappella , s. f. , cappella |( Jirl o essiri 'n cappella , essere li lì per venir giustiziato. Capnociii, i, a, a. m., cappuccio. Caroài'a, i, s. f., calcara, fornace. Cavissssa, ii o i, s. f. carezza. Caii»ated.clii, a, s. m. caratello. Cai*teclaa, i, s. f. corba. CaiMiHu, add., e s. m., piccolo, ra- gazzo. Cància, i, s. f, cassa. CaHciolu, a, s. m., cassetto, cas- sone. Catina5525u, i, a, s.m., catenaccio. Cattiva, s. f, vedova. Catìmiu, s. m., noia, molestia^ bor- bottamento. CàTiclu, add., caldo. Causi, s. m. pi., calzoni. Ccà o ecani, avv., qui, qua. Coliiù, avv., più. Coliiui, avv., più. Coìtiì, (Ragusa), avv., più. 'Cciii'npr*,i'iri, V. intr., comparire, apparire. CciiHHÌ, o 'ccussì, avv., così. Cliì, cong., perchè. Cliiamari, v tr., chiamare. . Cliiànciri, v. intr. e tr., piangere. Ch-iantari, v. tr., piantare. Ch.iantu, i, s. m., pianto. Cliiasisza, i, s. f., piazza pubblica. Cliistu, add. e pron., questo. Cliiòviri, V. intr., piovere. Ciamari, (Ragusa), v. chiamari. CiànoiiTL, di alcune parlate, pian- gere. Ciantu, (Ragusa), v. chiantu. Ciami, (Ragusa), add. e s. , piano. Il 'N cianu, nella via, Cìfaru, 8. m.. Lucifero. Cileoou, ooiii, s m. , panciotto, sottoveste. Cinoiz, agg., cinque. Cinu.,(Ragusa),per cAinw, add. pieno. Ciocca, celli, s, f., chioccia. Ciumi, s. m., fiume. Ciuncu, add., storpio. Ciiisoiari, v. tr., soffiare. Cocclii, v. quarchi. Cocld.\i, i, 9. m., collo. I Di 'n cod- du, addosso, vicinissimo. Corchi, v. quarchi. Cosa, i, s. f., cosa. Crapieciusu, add., capriccioso. Crìatu, i, s. m., servitore. Crid.iri, v. tr. . credere. Ind. pres. criju^ cridi, cridi, cridemu ecc. rass. Crini, cridiati, critti, crìttimu, crid)- 8tipu, crXttiru. Part. pass, crittu. Crièsia o eresia , ii , s. £ , chiesa. Cristiani! , i, s. m., uomo, e nel fem., donna. j| Cristiano. Crivu, a, s. m., crivello. Cucca, celli, s. f., civetta. Cucch.iced.cla, (dim. di cucca) s. f., civettuola. Cullittina, s. f., ghigliottina. Cuminèniri, v. intr., convenire. Cummentu, i, ura, s. m., con- vento. Cumin.iggliiairi , v. tr., coprire. Cummòggliiu , a , s. m. , co- perchio. Cun.lìssiunariu, ii, a, s. m., confessionile. Cuntenti, lo stesso che Cuntentu, add., contento. || Pago. Custiceclcla i, s. f., dim. di costa, costicina, costoletta. Curatilu, i, lo stesso che curatulu, 3. m., castaido, fattore. Cuomu per comu, avv., come. » Daccussì, avv., così. ;i3ari, V. tr. , dare. Indie, pres. (7«- fnn, duni, duna, dumu, dati, dhnaìin. mp. dava, davi, dava, dàvamu,dà' vavu, davànu. Pass, detti o desi, dunni o d.' unni, avv., donde. Il Da II Dove. IDunu, i, 0 dònura, s. m., dono. £ "Éj, contratto da ai, agli, alle. Cosi nn' é, nei, nelle; dV, dei, delle. É (S. Lucia), di. r WkS GLOSSARIO Tallii. ptT p.liM„'«i-r, I-. I<]lii. lAIi-aiiiiM. {iroii., io. Kj-swiri, V. inlr., «'ssi-n'. Inlic. pre-i. Sutfnu *' »*«', mì' f r o fHt o ì-Hti, Me- tti» Il MJIIIM, Ml'/f, MHMHIf <> HilHU. \\XÌ\Ì. t-rn ti Jt-rn «» iffi , ^ri , evi u jtiru, ì-rutHu " jrrainu, ì-t'ucH « J^rncH, e- l'tfilH O Jì filli U. P.lf».4. /irli, fiiHti, fu, fnmii i» fuiitmu. ffisririt o f^nfit, fora Il fi'irvH. Ili alcune {lurlato /■()»•#•.« Sii- n-lilii', fòi'nonu suremmu. JE'^ic'oliiii.'i. i. s». f-. soprabito. F'hkui'Ijì. h. f.. f.iroltà, ])riviie{^iu, priTo^rativa. yMiiii«Kliiu, i, si.in.,fainii5lio, stal- liere. 1*\' HI lincia 1 (Modica), per ftmtiif- f/hìtty s. f., faiiii|,;lia. Piataci uni. s. f., faUiifiuiie. J^^àuoia. i, *«. f., falce. JHViUHU. aiM., falso. 'ìPi\yiVi'\\\tì\t\i , i , a , H. 111., fazzu- Ii'tto, p(!//.uola. Fetida, i, h. f., folla. JBT'ètLi'i. V. iiitr., puzzare. 'F'iacjcisii'i. V. affarciavi. l^lt^.ltlii, (Milazzo), V. feiltìa. yiiiujliiu, i, s. in., figlio. l<"'ii!:!J:iu. (Ka^^n.saì, v. fiagìn». P"'il<>c.'cna, i, H. f.. freci-ia. l-<"'iiu»Ht!Ìfi, i, (Ra^'u.sa^ piT flnfHfvii^ s. f., finestra. P''iiiÌHtr'Uiii, a. .M. 111., balcone. Jf iiM'iai'i, V. fm'rinì'i. Jf ii'i*Lt>lu, a, H. »n.. f«'rraiuolo. P^ÌHoaUiltTi, i, a, >*. ni., zufolo. P^òi'^ia, i, s. L, fucina. ITi'ali, f*. in., fratello. yi'ì.ii'i, V. ir., frigt^erc. yuoulaiMi, a, «, ni., focolare. l»"*!!!,!'!'!, V. iiitr., fuggire. li^ui'i'iiii'i, V. Ir., girare. Gf»T55Tini, a, s. in., servo di cam- pagna. !| Colui che mena la bestie da aonia o attende al governo di e.sse. Grastiiria, i, s. f., imprecazione. Q-àiitu, (proceduto da a, e, è, ti, 'w) add., alto. Griarra, i, s. f., coppo, orcio. Griucou, 8. m., pollaio. •Gt-iiuraTiza, s. f., ignoranza. Grratletta, i, s. f., graticcia. GrradigKliia, i, s. f., graticola. Gri'aiilli, add., grande. Grràpiri. v. tr., aprire. Gri'àvita. add. fein., incinta. Cà-rìttn. aiid., diritto. Gruoeitldatu , a, s. m. , paae a ciambella. Gru rami, (preceduto da «w), a, a. m., grano, pari a contesimi 2 di lira. Ourpi, !*. f., volpe. lautn. (Ragufia), v. àntu. Idclu, i, pròn., egli. Intra o .iinLtra,avv.e prop.,dentro. «Tàprii'i, (S. Lucia), v, iffàpiri. iTàntii, add., alto. tTènnaru, i, s. m„ genero. tTiccari, v. jUUin. Jìnoliii»i, V. tr., riempire. '«Tinoocliiu, i, a, s. m. ginocchio. .Tiri, V. intr., andare, ire. lud. pres., Pfli/«, rai^ ru, /atiiu ojimu, (Ragusa), Jiti, canMK.lmp. java ojia, jacijava o Jira o Ji(tj Jàcamu o jiamM, Jàra- rit oj)nrn,j a, s. m., imbro- ), imbarazzo. ritiri, V. tr., mettere. ri55\i, H.ni.,metà. || Mezzo. |l Espe- nte. pron., mo. il (Messina) riempitivo, .1 Iiiàbe bic, V. I, p. CGX, § 5. ìggiri, (Ragusa), avv., meglio. ina, i, s. f., mammella. ?caTi%ia, ii, s.f ., mercanzia. |1 §ozio, affare. ;ati, s. f., mela. ciantièTiii'i, per mantènirii v. mantenere, sostenere, alimentare. Tieiissii, cunip. da '« in, men- , mezzo. iTiidia, s. f.. invidia. milinari, v. Ir., avvelenare. 3.ir*è, V. aii'einiTia, avv., pure, ancora, ulesLinainenlo. iiiiria, v. ili in) dia. ainoai'i, V. tr., mescolare.! |Av- atare, dare, zombare. || (S. Lucia , lazzo), V. intr. e tr., unirsi, aver fare. |1 Urtare, mitari, v. tr., invitare, mu-coa, comp. da 'n in , viicca :ca. I) Sina 'mmticca , fino alla :ca. tniicciari, v. ammucriarì. nurmu.riàrisj. , v. rifl. , bor- •ttare. rmascàrisi, v. rifl., imboscarsi. (S. Lucia) buscarsi, guadagnarsi. >cld.u, add., molle, morvido. >rix*i, V. intr., morire. >rriri, (Ragusa), v. mòriri. >rsu, i, a, (Milazzo e S. Lucia), m., pezzo (fr. morceau). paj ari, v. tr., attaccare, e dicesi >i cavalli, dei muli, degli asini. G. PiTRÈ. — Fiabe e Leggende, 'M!pìnoiri, v. intr., incagliare. IVIunistari, v. tr., molestare. MiTinitola, 8. f., piccola moneta d'argento. IVIiirLTiari, v. tr., pulire. M!uTizecl(>r lo {li il di uhitL •N'Mt'iTnila, (Francofonte), v. *N">*<"'i 111 nula, avv., insieme. •K'h ignari. V. tr., insegnare. i|In- dirart-, additare. 'Nniiia. 'iiHinu, 'nfina, *iifi- Ti\i, avv., lino. 'J^Hiiiiiiaccliiat-u, add., sounoc- chidSn. •N'HunTiriin.Hi, V. rifl. sognai ». •Ntti, 'ntra, 'ncla, 'ncii , nna. Tini. Jivv. e i»rej)., entro, dentro, il Tra II In. *JN"tiiina, i. J*. f; antenna. '!N'tTa^Jat^»T^.Hi, v. rifl., trasalire. *!N'ii. «Hajriisa), per uh. Nnati'i. cnnip. da tiui e aufri, noi altri, niii. Nndtlii, add. e pron., nessuno. Niin, Hvv., non. rN'vsòinirnila, a^-v., insieme. 'K'ssiiiKai k1iì> «• f. , insegna, se- gna U*. 'Isr«:ÌT't ari, v. tr., indovinare. || Col- pire, dare nel segno. 'Nzouou, lo stesso che zoecu. o <5, sta per » 7ii, al. Nella parlata di Ragusa arigKÌu, add.,pario. Ir*ari":ifc*trai i, s, ti, madrigna. Ir*ai*ririu, i, s. m., prete. I| Padrina iPàrtli'i, v. iutr., iiartire. Part. pass.* paè'titlu. iPawHtiKÉàii . i» 8- ni. paif saggio, n Fatto, accaduto, aneddoto. iPati*ai55«n, i, s. m., accr. di patri» padraccio. I*i, i>i>i, pir, pri, prep., per, I^ioc*a, avv., e add , poco. iPiccUì, cung. e avv., perchè. Piotriliddu (Naro), v. pleciriddu. I-*iooi<.>ttni i, s. m. e add.. giovane. Ir*iocii'i("ld.u, i, s. e add., Piccolino, banibini, prep., per. I*rèM o pre.iu, s. m. , giubilo. \\ Fari preu, far festa. !Pri, prep., per. Priocliì, cong. e avv., perchè. iPri^iai-i, v. tr., pregare. P*2»oiTti, o proixtu, add., pronto. Propria o pròpia, avv., affatto. Il Propia propia, assolutamente, del tutto. IPropi'iu, add., proprio. !Pijoi, avv.. poi, dipoi, l'urei, s. m. , pulce. Jl lf««ri«/ un puvr.i 'il testa, mettersi in cuore di di fare o avere una cosa. IPurta-Htru, (Ragusa), portaste. I*uru , avv. e cong. , pure , anche, altresì. IPutiai'u, a, s. m., bottegaio, ven- ditore di frutta. iPutiri , V. tr. , potere. Indie pres ■ * GLOSSARIO 471 ',ph,putemu oputitnmu (Cal- titiyponnuo ponu (Francof.^. ?va o putia o putiva , putivi, putit'a o putia; putèvamu o piitìavu, putìanu o puteva- potti, putisti-, pota , pòtti- ifivu, pòttiru 0 pòttinu.rr^. zza, possa, pòzzamu, possia- aru possiate, phzzanuy pos- Qdiz.pres. purrla o purriasi. 5S. pututu. cldu , (Ragusa) , v. tlclix , add. e sost. , pove- •vero. i, s, m., pozzo. lì, add., qualche. lì, add.. qualche. ta, i, s. f, calzetta. R , add., grande. f., rena, arena, ziu , ii , s. m. , ringrazia- 1 , i , s. m. , principe reale rio. iTied.cin, ì,a, (dira. dirw6- . in., piccola sottana. tecldii, i, a, s. m., (dim. ), sacchetto, •i, V. tr., salassare. ,11, i, s. m., sandalo, •ì, V. tr., serbare, conserva- vare. tta, i, s. f., salvietta, ta, i, 9. f-, salva. , scili , (invece di ciaseu) , asco. V. intr., saltare. i, a, s. m., salto. Loari, V. tr., spalancare, li tu., i, s. m., bandito, ni, a, s. m., urtone , colpo, utu, add. part., sbigottito^ ri, V. tr., vendere a prezzo IO , anche al di sotto del lari, V. tr„ sbranare. :nat\a, add., svergognato, biliari, V. tr., sciogliere, .ari, V. tr., scambiare, alìari, v. tr., mettere in so- Soantàrisi , v. rifl. , aver paura, impau rirsi. Scantu, 8. m., paura, timore. Soappari, v. intr. , scappare. || An- dare, semplicemente.JI Venire. Scatinàrisi , v. rifL , lasciarsi li- bero. Il Avventarsi. Scliettu, add., scapolo. Sdiinii., i, s. m., schiena. Soh-ittu., add., semplice.||Fu»< aehit- tUy pane asciutto , senza compana- tico. SoiiiTiii:*i, V. tr. e intr,, scendere. Soippari^, V. tr. , spiccare.. || Sradi- care, sbarbicare, spiantare 'Sciri, di alcune parlate, v. intr., u- scire. Soiiimarariz , i , s. m., uno ad- detto a traghettare od a passare per le fiumare uomini e cose. Soiuini,(Ragusa), per^cmmi, s. m., fiume. Sciiirtranat-a, (Ragusa), per afut" tunatu, sfortunato, sventurato. Scravagghiti , i , s. m. , scara- faggio. Sou.ma, s. f., schiuma. So\i.mmiggh.iai*i , v. tr. , sco- prire. Scurari , v. intr. , imbrunire , far buio. Scyirata (A. la), avv., sull'imbru- nire. Soùsiri, V. tr., scucire. Sd.ivaoari, v. tr., riversare. Sdrivigliàrisi, (Frizzi), v. arri- sbigghiàrisi. Sensìbbiri, fCaltagirone) , add., sensibile. Sènsiu., V. Sènziu , ii , s. m. , senso , intel- letto. Setti , add. , sette. || Fari lu setti a forza , far checchessia per forza, striderci sopra. Sfilila, s. m., desiderio. Sfìrniciàrisi o sfurnioiàri- si, V. rifl., scervellarsi. SfiLmiciiasu, add., pernicioso.||Dif- ficile, inestricabile. Sfìrrari, v. intr., abbandonarsi a una passione , capriccio , abitudine ecc. SfViggh.iari, v. tr., sfogliare. Sgag^giatu, add. part., sgabbiato, mori di gabbia. Sgroppu, a, 8. m., fuscello. Si, cong., se. Sicldiàrisi, v. rifl., seccarsi, infa- stidirsi. 472 GLOSSARIO 'Siennu o '38exixiu,gerund., ea- senda billetta, i, A. f., vaso da notte. Sina, avv.. fino, sino. SinKaliai^si, v. rifl., mettersi be- ne a mente. Sìpàlan i, 8. f, siepe. Siti • 8- f- 1 sete. I Siete (dal v. es- sere). Sooclii o BO oliif preceduto da km, vaie qualche cosa, an poco. Spacut 9- ni„ spago. Sparas:!^.!!. add., dispari, che non ha l'eguale. SparpuKK^ia-tu, add. pari, spar- pagliato. Spàrtiri, v. tr., dividere. Speroiagai, s. m., forasiepe, uc- cellino noto. •Spertia. add., esperto, scaltro. Spignari. v, tr., disincantare, e di- cesi de' tesori, secondo la credenza popolare, incantati. Spijari, V. tr. , sipiegare. || Doman- dare, interrogare, l' Interprotaro. Spiroiari . v. intr. pn.ii, . curar.-i, aver a cuore, importare, j' Aver vo- Spirìri, V. mtr., sparire. Sp\iTitai'i, V. intr., sipponro. Sp-UHsèairi, V. tr., ti.n--..i j. -.•:-- sesso, impoverire, spiantare. Squaclàri . v. tr. , dare una prima ebrevo bollitura. SquaggliiaiT., v. intr., squagliare. Il Tr., divorare. || Ridurre al nulla. ! •SsignaiT., (S, Lucia), per usfiitfn'f ri, o "naignari, v. tr., indicare, addi- tare. •Ssirì, (Ragusa), v. essivi. Stapia, (Ragusa), v., stava. Stari, V. intr., stare. Indie, presente 9tajUt stai o sta , sta , stamu, stati, atannu. Imp. stava ecc. Pass, stetti o stèsi, stasti, stetti o sthi, stèttimu o stèsimu, stàstivu, stèttiru o stH- iunu o stèsinu. Strania (A. la), modo avv.,in luo- go estraneo, in paese straniero. Strapurtari, per metatesi, tras- portare. Strasoinain, v. tr., trascinare. Strasciniarisi, ( Modica ), per strascinarisi, v. rifl., trascinarsi. Stratuni, a, s. m., stradone, gran- de strada. Straz asari, v. tr., stracciare. Strinoiri, v. tr., stringere. Stu, add., questo. Stiajari, v. tr., forbire. Stunari, v. intr, sorprendersi, jjln grullirc. Ij Stordire. || Stonare. Su, (Ragusa), v. *i*. Suoiitati, s. f , società, compagnia. ®ùgglii\i, i, s. m., subbio. Suprajuri, add., superiore, mag- giore. " Supraniari, v. tr., .s )vraneggiare dominare. Sùrgiri, (Milazzo, S. Lucia), v. tr.. alzare, sollevare. Siiira. i, 8. f , la pancia del tonno o di altri pesci. Susirisi, V. rifl., alzarsi, levarsi Susu, aw., su, sopra. T Taccia, i, s. f, bulletta. Tajmari, (Ragusa), per tagghiari, tagliare. Taliari, v. tr., guardare. Imp. uO^ o tajà o taiia, guarda. TaiT., s, m.,antica moneta siciliana, pari a centesimi 42 di lira. ''.riiiii'iisi, V. rifl., trattenersi Tinti! , add., cattivo. n."'ii*.MTÌ, v. tr.. tirare, trarre. Tii'tlinax'i (tri dinari), antica mo- neta siciliana, pari a 1 ceni di lira, qi;;.-i. Torna, (IS. Luc.in), avv.. di nuovo, nunvanu'iito. :, Add., altra. Tivìi'i, »Ra;.'usa/. v. tirari. Trìdicji. add., tredici. .. L'iaw^W '« fn'ffif'ì, lasci;iri- in a^:»o. rJ^iint'ai'i, V. tr., tui-caie.JIutr., fare al lucco, cuiilarsi. Tùiniiiiini, i, a, s. m., tomolo, antica luisina do.rìi aridi, nari a li- tri 17, 1, 9:ì TCuppuliari, v. tr., bussare. Tuttidui, pron. , tutti e due, en- trambi. IJ XJcoliiari, v. tr., adocchiare. XJmitii, add., umido. "Crnimira, i, s. t, ombra. *XJn.. aw., non. 'XJnca, vedi 'wca. TJnciri, v, tr., ungere. XJnd.i, (S. Lucia), avv., dove. TJnza, i, s. £,, onza, antica moneta siciliana, pari a L. 12,75. TJomininii, i, (Ragusa), v. omu, TJortlini, a m., ordine , comandar mento. ■ j I 1 \ GLOSSARIO 473 i, s. f., vampa, fiamma. ed.d.\i, i, a, s. m., dim. panchetto. :, s. m., banco, iji, i, s. f., vicolo, i, (Ragusa), v.abbanniari. (S. Lucia) , V. ir. , guar- >ad.d.i, s. m., scialle. L,a, s. m., barile. r. tr., baciare. ., avv., altrimenti. a (di pani) , s. f., fo- .ta» i . s. f., bastonata, col bastone od altro. ituì, a, s. m., grande pa- ( Ragusa) , s. e add., vec- lessina), s. t, guerra. •on., voialtri, voi. tr., vedere. || 'JStraun vì- ri,m un attimo. Ind.pres, vidi, videmu, viditi, vidi' u. Imp, videva o vtdiva o ivi , ecc. Pass., vitti o vi- , vitti o visti, vìttimu, vi- ridtstu, vìttiru o v)ttinu Part. pass, vititu, vidutu. ► vèstia, ii, s. f., ani- 3ma. V. tr., vendere. ro; preceduta da he (ho), Ragusa;, vedi vìdiri. "Vistiaini, s, f,, bestiame. Vitid.d.U55zn, i, (dim. di viteddu), s. m., vitellino. "Vi viri, V. tr. e intr., bere. Paaa. vippi , vivisti , vippl , vìppitnu, vivì^ stivu, vìppiru o vlppinu ovìppuru o vìppuHu. "Vò' o vo'. vuole. "Vota, i, s. t, volta, fiata. ■Vroooioli, s. m„ broccoli. "Vrod.li , s. m., brodo. Vudeddu, a* s. m., budello, in- testino. "Vnliri , V. tr, , volere. Ind. pres, vògghiu, vói o f d', voli o vb*i vulemu o vòmmu, vuliti o 'tHitit vonnu. Imp. vuìeva o vulia o 'tdia ecc. Pass, voait vtdisti o *idi8tit vosi , vòaimu , vuU- ativu o vidUtu, vòsiru o vòainu. "Vuòsciu, ('Ragusa»), per vosin*, vo- stro. "Vurdinaira v. "Vurdnnaru . a , s. m. , mulat- tiere. "Viirssa, i, s. f., borsa. z Za, contr. da zia, zia. Vedi «u. Zimmili , a, s. m. , sportone, ce- stone, bargelle. Zita, i, s. f., sposa, fidanzata. Zò, pron., ciò, quello. Zocoix, composto da zo e chi, ciò che, quello che. Zu, contr. da ziu, zio , nome che si dà ad uomini volgari come facchini, zappatori ecc. \ FINE. / J i INDICE DEL PRESENTE VOLUME. Dedicatoria pag. v Afwertenza „ vii Spiegazione di alcune voci di differente significato nel presente volume „ xvi * SERIE PRIMA.. I. IL III. IV. V. VI. VII. vili. IX. X. XI. XII. xni. XIV. XV. La Rigginedda chi s' avia a mari- tari „ 1 Lu Gacciaturi (Variante) . . » 6 Lu latru „ 9 Li tri cani „ 15 Li dui palummi 'nfatati ... » 35 Li dui frati fidili „ 45 Donna Poppa e Donna Tura . » 51 La bedda picciotta „ 59 La Riggina superba » 64 Lu Re superbu „ 70 Lu figgiu di Re „ 75 Patri Donn'Antuninu Piscila . „ 84 La picciotta povira ^ 89 L'ocidduzzu „ 92 Fusiddu „ 97 Cicirieddu » 107 476 XVI. XVII. INDICE Pìripicchìu Sennu, Giudìziu e Gornu. SERIE SECONDA. pag. 117 n 11» xvm. XIX. XX. XXI. xxn. xxin. xxiv. xxv. xxvi. xxvii. xxvm. xxix. XXX. xxxi. xxxii. xxxiii. XXXIV. XXXV. XXXVI. xxxvn. xxxvm. xxxix. XL. San Micheli Arcancilu e lu Qfaru , 123 Adamu ed Eva , 1^ Re Salamuni e Sapienza. . . , 127- Salamuni e Marcorfd .... , 12ft La Matri Sant' Anna chi vulia jiri a lu tempiu ^ 133 Pirchì Sant' Anna 'un havi la so fe- sta ,136 S. Giuseppi e lu pilu di minna . „ 137 S. Giuseppi e li picurara . . , 138 Li tri Re ... • .140 La Bedda Matri e li rosi e xiuri , 142 Li luppini e la Madonna. . . , 145 Gesù Cristu e la Jinestra. . . „ 147 Lu Signuri e lu munnu ... „ 148 L'occhi di li \iddani e lu Signuri. „ 150 Li tri jorna di lu picuraru . . „ 152 Lu mestru scarpau e Sentu Petru „ 153 LuviddanuginirusueluMaistni „ 155 Lu Maistru e li spichi .... „ 158 Lu Maistru e li lapi „ 160 Lu Vènnari ^ 163 L'angunia di Tavaru e S. Petru. „ 164 L'occhiu di lu Signuri e S. Petru „ 166 S. Petru e lu vacili d'argentu . „ 168 - .»*..•. XLI. XLII. XLIII. XLIV. XLV. XLVI. XLVII. XLVin. Lvin. bis XLIX. L. LI. LII. LIU. LIV. LV. LVI. LVII. LVIII. LIX. LX. LXI. LXIL INDICE 477 S. Petru e lu nuciuni .... pag. 170 Lu pignu e lu nuciuni (Var.) . „ 172 Lu pedi di pigni e lu pedi d* agghiàn- nari (Var,) , ivi S. Petra l'aprocchi » 173 S. Petru e lu pamnu .... » 178 Lu cumpari di S. Giuvanni e S. Petra « 180 S. Pietra e so cumpari ... , 183 La sora di S. Petra „ 185 Lu mastru supra tutti li jnastri . „ 186 Mastru Franc^^cu e V ancilu fintu scarparu . „ 190 S. Pietru e lu scarparu (Far.). , 194 Lu Maistru e lu burgisi ... , 197 L'armali chi pàrranu .... „ 202 Lu tistamentu di lu Signuri . „ 206 Sant'Antria . „ 208 Lu Signuri di Luca „ 215 Turi, dammi 'i dinari (Var.) . » 220 Lu picciriddu divotu .... „ 222 Li dui vurdunara „ 226 h' Ancilu e la Morti « 231 S. Martinu „ 235 La Limpia di Sant*Agàti. . . „ 237 Santa Barbara » 239 S. Galòjaru. „ 241 La vutti di San Giurlannu . . „ 243 S. Giuseppi e lu so divotu . . „ 247 La Bedda Matri di la Cava. . » 252 La Madonna della Rocca ( Var.), » 253 478 Lxm. LXIV. LXV. LXVI. LXVIL Lxvin. LXIX. LXX LXXI. Lxxn. INDICE Maria di lu Ponti pag. 255 La Madonna di Gibilmanna . „ 259 La Madonna di Trapani . . , 261 Lu Grucìfìssu di Murriali . . , 262 La Madonna di P Udienza . . , m La Madonna di la Nivi ... , 263 Maria di lu Munti .... , ivi La Madonna di Libera-inferni. „ 264 L'ossa di Santa Furtunata . „ ivi S. Maria della Scala in Messina , 265 La Madonna di Gulfi in Ghiaramonte „ 266 La -SS. Nunziata di Ficarra . „ 267 S. Maria di Gffiù nella Terra di Gasta- nfa di Naso , ivi La Madonna della Grazia, della Ga- stanèa , ivi S. Maria di Gustonaci in Monte S. Giuliano .268 Nostra Signora dall'Alto, fuori Polizzi „ 269 S. Maria del popolo in Marsala , 270 La Madonna di Dinnammare in Mes- sina „ ivi SERIE TERZA. 'U pisciàru ,.271 Giustizia è morta » 275 Lu sciurtunatu „ 276 Chiddu di rova vugghiuti . . .280 Lu Re e la fìgghia di lu mircanti „ 283 Lu patri chi fìci tistamentu . . „ 286 Cumpari Cricchi e Cumpari Cuoccu „ 289 Firrazzanu e li latri .... „ 293 -i-.j LXXIII. LXXIV. LXXV. LXXVI. Lxxvn. Lxxvm. LXXIX. LXXX. LXXXI. LXXXII. Lxxxin. LXXXIV. LXXXV. LXXXVI. Lxxxvn. Lxxxvm. LXXXIX. xc. XCI. xcn. xeni. XCIV. XGV. XCVI. INDICE 479 'U Re d' 'i dudici cincati. . . pag. 295 Lu scravagghiu » 297 '1 cucuzzi , 300 Don Libranti e Donna Miliini. „ 304 La viddanedda maritata. . . , 307 Giaramiintanu, cciù! .... „ 308 L'Ecce-Homu ca parrà ... „ 310 Lu Ballafranchisi » 314 'U G'ssèr (Var,) » 316 Giufà e la Giustizia „ 317 Giufà e lu friscalettu .... „ 319 Lu marinaru (Var,) .... , 320 Lu dubbiu di lu viddanu di MènMci „ 321 Lu porcu e lu viddanu ... „ 324 Lu parrinu maliziusu .... „ 325 Lu cavaleri e li tri soru ... „ 327 Li monaci Cappuccini. ... » 330 Lu viddanu eh' 'un vulia zappari. „ 332 Pensu e ripensu „ 333 Lu tignusu, lu rugnusu e lu vavusu „ 334 Tre omini in barchetta ... „ ivi La varva franca „ 336 Lu monacu e lu fìlu di lu munnu „ 338 SERIE QUARTA. La Sicilia » 339 Sicilia sciurtunata „ 344 Comu lu Papa Uvau la scuminica a la CiciUa » 346 Palermu , 348 480 XGvn. xcvni. XGIX. e. CL GII. • cm. CIV. cv. evi. GVII. CVIII. CIX. ex. CXI. exii. CXIII. CXIV. GXV. CXVI. CXVII. INDICE Gugghiennu lu Bonu e Gugghiermu In Malu pag. 350 Lu gran tisoru dì la Zisa. . . , 352 Li tri donni marci - e-bbinni . , 355 La Tavula di Baeli , 356 Lu Passu di lu picuraru ... , 358 La truvatura di Beddumunti . , 360 Munti Scuderi .• . „ 361 La stona di lu Gialanti e di la Gilan- tissa „ 363 La storia di lu Gialanti Pisci . , 365 Gola Pisci ,368 Gola Pisci (Var.) ,369 Gola Pisci (Var.) ,370 Lu Marinaru e la Sirena dì lu mari (Var.). . . . ■ ,371 La storia di Don Giuvanni d'Austra , 373 'I cientu Puzzi , 374 L'Ebreu di la Grutta d' 'i Funnacazzi , 376 La Ghiusa di S. Giuvanni. . . , 378 La Ghiesa di Santa Margarita . „ 379 La Grutta di crapa d'oru. . . ,381 SERIE QUINTA. 'U Lupu eh' aramazzau 'a jimenta e 'a mula „ 383 La Vurpi malantrina .... „ 385 L'Acula e la Cucca „ 387 Lu Riiddu „ 388 L'Acula e lu Riiddu ( Var,) . . n ^^ La Musca e lu Lapuni. ... „ 390 INDICE 481 CXVIII. CXIX. CXX. CXXI. CXXII. CXXIIL CXXIV. cxxv. CXXVI. CXXVII. CXXVIIL CXXIX. GXXX. GXXXL CXXXIl. CXXXUL GXXXIV. CXXXV. CXXXVI. CXXXVII. cxxxvm. CXXXIX. Lu cunsigliu di li Surgi . . . pag. 391 Lu Surci e lu Gaddu .... « 392 Lu Scravàgghiu e la Fretta. . „ 393 La Prèsela {Var.) „ ivi Pirchi lu Signuri manna' li pùci ^ 394 Li Purci {Var.) ^ ivi Li PìiUci (Var,) , 395 Pirchi si chiama Cacamarrùggiu » 396 Pirchi la Taddarita havi la 'friggi di lu diavulu „ 397 Pirchi lu Sceccu havi la cuda . » 398 Pirchi lu Sceccu havi l'aricchi longhi „ 399 Pirchi lu Sceccu ciara lu plsciu » 400 Li Scecchi (Var.) «401 Pirchi la Scecca sta prena tridici misi „ 403 Pirchi lu Porcu havi la fùncia . „ 404 Lu Sceccu e lu Porcu .... „ 405 L^Apa „ 407 La Pecura e la Lapa „ 408 La Cicala e la Furmica ... „ 409 Lu Maruni e la Gira .... „ 412 Lu Sènsiu di Tomu „ 413 Lu Vecchiu e la Morti .... „ 414 Marzu e la Vecchia ^ 416 Marzu si fici 'mpristari tri jorna di Aprili » 417 Marzu {Var,) » 418 La stidda di lu vujàru. ... » 421 La stidda di lu vujaru {Var.) . , ivi Fra Gola 422 A82 INDICE SERIE SESTA. CXL. Fidi mi caccia, no lignu di varca, pag. 423 CXLI. Pr' un puntu Martinu persi la cappa „ 425 CXLII. Ddiu nni scanza di peju! dici la crozza di morti! „ 426 CXLIII. Finii! lu tempu chi Betta filava. „ 427 CXLIV. Lu gabbii junci „ 429 CXLV. Soni e canzuni su* comu lu ventu. „ 430 CXL VI. Si scanta di lu bicchi-bacchi, e nun si scanta di lu tira-e-stocca . . „ 432 CXLVIL Dintra Maria!... Fora Maria! . „ 434 CXLVIIL Cu lu viddanu mancu lu diavulu cci potti „ 435 CXLIX. Cu' la voli cotta e cu' la voli cruda „ 437 CL. Capu di Gaddu e Muntipiddirinu. . „ 439 CLL Tanti nenti ammazzanu un sceccu „ 441 CLIL La varca . . , « 442 CLIIL La lavannera di S. Giuvanni . „ 443 CLIV. Lu chiancheri „ 445 CLV. Birbunazza! ti la mandasti la pasta cu li linticchi ? „ 449 CLVL 'U scarparu „ 456 CLVIL S. Binirittu di S. Frareu ... „ 460 Glossario „ 465 CORREZIONI aij. XI, lin. 29 leggi : ArcJiiv; — p. 3, L 1, facìanu; — p 12, L 21, saputu; ). 15, L 9, «impagni ; — p. 18, 1. 4, p. 21, II. 16, 18, 21, dè3i;~ p. 24, L 17, nti; — p. 35, 1. 3, lassòi ; — p. 19, L 9, 'bbuccòi ; •— p. 30, 1. 2, ti ^mmazzu, 3, giurari;— IL 17-18, giorna;— l. 28, Peppi;— p. 35, 1. 12, dogghi; p. 42, 1. 16, i pedi ; — 1. 21, addivintò ; — p. 49, 1. 10, lì statui ...di ; — p. 59, I. 24, cci; >. 88, 1. 1, paisi ; — p. 101, 1. 12, eh' havi ; — p. 130, 1. 10, a Marcorfu. Mar- Fu nn' appi;— p. 132, L 1 , si ;— p. 142 , i. 6, Numero 3 richiama a nota 4;— 43, 1. 7, juornu ; — p. 160, 1. 12, Tòrnacci;— p. 177, L 16, dal;— p. 195, 1, 12, -p. 341, I, 12, beni di Ddiu ;-p. 373, 1. 24, (Paris, MDCCCLXXXVU). li rettifichino i numerini delle pp. 16, 173, 235, 256, 286, 287, 288, 300. n. Di XVI xovEMBt.i: MDO.:.-:;xxvn FCOTO IL XXV ilì;,:: ::ìj . ._.:xxvìiì. ^^ ■^f tp